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ANTON GIULIO BARRILI

 

 

 

 

IL TESORO DI GOLCONDA

 

 

 

I

 

Viadarmail bègariandava innanzi a piediscalzosemplicemente vestito del duti tradizionale dei poveri indianiche èuna lunga e larga fascia di stoffagirata intorno alle reni e ricadente fino alginocchio. Il viaggiatoreeuropeo all'aspettochiuso in un tutto vestito dipannolano grigiolo seguiva in carrozza.

Come potessero andar di paricon mezzi tanto diversi dilocomozionevi sarà facilmente chiarito da due notiziedi poco momento per lastoria. La strada era pessimae la carrozzache meglio sarebbe di chiamare colsuo vero nome di carrettaera tiratanon già da cavalli (che il viaggiatorenon ne aveva trovati a Sciolapur) ma da due bianchi zebùspecie di buoi dallegobbe penzoloni e dalle corna attorcigliate.

Anche il viaggiatore andava molto a piedi. Ma il caldo erastato soffocantequel giornoe l'arco di foglie di palmizio che coronava ilveicolo aveva attirato con dolce lusinga il viaggiatore sotto le sue ombreospitaliaccanto alle sue armi e alle sue valigieche riposavano nel fondo.“Riposavano” è un modo di direperché più veramente sobbalzavano ad ognitrattosecondo le scosse più o meno forti della carrettafra i sassi e gliavvallamenti della strada.

Una strada cattivaanzi pessimacome vi ho dettoeraquella da Sciolapur a Secanderabadprima stazione importante entro ifelicissimi stati del Nizamdopo aver passata la frontiera al villaggio diAlland e fatte in tre giorni le debite fermate a Kalburga e Malcairaper dar lamuta ai quadrupedi. Per altroessa era altrettanto sicura da cattivi incontriessendo corsa abbastanza regolarmente dalla vettura postale del governo ingleseguardiano e protettore del Nizame continuamente vigilata dai cànsamaaddetti alle stazioni di postao dai bègariguide fornite da ogni capodi villaggio per cui dovessero passare i forestierispecialmente gli europei.

Dopo tuttoil nostro viaggiatore non era pauroso; laconsuetudine del pericolo lo aveva agguerritoed eglipiuttosto che audacepoteva dirsi temerario. Amava la vita e il suo campo necessarioche è questopovero globo; ma a patto di spender la prima a girare il secondo. "Restaresoffrire; digerir maleforse." Così mutavae in verità con pocariverenza per Guglielmo Shakespearela profonda osservazione di Amleto. Dondevi sarà facile argomentare che il nostro viaggiatore non fosse inglesequantunque indossasse il tutto vestito di pannolano grigio e portasse ilcappello di feltro foggiato ad elmettobucherellato nella testiera e fasciatodi un bianco velo che simulava il turbante.

Il paesesui confini del Nizamnon era bello a vedersi.C'è anche la sua parte di brutto nell'India pastinacacome la chiamavano gliantichi; e la junglaper cui ci figuriamo che debba intendersi laboscaglia indiananon è tutta di liane e bambùdi banani e mangifere: piùsovente è sterpetogiuncaiadeserto piano e monotonosenza un filo di verde.La campagna che il nostro viaggiatore percorreva da due giorninon offriva chelinee basse ed uniformiinterrotte qua e là da massi e scaglioni di pietrabiancastra. Solo nelle vicinanze dei villaggi s'incominciava a vedere qualchepoco di campocoltivato a grano turco e frumento; e allora sbucava timidamentedal fondo giallo della pianura una capanna d'agricoltoreattorniata da pochialberi magri e da qualche cespuglio di kalam. Il kalamse nol sapeteè unagraminaceache nasce spontanea nei luoghi incolti dell'Indiaspecie suimargini de' sentieri. Il suo stelo diritto e poroso è usato dagli Indiani comepenna da scrivere; donde il suo antichissimo nome di kalamdiventato calamusnella lingua latina.

Benedette concordanze etimologiche! Rammento che il miomaestro di sànscrito (una lingua che ho finito a non imparare affatto) quandomi aveva messa a riscontro una parola indiana con un'altra greca o latinaenotata la somiglianza loromi guardava con una cert'aria di trionfosoggiungendo invariabilmente: "nehche è difficile il sànscrito?"

Certocol tempo e la pazienza si può giungere a tuttosuperare ostacoli che parevano a tutta prima insormontabili. Il nostroviaggiatoreper esempiodopo due giorni e mezzo di strada in quel paese aridoe polverosovedeva a mano a mano cangiarsi l'aspetto della campagnapresentarglisi sull'orizzonte un fitto di verduracon tetti e guglie diminareti che scintillavano al sole.

- Viadarma! - gridò egli al suo compagno di viaggio.

- Sahib! - rispose quell'altrovoltandosi prontamente alcenno del forestiero.

- Che paese è quelloche si comincia a vedere là in fondo?

- Secanderabad; - disse Viadarma.

Il viaggiatoreche aveva già tratto nella giornata parecchisbadiglimutò registro a quella notizia e trasse invece un respiro.

- Lo credevo più lontano; - soggiunse.

- Ed è lontano tuttavia; - replicò Viadarmasaltando sultimone della carrettaper dare un grazioso cenno della sua presenza ai duezebù; - abbiamo ancora due ore di cammino. -

Il cenno grazioso non era una frustatanè unapunzecchiaturacome potreste immaginare. Viadarmaseguendo il costume del suopaeseprendeva le code dei due poveri animali e le attorcigliava un tantino frale dita. Lo zebù è sensibilissimo in quella appendice del suo corpoequandogli si usa un mal garbo simileè capace di prendere anche il galoppocome unsomaro qualunquea cui venga appioppato un carico di legnate.

Mentre i due cornipedi studiavano il passo in quel modo e perquella ragione che ho dettacolui che Viadarma aveva salutato col nome di Sahibdiede una sbirciata all'orologio. Erano le quattro dopo il meriggio.

- Arriveremo di giorno; - conchiuse; - meno male! -

Il rimanente della strada si fece in silenzio; silenzio deidue bipediintendiamocimentre i quadrupedi scalpitavano sul battuto dellastradafacendo scricchiolar la carretta e sobbalzar le valigie insieme col loroproprietarioche aveva cavato di tasca il suo taccuino per prendere alcuniappuntima dovette tosto rinunziarvie prendere invece un numero del Timesper leggicchiare gli annunzi.

Il corpo del giornale lo aveva già lettoparte in stradaferrata da Bombay a Sciolapure parte nei primi due giorni di quelpiacevolissimo tragittoin compagnia di Viadarma e delle sue bestie imbizzite.

Secanderabadov'egli giunse poco prima delle seiera lastazione d'accantonamento delle soldatesche inglesiche avevano l'ufficio diproteggere la persona del Nizam e di vigilare in pari tempo il governo. Ilnostro viaggiatore contava di trattenervisi a dormirema gli premeva anzi tuttodi andare al palazzo del residente britannicoe di ottenere una letteracommendatizianon solamente necessaria per essere ricevuto dal Nizam e dal suoministroma per entrare nel distretto di Haiderabadche era la meta del suopellegrinaggiopoco scientifico e molto capriccioso.

Perciòfermatosi al bungalow il tempo necessario perfissare una camera e dar ordini pel suo desinaresi fece condurre dal bègariViadarma un miglio più sufino al palazzo della Residenza. Il paese eramagnifico; si andava per una via largaalta e dirittaargine continuato d'ungran lago artificialel'Hussein Sagaril cui specchio azzurro caricoincorniciato nel verde dei campi circostanticontrastava allegramente con lecento miglia di pianura arida e brullache il nostro Sahib aveva dovutopercorrere.

Diciamoprima di continuare il raccontoche cosa fosse queltitolo di Sahibdato a tutto pasto dal bègari Viadarma al suo forestiero. Ogniviaggiatore europeoche abbia apparenza di gran signoreogni stranieroresidente in Indiache eserciti qualche ufficio autorevoleè per l'indianodella classe infimaagricoltore o artigianoun Sahib. E ciò percontrapposto al titolo di Topacon cui si distinguono gli europei diminor levaturaprendendo il nome da Topiche significa un cappello acupola tondaquello che in Italiaa Firenzesi direbbe paiolino.

Anche ad un signoread un Sahibè permesso diportare il topiil paiolino; ma non importaegli non sarà mai chiamatocol dispregiativo di cappelluccio. Giàbisogna ricordare che in India ognipersona di riguardo suol portare il cappello ad elmettood anche a pioppinofatto coi filamenti disseccati dell'agavecoperto di tela biancafoderato ditela verde per tutto il giro della tesae ravvolto per metà in un velo dimussolinai cui lembi svolazzano sulle spalle. A queste forme ambiguetra ilcappello e il turbantechi non riconoscerebbe il Sahib?

Torniamo al viaggiatore. Assorto nella contemplazione di quelpiccolo paradisoegli giunse fino a mezzo della spianata che si stendevadavanti al palazzo della Residenza britannicasenza pensare alla forma meschinadel suo veicolo. Ma d'altra parteperchè avrebbe dovuto vergognarsene? Non sicapitava mica a Trafalgar Squarenè all'imboccatura di Regent Street. Si erain Indiadove gli equipaggi signorili son rarie in una parte dell'India dovela mail-cartla carrozza di postagià costosissima per ogni borsameglio fornitanon si trova tutti i giornia comodo d'un viaggiatorefrettoloso. Il nostro Sahib aveva anche l'esempio di molti signoriamanti diviaggiare a piccole tappeche preferivano alla mail-cart l'umilecarrettacoperta con una stoia di palmee tirata da una coppia di buoi.

Sceso a terra d'un balzoil Sahib si avviò speditamenteall'entrata del palazzose pure è lecito di chiamare con tal nome una casa adue pianicircondata da una tettoia all'altezza del primo pianoa cui siascendeva per quattro o cinque scalini. Sotto la verandahai due latidell'ingressosi vedevano alcuni soldati inglesimezzo vestiti all'indiana. IlSahibappena saliti i gradini che mettevano al vestibolone vide un altrotutto vestito di rossospecie di veterano trasformato in usciere.

- Parliamo al gambero cotto; - diss'egli tra sè.

Indiavvicinatosi all'uscieregli domandò nel più puroinglese di Piccadilly.

- Si può parlare con sir Giorgio Lawson?

- Suo Onore non è visibile; - rispose asciutto il veterano.

- Quando potrò vederlo? Ho da chiedergli un salvocondotto…

- Le ore d'ufficio son passate; - replicò quell'altro; -anche il cancellieresignor Partridgeè uscito. Vostra Signoria può passaredomattina alle otto.-

Il viaggiatore stette alquanto sovra pensierocome uomo acui torni inaspettato il contrattempo; ma poi fece l'atto di chi si rassegnanon potendo aver altro.

- Sta bene- diss'egli- tornerò domattina. Intantofavorite di consegnare queste carte a Suo Onore… appena sarà visibile per lasua gente. -

Così dicendo cavò il portafoglio e ne trasse fuori unalettera. Era una commendatizia data a lui per sir Giorgio Lawson dal governatoredi Bombay. Vi aggiunse il suo biglietto di visitaa cui diede la pieghettinad'uso sopra uno degli angolie consegnò il tutto nelle mani dell'usciere.

Il veterano aveva data una sbirciatina al biglietto divisitache portava il nome del viaggiatore abbastanza lungosormontato da unacorona di cinque fioroni.

- Vostra Grazia sarà servita; - rispose eglimettendosialla posizione del soldato senz'armie recando la mano al berretto.

Sua Graziapoichè bisogna dirgli cosìdiede una voltatasui tacchi e si avviò alla scalinata.

In quel mentreun palanchinoportato da quattro uominivestiti di biancoera venuto a fermarsi davanti all'ingresso. Ne discendevanodue donnegiovani ambeduema molto diverse all'aspetto; una di mediocreapparenzanon bellavestita con molta semplicitàtipo di damigella dicompagnia; l'altra di forme elegantibiondacogli occhi azzurrila carnagionebianca vermiglia leggermente dorata dai raggi del sole indiano. Un bel riflessod'oro aggiunge bellezza alle donne biondeese voleteanche alle brune.Consiglio a tutte le belle un viaggetto in India; torneranno indorate.

La fanciulladiscesa per la primasi era subito voltalaindietroper dare amorevolmente la mano alla sua damigella di compagnia. Il Sahibne argomentò che avesse buon cuore e non fosse punto orgogliosa. Come vengonocerte idee? Come le sensazionida cui molte volte esse nascono. E non eranaturale che il forestieronotando la diversità di condizione che apparivaevidente tra quelle due donnerilevasse da quell'atto amorevole una prova dibuon cuore?

Un'occhiata della biondina venne a mutargli immediatamente ilcorso delle idee. Sentiva una certa compiacenza vedendo quella giovine signorache aiutava la sua damigella di compagnia a discendere dal palanchino; mal'interna allegrezza gli si cangiò in un sentimento di vergognao megliosela vergogna vi par troppo nel caso presentedi confusione. La giovine signoraaveva rivolti gli occhi alla carretta; peggio ancorasi era fermata tre minutisecondi a guardarla; quindivolgendosi all'ingresso della casaaveva scorto ilgiovinottone' suoi abiti di viaggiatorementre egli poneva il piede sul primoscalino. Quel ravvicinamento di due coseche in verità non erano distanti seimetri l'una dall'altrae ben dimostravano in quel luogo la loro affinitàfecepentire il Sahib di essersi presentato alla residenza di Secanderabad conun veicolo così poco decente. Rincresce sempre di sfigurare in presenza di unabella signoraanche quando non si è conosciuti da lei e si crede moltoragionevolmente di non averla a incontrare una seconda volta sulla faccia delglobo.

Il saluto che egli fece da buon cavalierenel passarledaccantoriuscì molto impacciato; cosa stranaper un uomo che meritava iltitolo di Vostra Graziadall'usciere della Residenza britannica. Ma quellacarretta tirata da una coppia di buoiquegli abiti sciatti e polverosie chisaprobabilmente anche la faccianera di qualche diavoleriacome a dire diuna combinazione naturalissima di sudore e di polverenon erano fatti perconcedergli molta padronanza di sè. Davanti ad una bella donnina succede semprecosì. Si è in un desertoe si vorrebbe apparire azzimaticome se alloraallora si uscisse dalla bottega del parrucchieresul noto marciapiedenellacittà del domicilio legale. Togliete la presenza della donnae a quelle inezienon ci si pensa più. A che si perderebbe il tempo in certe caricature? Non purela compagnia dei proprii similima neanche la solitudine più certa e piùcarameriterebbe un sacrificio di quella fatta. Non c'è notizia nei sacrilibriche Adamoavanti la creazione della donnausassemagari Diolavarsila faccia.

La signora guardò il viaggiatorema non saprei dirvi sevedesse tutte le brutte cose che egli pensava di avere sulla persona; indirisposto al suo saluto con un mezzo inchinoandò verso la scalinata. Quandosua Grazia il Sahib giunse alla sua misera carretta di viaggio e si volse perdare una sbirciata alla biondinaessa era già nel vestiboloe il viaggiatorenon ebbe altra consolazione che quella di vedere per l'ultimo lembo la vestegrigia (grigia come il suo tutto vestito) della damigella di compagnia.

- Andiamo ora al bungalow! - gridò eglicon pigliosdegnosomentre si adagiava sotto l'arco della sua stoiache non era inverità un arco di trionfoneanche posticcioquantunque fosse intessuto dipalme.

- Sahib- gli disse umilmente il conduttoreparlando neldialetto indostanoche il viaggiatore masticava abbastanza bene- tu non seimolto contento della tua visita?

- L'ufficio della Residenza è chiuso; mi tocca aspettarefino a domani; - rispose il Sahibdando così la ragione del suo malumore. -Andiamoviaspicciati.

Viadarmache era balzato sul timoneluogo a dir vero unpochettino ristretto ed incomodoma su cui egli stava fermo e tranquillo comeun ammiraglio sopra il suo ponte di comandoafferrò le code che sapeteediede una giratinache fu subito intesa. La carretta fece il suo mezzo girosulla spianata e ripigliò fragorosamente la strada per cui era venuta. Mezz'oradopo si fermava davanti al bungalowe il viaggiatore entrava nellacamera a lui assegnata.facendovi trasportare le sue valigie e le sue carabine.

Mentre egli si spolvera e si dà una riasciacquata alle manie alla facciadiciamo brevemente che cosa sia il bungalow. Ha questonome in India ogni abitazione europeafabbricata in una forma adatta al climatropicale del paese. Ma i viaggiatori chiamano più propriamente cosìabbreviando il nome di Dak-bungalowla casa delle posteche fa in paritempo servizio d'albergo. In queste casecostrutte ad ogni stazionesullestrade principali dell'Indiasi alloggiano i viaggiatori europei. Ognuna diesse ha due quartierinicomposti d'una camera da lettod'un camerino e d'unastanza da bagno. Gli arredi sono semplicissimi; un kànsamao servitoreaddetto alla casaprovvede e ammannisce quel po' di ristoro che i viaggiatoridomandano. L'alloggionon il vittosi paga una rupia al giorno (mezzo scudo enon più); ma bisogna andarsene dopo ventiquattr'orese capita un altroforestiero. Donde si vede che il luogo non somiglia punto ai nostri alberghid'Europadove si può star moltoma non è ugualmente permesso di spenderpoco. Altra differenza tra i nostri alberghi e i dak-bungalow. in quellisi ha da fare i conti con una mezza dozzina di personeche hanno tutteovantano di averediritto alla mancia; in questi non si corre altro pericolo chedi trovare un boa constrictor raggomitolato in un angolood una panteraappiattata sotto il letto. Maaffrettiamoci a dirloper non togliere lariputazione ai bungalowqueste noie non s'incontrano dappertuttonèsempre.

Un colpo dato discretamente sull'uscio con le nocche delledita interruppe il viaggiatore nelle sue occupazioni.

- Avanti! - diss'egliche già l'aveva finita conl'abluzione e lavorava a ricomporsi il nodo della cravatta.

La parola era stata pronunziata in inglesecome dovevaessere in una stazione di postatenuta da ufficiali di Sua Maestà britannica.Ma una parola solae di uso tanto comunepoteva anche essere intesa da unindiano come Viadarmail quale viveva in relazione continua coi padronidell'India.

- Ahsei tu? - esclamò il viaggiatorevedendo comparire ilsuo bègari. - Che cosa vuoi?

- Sahib- disse umilmente Viadarma- sei tu rimastocontento di me?

- Sì; - gli rispose il Sahibcol medesimo accento cheavrebbe adoperato per dirgli di no.

- Se tu fai conto di proseguire per Haiderabad- ripigliòViadarma- non posso io condurti fin là? … ed anche più oltre? -

L'immagine della carretta si disegnò davanti agli occhi delviaggiatore e gli fece torcere il viso in una maniera molto significativa.

- Non conoscerai la strada; - replicò eglicercando unpretesto per liberarsi.

- L'ho già fatta un centinaio di volte; e poidi qui allemura di Haiderabadnon sono che quattro coss. -

Il coss è una misura di distanzausata in Indiaequivalente a tre chilometrio poco meno.

Altri pretesti da metter fuoriil Saihb non ne aveva.Perciò rimase un istante perplessosenza rispondere al ragionamento diViadarma. Sarebbe dunque tornato a far mostra di sè in quel meschinoequipaggio? Per fortunala strada maestra proseguiva dal suo bungalowfino alle porte di Haiderabadsenza passare davanti al palazzo della Residenza.

- Ohsono uno scioccoio! - pensò egliirritato da quellascusa che il suo amor proprio gli aveva suggerita. - Perchè ho veduto quid'improvvisoin mezzo alla barbarieun ritaglio di eleganza europeaho davergognarmi di viaggiare in un carro da buoi? Che cosa sarebbe di meglio unacarrozzain questi paesi? Lo scigram? Sicurobella robalo scigram!Una vettura quadrastangata e sgangheratacon un odore di morchia che mette lanausea. Il dak-hari? Un carrozzone sdruscitopolveroso e pieno d'untocome i nostri delle vie provinciali. Vedete in che sciocchezze mi perdo io!

Viadarma stava in sull'alidavanti a luiaspettando la suarisoluzione.

- Sahib- diss'egli con un tono di voce che mirava adintenerirlo- non accetterai tu i miei poveri servigi?

- Sìresta; - conchiuse il viaggiatoredando un'alzata dispalle che mandava in aria molti dubbi e molte vanità; - partiremo domattinase questo maledetto residente sarà reperibile. -

Maledetto residente! Il viaggiatore disse proprio"maledetto" senza conoscerlo ancora di vedutae nemmeno diriputazione. Era vecchioo giovanequesto signor residente? Era un babboo unmarito? Il viaggiatore non ci pensò più che tanto; poteva dire a sua scusa chequesto signore lo condannava a passare una notte e a perdere una mattinata inSecanderebaddove non c'era niente da vedere. E ci fosse anco stato da vedereil tempio e il naso del dio Ganesache ha tra gli occhi e la bocca unaproboscide di elefanteo la tomba di Aureng Zebil grande imperatore deiMogolnon ora questa una buona ragione perchè egli dovesse fermarsie perchèil signor residente dovesse obbligarcelocon le sue ore d'ufficio. Il nostroviaggiatore aveva disegnato di andare fino ad Haiderabaded anche un pochettinofuori di strada… per fare una visita… per mantenere una vecchia promessa.Oraconverrete mecochequando si è promesso di andare a far visita aqualchedunoe che la gita è un po' fuori di manotra il 17° e il 18° gradodi latitudine Nord e il 76° e il 77° di longitudine dal meridiano di Parigiè ben lecito di seccarsi…a Secanderabad.

Viadarma si accorse che il Sahib non era intieramente di buonumoree fatto un inchino profondosi ritiròper andare nella sua stanzamolto più umile di quella del viaggiatore. Il disgraziato dormiva accanto allesue bestiedopo aver mangiata la sua scodella di risoche è il cibo deipoveri indiani; quando gl'indiani hanno il cibos'intende.

Era appena uscitoche dovette ritornare.

- Sahib!

- Che cos'è - gridò il viaggiatore spazientito.

- Indra ti assistamio buon padrone; ecco un messo dellaResidenzache certamente ti porta qualche buona notizia.-

Il viaggiatore trattenne un moccolo che già minacciava diproromperee fece due passi verso l'uscioper ricevere il messo. Era questi ilgambero cottopiù cotto del solitoperchè al rosso dell'abito si aggiungevail rosso delle guancie. Il veterano aveva fatta una corsa arrangolatasperandodi raggiungere il viaggiatore a mezza via; ma oltre che egli si era messo incammino dieci minuti dopo la partenza del forestiero dal palazzoc'era stata lacorsa dei due zebùche avevano percorso quel tratto di strada al galoppo.

- Suo Onore - diss'egli - era in giardinoquando gli hopresentata la lettera e il biglietto di visita. Egli mi ha mandato subito acercare di Vostra Graziaper consegnarle questo foglio. -

Così dicendopresentava al viaggiatore una bustadondequesti fu pronto ad estrarre un pezzo quadrato di cartoncino Bristolsu cuieranoin calce al nomepoche righe di scritto. "Sir Giorgio Lawsonesprime il suo rammarico al signor Duca di Marana y Cueva per non essersitrovato a riceverloe lo prega di volerlo favorire a pranzo. Senza cerimonie;da viaggiatorea diplomatico imbarbarito."

- A che ora il pranzoin casa di Suo Onore? domandò ilviaggiatoredi cui finalmente ci è dato conoscere il nome.

- Quando piacerà a Vostra Grazia. Fra pochi minutigiungeranno gli uomini col palanchino.

- Avrò tempo a mutar d'abitialmeno.

- Suo Onore mi ha ordinato di aggiungere a voce che VostraGrazia non si dia pensiero del vestito.

- Bene; ma ci possono esser signore…

Il veterano stette zitto; aveva fatta l'imbasciata; il restonon era affar suo.

- Andate pure; - ripigliò il duca di Maranavedendo di nonpoterne cavare più altro; - fra dieci minuti sarò pronto.

I minuti veramente furono quindici; ma tanti ce ne volevanoperchè sparissero i calzari di ruvido cuoioper dar luogo agli stivalini nerie perchè la camicia di lana e il fazzoletto di seta flosciacedessero il postoad una camicia di tela battista e ad una cravatta bianca. Per non aver aria diesageraretenne il suo tutto vestito grigioche già era spolverato a doveree rinunziò all'abito neroche non mancava certamente nella valigia.

Il duca di Maranabel cavaliere di trentasei anniviaggiavasempre cosìportando con sèanche sull'Imalaiatutto l'occorrente per fareuna visita e per andare ad una festa da ballo. Non si sa maidice il proverbio.

Armato di tutto puntoil bel cavaliere chiuse le suevaligielasciandole in consegna al kansamae uscì dal bungalowfelice di poter rinunziare al pranzo della cucina postalema più felice diavvicinarsi alla graziosa sconosciutache certamente apparteneva alla famigliadel suo ospite. Un pochettino di galanteria non guasta in nessun luogo delmondo; figuriamoci in India!

All'uscio del bungalowlo aspettava una fortunasingolare. Il palanchino era quello medesimo da cui un'ora prima egli avea vistadiscendere la biondinache lo avea messo di cattivo umorecosìinvolontariamentecogliendolo in flagranti di sordidezza e di sciatteria. Egliriconobbe subito i portatori coi loro duti bianchissimi intorno allavita; riconobbe le cortine bianche listate d'azzurroe le forme ampie delveicoloentro cui potevano stare due persone comodamente.

Vedete la stranezza del caso che toccava al duca di Marana!Ma in India tutto è contrasto: il cielo che non fa gradazioni di crepuscolo frail giorno e la nottela tigre che entra qualche volta in una cittàsenzaesser molestata alle porteil boa che attraversa maestosamente un binario distrada ferratail fanatico che rispetta tutti gli animali che incontra e cercadi strangolare tutti gli uomini che combina per viala caverna che è tempiola piramide che è sepolturail dio che si torce una gamba e si succiabeatamente il dito grosso del piedementre vi guarda con due occhioni ditrecento carati.

Il signor ducache oramai non chiameremo più nèviaggiatore; nè Sahibsi adagiò voluttuosamente sul cuscino elastico delpalanchino e affondò il gomito in un guanciale di piumedonde gli veniva allenari una grata fragranza di kiss-me-quick.

Ne' tempi paganiil passaggio d'una dea si avvertivaall'odor dell'ambrosiache restava a mezz'aria.

- Non c'è più dubbio; - pensò il duca; - rivedrò lasignorao signorina che sia. E poi? E poi niente; gli occhi avranno avuta laparte loro. La vista d'una bella biondanel paese delle brunenon è dadisprezzarsiperbacco! -

 

 

II

 

Il sole era tramontato dietro le lontane creste di Sattara ele ombre della notte cadevano d'improvviso sul lago d'Hussein. Per altroanchedi nottela strada della Residenza era sicuraassai più sicura di tantealtrenelle città principali di Europa. Lungo i parapetti dell'arginesivedevano qua e làcome profili confusamente abbozzati nel fosco dell'ariaisoldati della Residenzaposti in sentinellaper invigilare il tragitto delforestiero.

All'apparire del palanchino sulla spianata del palazzosirGiorgiovestito di nero con la cravatta biancatanto per far vedere che nonera punto imbarbaritocome gli era piaciuto di scriverediscese la scalinatadella verandahper farsi incontro al suo ospite. Lo spagnuolo gli erastato raccomandato dal governatore di Bombay come un viaggiatore di qualitàacui bisognava agevolare il passo attraverso gli stati del Nizamdov'egli sirecava per istruzione e diporto. Ora si capisce che sir Giorgiodavanti allalettera di passo per Haiderabad mettesse un invito a pranzo; cosa del restonaturalissima in un paese dove i personaggi d'importanza non capitano mica adiecinee dove l'arrivo d'un viaggiatore europeo è una fortunaunabenedizione del cielo. Si barattano quattro ciarlesi rifà la mano alle usanzecivili della patria lontanasi discorre di politica e d'arte; infinesiripiglia un pochino di familiarità con l'Europa. L'ospite è un amicounmessaggeroun librouna rassegnaun giornale parlatoche vi dà la materiadi molti stampatie vi costa meno e vi diverte di più.

Sir Giorgio Lawson era uno di que' tipi inglesiche ci vuolpoco a dipingerliperchè constano di poche linee e di pochissime tinte. Avevai capegli quasi bianchi e li portava tagliati a spazzola; stretta la fronte esporgente su d'un naso aquilino e lungoche dominava le due curve delle guancecurve a dir vero un po' rapidema interrotte a tempo da due fedinealquantopiù nere dei capegliche aiutavano a dissimulare l'ampiezza cartilaginosadelle orecchie; gli occhi limpidi e pieni di vita; la bocca rigidaasciuttamaornata di bei dentiche non avrebbero sfiguratoper la bianchezza dell'avoriodavanti a quelli di un giovane elefante; il mento e il labbro superioreaccuratamente rasi; alta la personae leggermente curve le spallema non perdifetto naturalesibbene per un certo vezzo diplomatico di tenere il colloaffondato nella cravatta. Già si saun diplomatico deve sempre aver l'aria dinascondere qualche cosa. Nel complesso appariva un uomo scarnoma solidamentecostrutto. Poteva aver cinquant'anni; i capegli bianchi e quel po' d'incurvaturadelle spalle gliene facevano dare sessanta; le fedine scuregli occhi azzurri elimpidi e il sorriso che metteva in mostra una dentiera invidiabileglimeritavamo di essere ricondotto ai cinquanta.

Il degno gentiluomo si avanzò cortesemente verso ilpalanchinocome per aiutare il duca di Marana a discendere. Ma questi non glidiè tempo di scomodarsi fino a tal segnoe scivolò destramente dal cuscinomeglio che non avesse fatto la bella biondina in quel medesimo giornoobbligatacom'era a ravviarsi i lembi della veste. La gentilezza di sir Giorgio sirestrinse adunquee si espresse con maggior forzanel saluto britannico dello shake-handatto di umanità che qualche volta vi fa così maleperchè vi sloga unbraccioo ve ne irrigidisce le articolazioni. La qual cosa fa ricordare ilcolpo dei giuocolieri egizianiche ancora ai nostri tempi rinnovano un anticomiracoloquello di mutare i serpenti in verghepoichè li afferrano per lacodali scagliano a tutta forza fin dove può andarne la testae sorridenti vioffrono quella loro mazza improvvisatache voi certamente non vi fidate diagguantare dal pomo.

- Perdonatesignor Duca… - incominciò a dire sir Giorgioadoperando la lingua francesecome la più comune e la più facile adintendersi.

Ma il duca di Marana lo interruppe alle prime parole.

- Parliamo inglesemilordve ne prego. L'inglese è lalingua dei viaggiatori. Siete gli alfieri della civiltà e avete il diritto dichiedere che vi si parli nel vostro idioma nazionale.

- Io vi ringrazio; - rispose sir Giorgiodopo averglimostrato in un sorriso amabilissimo i suoi trentadue magnifici denti.

E gli regalò frattanto una seconda strappatache avrebbedato da pensare seriamente ad ogni gentiluomo troppo amico dei complimenti.Infattiguai a fargliene tre o quattro di seguito; c'era il pericolo dirimetterci un braccio.

- Non ero più in uffizio e non potevo certamente aspettarmil'onore di una vostra visita; - riprese a dire sir Giorgioparlando liberamentela sua lingua. - Il degno signor Blackburne mi aveva bensì annunziato il vostroarrivoma senza farmelo sperare così sollecito. Avrete domattinaa quell'orache vi piaceràil foglio d'introduzione presso il divano di Haiderabad; noivedremo intanto di farvi sopportare con pazienza questo piccolo contrattempo.

- Milordche dite voi mai? Nessun contrattempo sarà maistato per un povero viaggiatore più piacevole di questo. -

Così dicendoil duca di Marana prese arditamente la mano disir Giorgio e la strinse egli tra le sue. Era quello il buon metodo.

- Ho piacere che la intendiate così; - disse allora sirGiorgio. - Noi dunque compiremo l'opera senza tanti discorsi. Voi non poteterimanere questa notte al dak-bungalow;non è luogo per voisignor duca.Se permetteteil mio segretario andrà a far ritirare le vostre valigie. Non midite di no; in queste solitudini l'uomo si guastadiventa autoritarioprepotentee non patisce contraddizioni; abbiate dunque pazienza finoall'ultimo.

- Milordvoi possedete il segreto di farvi amare ed obbedireda chiunque vi vede per la prima voltaed anche da chi riceve due righe divostro pugno. Questo si direbbe un saggio di magnetismo a distanza. Io hoobbedito alla vostra lettera; obbedirò doppiamente alla vostra parola. Mi duolesoltanto che per me…

- Ohnon cerimonievi supplico. Qui abbiamo dovutosmetterne una metàper servirci anche assai poco dell'altra. Venitesignorduca; lady Lawson ci aspetta.

Questo nome di lady Lawson fece una strana impressionesull'animo del duca di Marana. Tra le cortesie ospitali del residente diSecanderabad e la veduta di quella graziosa biondina che sapeteegli nonavrebbe voluto a nessun costo il ravvicinamento di una immagine matrimoniale. Mail duca si rasserenòentrando nel salotto. La signora Lawson era làsedutapresso il suo tavolincino da lavorosotto la luce diffusa di una lampada Carcelche metteva in evidenza le sue forme matronali. Bionda lo erae bianca delpari; ma il biondo del capegli era assai più vivo di quello che egli avevaveduto e ammirato due ore prima; il bianco delle carni era più lucidoe amezzo delle guance sottilmente venato di rosso. Nè queste erano le soledifferenze tra la figura che gli stava dinanzi e quell'altra. La signora Lawsonpoteva dirsi ancora una bella donnanel senso più largo della parola; ma icontorni della persona non avevano più quell'aria di eleganzache deriva da uncerto grado di snellezza. A farvela brevela compagna di sir Giorgio non erapiù una ninfaepoichè siamo nella patria di Bramadiciamo che avrebbesostenuta con miglior esito la parte d'idolo indiano.

La padrona di casaa cui fu presentato il nostroviaggiatoresi chiamava lady Evelina. Il nome vi parrà che contrasti unpochettino col fisico; ma che ci posso far iose l'idolo indiano portava ilnome gentilesottilinoaffusolato di Evelina? Quante Aurore non si trovanosulla faccia del globoche son nere come la notte? quante Malvineche pesanocento chilogrammi? quante Margheriteche giuocano a tombola e si scaldano collacassetta da piedi? Ma lasciamo queste piccolezzee passiamo a sbrigarci diun'altra. Quello di lady è un titolo che tocca alla signora Lawsonquantunque non sia moglie di contee neanche di baronetto. Suo maritoappartiene alla gentryquella classe tutta britannicain cui isecondogeniti e i terzogeniti dei grandi signoridi coloro che siedono allaCamera altasi trovano mescolati con tutti i figli del popoloinnalzati dallavorodalla educazionedalla ricchezzaa meritare il nome di gentlemenin attesa che riescano a meritarsene un altroche non cancella questoma glifa compagnia. Del restoun altro titolo il nostro residente lo ha; è esquirecioè un quissimile di cavaliere; l'ufficio diplomatico che esercita gli hafruttato di poter mettere il Sir in luogo del Mister. Diciamodunque Lady Evelinascambio di Mistress Evelinae su questemiserie non ci si torni più.

Il duca di Marana osservò con piacere come la moglie del suoospite fosse tutt'altra da quella che egli per un momento aveva temuto. Temuto!Sìproprio temutomantengo la parolaquantunque non sia da attribuirle ilsignificato d'una paura molto profonda. Che cosa ci trovereste di strano se lavista di una bella creatura gli avesse fatto senso laggiùin una mezzasolitudine indianapiù che non ne faccia di solito una vista consimile in unacittà europeadove le bionde e le brunesecondo i gustis'incontrano acentinaia?

Del restolettori umanissimimettetevi una mano sul cuore edegnatevi di riconoscere la verità. Anche senza uscire da una città europeaestando in mezzo al semenzaio delle belletutti vi siete un po' scossivedendone una che fosse nulla nulla più appariscente delle altre; tutti ciavete pensato e ripensato più volte in un giorno; tutti avete edificato qualchecastello in ariadandogli sesto e popolandolo a vostro modocon quel concettoegoistico di possesso esclusivo ed assolutoche si annida nell'animo di ognifedel cristiano. Ora portate questi pensieri tra il 76° e il 77° grado dilongitudine dal meridiano di Parigi; fateli covare dalla solitudinescaldaredal sole dei tropici e più ancora dagli occhi di una bella europeacapitatalì per lì come una visionee poi… e poi scagliate la prima pietrase vidà l'animoal signor duca di Marana.

Il qualedopo tuttonon ne aveva mica presa una cotta. Gliera piaciuta la giovine signora del palanchinola bionda e bianca figliuola d'Albioneche faceva contrasto così vivo e gradevole con le facce di cioccolata di quelleregioni predilette del sole; l'avrebbe riveduta molto volentierie non avrebbedetto di no a chi gli avesse lasciato intravvedere un miccino di flirtationdi innocente galanteria; ma certo non era andato più oltrenon pensava affattoa incominciare un romanzocome potreste argomentare voi altriche vedete icominciamenti del mio.

Per intantocon tutto il piacere che avrebbe provato arivederlanon fu punto addolorato di non ritrovarla; che anziegli si sentìmolto più libero e franco presso lady Evelinadonna a cui bisognava rendergiustiziacome in generale bisogna renderla alle donne inglesidonne cosìpiene di misura e di sennoe nel governo della casa insuperabili.

Confessiamolo liberamente; è proprio nella donna inglese chesi manifesta la nobiltà di quella schiatta colonizzatricela quale porta lesue costumanze domesticheil suo at homedovunque ha spinti i segnidella sua operosità insaziabile. E ciò aiuta a farla rispettaree a farleaver pazienza per ciò che riguarda l'amore dei popoli; cosa che potrà venirepiù tardi e di cuialla stretta dei contisi può anche far senza. Orailmiracolo di questa rispettabilità oltre i confini della patria è tutto delladonna e della sua partecipazione agli ardimenti del marito. Operosoaudacetemerarioegli si avanza da per tuttodall'equatore ai poli; ma cento inglesisommati insieme non sono più di cento inglesicome cento francesi non sonopiù di cento francesi. Tuttaviamentre cento francesianche ammogliatiquando vadano a vivere lontani dalla terra natalesi sparpagliano facilmente esi mescolano volentieri col popolo a cui hanno chiesto ospitalitàcentoinglesinelle medesime condizioni domestichenon si fondononon siconfondono; fanno manipolodiventano coloniae valgono per diecimila. Unagentile compagnache è donna in giusta misura e delle altre donne non ha tuttele debolezzenè tutte le pretensioniuna casa che contiene ogni cosanecessaria alla vita ed anche ogni cosa superfluail fumante allasua ora e le inevitabili sandwichesi bambini snelli che ruzzano ingiardino con le gambe nude e pavonazze dal freddo nel cuor dell'invernosoncose che si vedonoper opera d'una coppia inglesein ogni parte e sotto ognilatitudine meno ospitale del globo. L'Inghilterra militante estende così lafitta rete de' suoi avamposti. RuleBritannia! E di ciò va gran meritoalla donna inglese. Non già che le altregeneralmente parlandonon sappienoaver casa e governarla a dovere; ma il fatto è questoche essa ci mette unadevozione più costanteuna solennità più continua. Doveper esempioladonna francese regnala donna inglese pontifica.

Queste coseche vanno intese sui generaliessendoci donnedi tal fatta in tutti i paesi d'Europaandava pensando il duca di Marena nelsalotto di lady Evelina. Al nostro spagnuolo certi dispiaceri di gioventùmapiù ancora le consuetudini della sua vita randagiaavevano tolti i dirizzonidel capo. Il viaggiatore incomincia dall'ufficio di giudico e passainsensibilmente alla dignità di filosofo. Gl'indiani direbbero che egli haraggiunto il nirvanail colmo della felicità nella muta contemplazionedell'essere.

Soggiungoperchè non l'abbiate in conto d'uomo gravecheil duca di Marana era un giudice poco severo e un filosofo sui generische girava naturalmente al poeta. Si accendeva per le belle cose con lafacilità di uno zolfanello. Credo che con eguale facilità si spegnessemasenza volerne convenire. In gioventùcome sanno i lettori che lo hanno vedutotra i personaggi di un'altra storiaaveva amato e sofferto; donde gli eravenuto un sacro orrore por certi vincoli e morbidezze del cuore. Ma perchèqueste sono le conseguenze inevitabili della vita ristretta in un dato luogoegli aver presa saviamente la risoluzione di non fermarsi a lungo in nessuno. Ilche non gl'impediva di render giustiziad'intenerirsidi fare omaggio allabellezza; e appunto or ora lo abbiamo veduto alla prova.

Una figura che gli piacque pocosebbene tanto carinafuquella di un giovanequasi di un adolescenteche era nel salottoe che sirGiorgio gli presentò come il signor Lionello Edgeworthfiglio di una suasorellae addetto come lui alla amministrazione delle Indie. I cuginisi sapiacciono sempre poco agli stranieriforse per contrapposto alla simpatia cheispirano qualche volta alle cugine.

Ma leila cuginadov'era? Ed era poi certo che ci fosse? Labionda del palanchino non poteva essere una visitatriceun'amica di ladyEvelina? A Secanderabaddove c'era una residenza britannicacol debitorinforzo di ufficiali militari e civilipoteva trovarsi benissimo un certonumero d'inglesinemogli o figliuole di maggioridi medicidi provveditoridi giudicie chi più n'ha ne metta.

Pureil duca di Marana non disperò. Una voce interna glidiceva che la bionda del palanchino apparteneva alla residenza e doveva apparireda un momento all'altro sul limitare del salottoove si stava aspettando l'oradel pranzo; un pranzo in ritardocom'era naturale che fossein un paesetropicalee privo per giunta di quei divertimenti che occupano da noi le lungheore serali.

Dopo qualche minuto di conversazionesir Giorgio domandò asua moglie:

- E Maud?

- Voi lo sapeteamico mio- rispose lady Evelinaaquest'ora Maud passa in rassegna la sua piccola corte. Ma ecco miss Elena che nesaprà qualche cosa. Miss Elenavi prego- soggiunse lady Evelinaparlando aduna persona giunta allora nel salottonella quale il duca di Marana riconobbela meno appariscente tra le due signore del palanchino- chiamate miss Maud;suo padre desidera di vederla.-

Miss Elena si ritiròfacendo un inchino; intanto il duca diMarana ripeteva mentalmente il nome di Maud.

Quel nome gli era suonato dolcemente all'orecchio. Era unmonosillabo; macontro il consueto dei monosillabiaveva un non so che disoave e di lento. Bontà del dittongodiranno i lettori. Mapensatesignoriche quel dittongoanche un tal po' strascicatocome portava l'usosi riducevaad una sola vocalee proprio quella per cui meglio si arrotonda la bocca.Aggiungete che la prima lettera di quel grazioso monosillabo vuole un leggierosbattimento di labbrae che l'ultima non richiede altra fatica fuor che distringere i denti e di premervi mollemente colla lingua. Dove trovarein piùbreve spazioun più dolce raccozzamento di suoni?

La graziosa portatrice di quel nome apparve finalmentesull'uscioaccompagnata da miss Elenache non aveva durato fatica a trovarla.Miss Maudsecondo la frase di lady Evelinapassava in rassegna la sua corte; adirvela in termini più volgariera andata a visitare la sua uccelliera e ilsuo pollaioper sincerarsi co' suoi occhi se i bengalini dormissero tranquillisui loro bastoncellise le galline cinesii fagiani di Siam e gli uccelli delparadiso non mancassero di becchimee specialmente d'acquaper la mattinavegnente; infinese i graticolati delle gabbie fossero sicuri da ogni invasionenotturna. La precauzione non era soverchia laggiùdove i giardini non sonosempre così ermeticamente chiusinè le aiuole così aperte alla vistachenon possa strisciarvi e appiattarvisi una bestia maleficaingannando lavigilanza degli schiavi più accorti.

Miss Maudche bisognerà sbozzarvibene o malecon quattrocolpi alla lestaera vestita di mussolina bianca; stoffa e colore checonferiscono grandemente alla idealità delle figurevoglio dire aquell'effetto per cui esse si accostano meglio ad un tipo superiorenonmateriale affatto e non affatto spiritualeche tuttianche involontariamenteci siamo foggiato dentro di noiun po' per consuetudine d'astrazionifilosoficheun po' per lunga tradizione di abbellimenti artistici. Adaccrescere quella idealità concorrevano certi svolazziond'erano ornatiquasifittii lembi della vestee una gorgiera sottilmente pieghettatasminuzzatamorbidaleggerissimache faceva pensare ai colombiod ai cigniquandoarruffano per vezzo le piume intorno al collo. Le grazie del volto avevano alcunche di acerboche non mancava di attrattivema che un giudice severo avrebbeforse gabellato per durezza di contorni. Giàs'indovinamiss Maud ritraevamolto dal padre. Di sir Giorgio aveva gli occhi azzurri e l'ovale del volto unpochettino allungato; di sir Giorgio i denti bianchissimi e tutti in mostra adogni sorriso; certamente più piccolima sempre di quella forma salda e diquell'impianto dirittoche dinotano la fermezza tradizionale della razza. Infondoe per non stare a ingentilire in forma femminea tutte le qualità e idifetti del residente britannico di Secanderabaddirò che miss Maud somigliavaal padrecome una bella e fresca ragazza può somigliare ad un uomo attempatoe non modellato sul tipo dell'Antinoo. Era alta quasi come luima la curvapaterna diventava in lei flessuosità di salice. Aveva di suo certiatteggiamenti di testacerte mosse repentineche davano alla sua figura uncarattere spiccato d'ingenua risolutezza.

Idealitànon voluttà; questo era il sentimento che destavanell'animo la vista di miss Maud. I più volgari osservatori potevano in quellavece fermarsi a notare la sana freschezza del viso e una certa sprezzatura dicontorniche dava alla sua persona l'aspetto un po' rigido ma franco dellefigure tirate giù alla bravasenza tante ricercatezze di curve e disottosquadri. Nessuno ci avrebbe trovate quelle morbidezze che nella fanciullafanno presentire la donnala sirenal'incantatricee tutto quel peggioomeglio che vorrete voi. Offriva l'immagine di una graziosa compagnacheall'uopo sarebbe potuta diventare anche forte. Ma chi ci pensaalla compagnagraziosa e fortequando si vede per la prima volta una donna? Una schiavamagari; una reginaecco il punto.

Alle cortecapirete che miss Maud non doveva essere unabellezza pericolosa. Il duca di Maranaa cui ella aveva fatto un certo sensoveduta al fianco della sua damigella di compagnia (una donna mal riuscitacomese ne incontrano tante) e dopo una quindicina di giorni passati in mezzo atroppe facce di bronzoora che la considerava più da vicino e con animopreparatodoveva trovarci ad uno ad uno i difetti. E questonon senza piacereintendiamoci. Si ammira la perfezioneo ciò che sembra accostarvisi; ma si ècontentidopo tuttodi non averla troppo vicinaa confonderci lo spiritoafarci perdere quella padronanza di noi medesimiche è certamente il piùprezioso dei beniusciti un giornoinsieme con tanti malidal vaso di madonnaPandora.

Se non temessi di farvi arricciare il naso con certiparagonidirei che le bellezze perfetteo giù di lifanno l'effetto deipranzi solenni. L'abito nero e la cravatta biancale presentazioni cerimoniosele frasi che vanno foggiate in quel modo e mai in quell'altrotutto incominciaa mettervi i brividi. Poi c'è da offrire il braccio ad una padrona di casacheha uno strascico lungo un miglio; poi c'è da prender posto come vuole unservitoree pregar Dio che vi faccia sedere a tempocioè non prima che egliabbia fatta scivolare destramente la sedia fino al punto necessario; quindibisogna badare al modo in cui si mangia e al tempo che ci si spendeche non siatropponè troppo poco; indi a pesare e a misurare i proprii discorsiche nonescano di rigae non vi facciano parere un imprudenteo un noioso; il resto siomette per amore di brevità. In quella vecela tavola d'un amicosenzacerimoniama con quel piatto di buon viso che sapetecon quelle due ciarlealla bella liberacol permesso magari di batter la lingua contro il palatoquando il vino è buonoe di tornare a riempir la scodella quando la minestrapiaceditelettorinon vi sembra la mano di Dio?

Prevedo la rispostaspecie se siete ancora a digiuno.

 

III.

 

La tavola di sir Giorgio Lawsonquantunque non offrissenulla di straordinario alla vistarecava l'impronta di una severa eleganza.Rammentate che siamo in Inghilterra; dovendosi riconoscere per talenonsolamente la casa di un residente britannicoma ogni luogo in cui si trovinoinglesi raccolti a famigliacon tutti i loro usi e costumida cui non èfacile che vogliano separarsi.

A proposito d'usi e costumialla tavola di sir Giorgiodurava quella consuetudine delle famiglie inglesiche fu già nostrama chenoi abbiamo perduta da un pezzoavendola forse per troppo semplice e primitivadi certi uffici di vigilanza quasi materna assegnati alla padrona di casa. Cisono de' piatti che non passano in giro; dipendono da leiche fa le parti e lodistribuisceo le fa distribuire; e ciò con una regolarità ammirabileconuna semplicità che non manca di grandezzae può valere assai meglio dellafastosa parata di cinque o sei servitori affaccendati a servirvi.

Mi dicono che questa usanza si vada perdendo anche nel RegnoUnito; ed è malea mio credere. La famiglia non può starenon puòprosperaresenza un pochino di patriarcato; e questa usanza patriarcale è unadi quelle che dànno il tono alla vita domestica. Chi crede che la moda debbasoverchiare in ogni cosas'inganna. La dignità non è sempre con la moda.Cedrico il Sassoneco' suoi servi seduti alla gran tavola padronale di quercianon ci scapita punto di grandezzaanche a paragone del duca di Wellington.

Roba vecchiasi dirà; veniamo al tempo presente. Ai duecapi della tavola sedevano i due coniugilady Evelina e sir Giorgio; il duca diMaranal'ospitealla destra di lady Evelinae alla sinistra di miss Maudchedava la destra a suo padre. Dall'altro lato di sir Giorgio era miss Elenaladamigella di compagniae tra questa e lady Evelinail vezzoso LionelloEdgeworthche saettava d'occhiate la cuginetta miss Maud.

Il duca di Maranascambiando parole con tutti i commensalie per conseguenza voltandosi spesso alla sua destranotò che la cuginettaserbava un contegno lodevolee non sfuggiva nè cercava gli sguardi del vezzosoLionello. Doveva esser freddae poco espansiva; almenoa giudicarne dal primoaspetto. Rispondeva brevementequasi a monosillabima senz'aria di scioccatimidezza. Il duca di Marana argomentò che i discorsi avviati in principio ditavola le piacessero poco; o cheavendoci poco a vederenon ci trovasse nullaad aggiungere.

Con un viaggiatore a mensadi che parlarese non di viaggi?Il duca di Marana era stato lungamente in Inghilterra; questo s'indovinava dallascioltezza con cui parlava la lingua di Byron. E di questo gli fece complimentosir Giorgio.

- Dopo tuttovoi siete un poliglottasignor duca; - glidisse; - le lingue d'Europa vi sono tutte familiarie da qualche vostra parolaho potuto capire che ne conoscete anche qualcheduna dell'Asia.

- Ahl'indostanovolete diresir Giorgio? Per timore o perforzaho dovuto impararlonel mio primo viaggio alle regioni del sole.Occasione e necessità sono due grandi maestre.

- Ma voi riposerete un giorno da questi viaggi continuiedarete alla patria gli ultimi servigi di un uomo sperimentato.

- Sir Giorgiovi pregonon mi parlate di servire la patriacon la mia esperienza. C'è un modo di servirlache non patisce eccezionieche fortunatamente non ci è mai contrastato da nessuno: quello di servirla conpericolo della vita. Ma di questograzie a Diola Spagna non ha oggi mestieri.Ogni altro serviziodi politica internadi amministrazionee via discorrendolasciamolo pure in disparte; non è fatto per menè per molti che la pensanocome me.

- È lecito di chiederne la ragione?

- Ohve la dico subito. Perchè nessuno dei vostriconcittadini vi crede disinteressatosolamente animato dal desiderio delpubblico bene. Non ci avete pensato maialla prima accusa che vi fanno?

- Veramentene fanno parecchie; - osservò sir Giorgioaccompagnando la frase con un fine sorriso; - ma un uomo serioche guardadavanti a sènon deve curarsene punto. Del restol'ambizionepoichè diquesta accusa m'immagino che voi intendiate parlarel'ambizione è unsentimento lodevolequando ci sia la coscienza del proprio valore.

- Egregiamente- replicò il duca di Marana; ma tutti diconoquesto per sèanche coloro che sanno benissimo di non valere un bel nulla.Perchèinfinel'uomo si conosce più che non credano i filosofie non c'èbisogno della massima di Biante. Era Biantel'autore della massima? Non miricordo. Mettiamo un savio della. Grecia. Ne hanno dette tantequei sette Saviche c'è proprio da confondersi. Ora io dico che tutti gli uomini sono benissimodisposti a concedersi il diritto d'ogni ambizionema ugualmente disposti atrovare che essa è un torto negli altri.

- Il fatto è vero; - disse sir Giorgio; - ma l'esempio èbuono per tutti. Lasciar cantarebisognae seguitar la sua strada.Persuadetevidunque.

- Ho il dispiacere di non potervi accontentare; - disse dirimando il duca. - Reso inutile un argomentome ne resta un altroe d'indoleassai più personale. Ho un'ambizione davveroa dirvela qui in confidenza;quella di stare a vedere le cose di questo mondo dall'alto.

- Come si vede la terra dalla navicella di un globoaerostatico! - esclamò ridendo sir Giorgio. Parlatene allora a mia figliachemuore dal desiderio di andare in pallone.

Miss Maud si fece tutta rossa a quello scherzo del babbocherichiamava su lei l'attenzione dell'ospite.

- Ahla signorina ama le forti commozioni? Non so darletorto; - disse il duca di Marana. - Ma ioper vedere la vitaci ho qualchecosa di meglio: l'imperiale di una diligenza.

- Ed è meglio? - chiese miss Maudtirata a suo mal gradonella conversazione.

- Notatesignorinaho detto per vedere la vita; prosa conprosa. Anch'io amo i viaggi in ariama per altre sensazioni che essiprocacciano all'uomo; non per vedere la terra che fuggesibbene il cielo che siavvicina.

- Meno malequesta è poesia; - notò il residente.

- Sicuroe la signorina meritava questo intermezzo; -rispose il galante spagnuolo. - Ma torniamo alla prosa. Per veder bene le cosedi questo mondoe filosofarci sopral'imperiale di una diligenza è il luogopiù adatto. Io ne ho fatto l'esperimento; e lo avrete fatto anche voimionobile signore. Non vi è occorso mai di passarecosì appollaiatodi buonmattinonel bel mezzo d'un paesecittà di provinciao villaggioche sisvegliava in quel punto? Una finestra si apriva e vedevate nel vano un signoreche prendeva la sua prima boccata d'aria frescaappena sceso da letto. Perchèsi vestiva quell'uomo? Per far colazione; poi per ricever seccature e darne asua volta; rifare dei contimandare avanti una literecarsi in piazzaleggereil suo giornale al caffètagliare i panni addosso a qualcheduno. Roba di tuttii giorniristretta in un gruppo di case; irepassionisopraccapi: e tuttoquestoperchè? Per ottenere l'appoggio del talesoppiantare il tal altrometter mano nelle cose del comuneamministrare l'opera piavincere unpuntigliobuscarsi una crocein attesa di quella gran falciatura… Domandoscusanon sono discorsi da farsi a quest'ora. E intanto che l'uomo si prepara aquesta bella giornatauna delle trecento sessantacinque dell'annoche sirassomigliano tuttela diligenza passa con gran fragore di ruotee ilviaggiatore sovr'essa. L'unica cosa buona che ci sia in quel paese l'ha godutaluisenza contorno di noie; ed è la prospettiva del villaggiochiusa tra duemasse di verdesotto un cielo di zaffiro. C'era una curiosità da osservare? unmonumento da ammirare? una poetica rovina da copiare con due tratti di matita?Ha osservatoha ammiratoha copiatoed è partito a tempo da quel graziosonido di vespe. La vitaè un passaggiosi è detto; passiamo dunqueè ilmeglio che ci si possa fare.

- Se tutti potesseromilord! - entrò a dire lady Evelina. -Se non si facesse altro che viaggiare!

- Ahsignora! Ecco il guaioil punto debole del miosistema. Non tutti possono viaggiare; ma chi puòbene o malechi non havincolinon dovrebbe far altro.

- Giànon aver vincoli! Ma viene un giorno che lasolitudine pesa non fatemilordil torto al nostro sessodi credere che ungentiluomo come voi possa star senza una gentile associata.

- No certamentenon lo farò. Ma il trovar l'associata nonè la cosa più facile di questo mondo. Vedetemilady; per meviaggiatoreimpenitenteci vorrebbe una rondinema senza quell'amore alla grondaiachetrattiene qualche volta le rondini. Oraè della donna il regnare nellafamigliaed anche in terra lontanapassato un lungo tratto di mareedificarviil grazioso suo nido.

Così dicendoil duca di Marana faceva un amabile inchinoalla padrona di casa. Lady Evelinacui andava diritto il complimentoglirispose con un sorriso e con un cenno del capocome avrebbe fatto uncorcontento di gessoleggermente cullandosi sulla rotonda sua base.

- Comprendo che rinunzierete all'associata; - diss'ella; - maalmeno un associato… un amico…

- Ahmilady! L'amico è una cosa raraun caso nella vitaun fenomenoun'eccezione. Parlos'intendedi un amico che si sacrifichi pernoicome noi ci sacrificheremmo per lui; non parlo dell'uomo di cuoreche siè conosciuto alla provapel quale sentiamo una profonda simpatia e cherivediamo volentieri ogni qual volta se ne offra l'occasione. Eccoper esempiodi questi amici io ne ho unoper cui faccio appunto il mio secondo viaggionell'India.

- Per un amico?

- Per un amicomilady.

- Ma questo è un fatto anche più raro; chiamiamolo adirittura un miracolo; - osservò ridendo lady Evelina. - Dovevate essere moltointrinseci!

- Non tanto; ci siamo parlati a mala pena due volte. L'hoconosciuto e mi è fuggito dagli occhiper recarsi a vivere in India. Peraltroho avuto il tempo di promettergli una visitae son venuto a mantenerglila mia promessa. Non è un bel fattomilady?

- Voi lo dite celiandosignor duca; ma è un bel fattodavvero. E in qual provincia dell'India è ora l'amico vostro?

- Nel Nizamnon lungi di quisebbene la difficoltà diandare avanti senza una lettera di sir Giorgio me lo faccia parere lontano. Eccodel resto un indugio felice; - soggiunse il duca di Maranacon la sua solitagalanteria. - Egli me lo perdoneràdopo avermi aspettato tre anni; anzi sesapesse dove io mi trovo in questo puntom'invidierebbe di certo.

Il corcontento rispose con un altro cenno del capo. Miss Maudche non aveva da vederci nullanon facendo lei gli onori di casachinò gliocchi sul piattoma non potè astenersi dal pensare che il duca di Marana eramolto gentile. Lionello Edgeworth trovò in quella vece che lo spagnuolochiacchierava troppo; manon essendo il caso di pubblicare la sua scopertanèdi consolarsi del suo silenzio negli occhi della bionda cuginasi rassegnòall'ufficio di finire la sua porzione di plum-puddingche era veramentesquisito.

- Permettete; - gridava intanto sir Giorgiocon l'aria di unuomo che afferra un'idea per aria; - non è spagnuoloil vostro amico?

- Noè italiano.

- Dovrebb'essere allora il filologo di Paravady.

- Filologo! veramenteil mio amico è naturalistae sichiama…

- Laurenti; - disse sir Giorgioterminando la frase. Èanche naturalistama da un anno si è dato specialmente agli studi filologici.

- Lo conoscete?

- Non di personafinora; ma abbiamo avuto occasione discambiarci qualche lettera. Passano per le mie mani le sue eccellenti memoriealla Società Asiatica di Calcutta e le raccolte geologiche mandate da luiditanto in tantoal Museo reale di Londra. Lavora assaiil vostro signorLaurentied ha trovata qui una ricca miniera.

- Una miniera! di diamantiforse? Questo dovrebb'essere illuogo.

- Dico così per modo di direquantunquecome aveteosservato benissimosiamo appunto nel paese dei diamanti. La miniera di cuiparlo è tutta scientificae si chiama il munder di Paravady. Il signorLaurenticol pretesto di studiare l'antica lingua dei Vedaè entrato ingrande dimestichezza coi braminiche lo hannosto per direcome uno dei loro.Egli è oramai diventato un sanscritista di prima forzacome lo era il nostroJones.

- Non mi meraviglio di questa trasformazione; - notò il ducadi Marana. - Il mio amico era dotto e studioso come un benedettino dei tempiandati. Ed anche la solitudine…

- Sìdite bene- ripigliò sir Giorgio- la solitudineobbliga a cavar profitto dal tempo. Che si fa quise non si studia? Si dormeè vero; ma il dormirein questi paesi tropicalia lungo andarenon è piùun sollievo. Anche a Secanderabad si studia. La mia signora si è data allabotanica…

- Ohper aver cura di un piccolo giardino! - interruppe ladyEvelina.

- È sempre botanica; - disse sir Giorgio. - Miss Elenapoie mia figliasi occupano di zoologia domestica; mio nipote Lionello di zoologiaselvaticaperchè si smania di andare alla caccia delle tigri.

- E voisir Giorgio?

- Io sono l'unico ozioso; fo il diplomatico. Ma andiamo aprendere il caffèsotto la verandah. La luna dev'essere già apparsaaquest'orae il lago di Husseina lume di lunaè uno spettacolo incantevole.Non è veromiss Maud?

Così dicendoil faceto sir Giorgio offriva con paternaamorevolezza il braccio alla sua diletta figliuola. Il duca di Maranabalzatoin piedi al primo cennoaveva già offerto il suo a lady Evelina. Il giovineEdgeworthche avrebbe dato così volentieri il braccio alla cuginasicontentò di offrirlo a miss Elena.

L'Hussein Sagarche si stendeva placidamente in un largospecchio davanti alla residenza britannicaera bello a vedersi in quell'oramezzo nascosto nell'ombra e mezzo illuminato dal disco rossiccio della lunalibrato sull'orizzontepoco sopra ad una massa di alberi che ne incoronava lesponde. Il firmamentonon ancora signoreggiato dalla luce diffusa dell'astronotturnoappariva del colore dell'indacoe le stelleocchi d'Indrascintillavano sulla vôlta azzurra. Una pace severa; quasi religiosaregnavatutto intornoconsentendo all'orecchio di cogliere i suoni più lievi dellanotteil susurro delle acqueincrespate da un timido soffioe gli echilontani della foresta. Perchè la vita non tace maichi voglia ascoltarne ibattitie la notte è piena di arcane voci. Al duca di Marana tornarono inmente i bei versi del suo Zorilla; ed anche a lui parve d'intendere

 

los mil ruidos

Que pueblan los espacios con misteryoso son.

 

- Che cosa vi dicevo io? Non è graziosodi serail nostroHussein Sagar? - disse sir Giorgiobattendo amichevolmente della mano sullaspalla del suo ospite.

- Vi risponderò come Wellington alla battaglia di Waterloo: splendid!Ci sarebbe da non muoversi più dal vostro palazzo.

- Palazzo! palazzo! Non ci fate insuperbiresignor duca;chiamatelo bungalow.

- Lo chiameròcon vostra licenzail tempio della generosaospitalità e della schietta amicizia. E lo rimpiangerò lungamentenondubitate.

- Anche in cammino per Paravady?

- E perchè no? Anche in cammino per Paravady. La vista di unamico non ci dee rendere ingrati verso degli altri. A proposito di Paravadynonsarà mica troppo lontano da Haiderabad?

- Sei ore di stradaverso tramontana. Potreste anche andarcisenza toccare Haiderabad; ma non vi converràperchè soltanto nella capitaledel Nizam troverete le guide. Quantunque- soggiunse il degno gentiluomo- orache ci pensouna scorta sicura potrei darvela io.

- Mandare un drappello ai soldatia scortare una miseracarretta! - esclamò ridendo il duca di Marana. - Mi prenderanno per uno deitanti Nana Sahib apocrifiche sbucano da ogni parte del Bengala e che bisognacondurre in prigionecome se si trattasse del vero. Ma sapetesir Giorgiocheson rimasto molto confuso quest'oggicapitando alla vostra residenza in quelmeschino equipaggiomentre la signorina scendeva dal suo elegante palanchino?

- Di che cosa vi date pensieromilord! - esclamò ladyEvelina. - In questi paesie per sentieri così cattivi come i nostrinon sipuò andare altrimenti.

- Ed erano così belliquei due zebù - osservò miss Maud.- Avevano occhi così intelligenti!

- Signorinad'ora in poi amerò gli zebù; - rispose ilducaparlando a mezza vocementre miss Maud gli offriva il caffè.

La fanciulla arrossìma nessuno ne ebbe a far caso. Quelrossoredopo tuttopoteva passare per un effetto di luna.

- Dunquesiamo intesi; - ripigliava sir Giorgio; accetteretela scorta della residenza. La Spagna non ricuserà le offerte della vecchiaInghilterra.

- La vecchia e nobile Inghilterra potrebbe mettere il colmoalle sue cortesie- rispose il ducasul medesimo tono di celia amichevole-venendo fino a Paravadynella persona di sir Giorgio Lawson.

- Eh- disse il residente- si potrebbe fare anche questo.Ho pure una visita da restituire; e non io solamente. Sono appena otto giorniche il vostro amico è passato di quiin occasione d'una gita alle rovine diMahablechvared è stato con la sua signora a cercare di noi. Disgraziatamenteio non ero alla residenzae le mie signore erano andate con Lionello agliuffici domenicalinella nostra cappella di Secanderabad. I gentili passeggierinon hanno veduto che il mio cancelliere. Quel bravo signor Partridge! È ancoratutto scombussolato dalla vista della signora Laurenti.

- Dicono che sia molto bella; - entrò ad osservare miss Maudcon un tuono di voce che domandava risposta.

- Veramenteun occhio di sole; - si affrettò a rispondereil duca; - una bellezza italianacome se ne vedono pocheanche in Italia.

- Ahahvi cogliamo in flagranti di entusiasmo; - esclamòlady Evelina. - Il viaggiatore frettoloso discende dall'imperiale e s'infiammaper qualche cosa. -

Il duca di Marana sorrise a quell'attacco gentile.

- Quando è necessariomiladyperchè no? La signoraLaurenti è una donna da fermare anche un viaggiatore… che si ferma; -soggiunse egliappoggiando sulla pausa. - Il mio amico ha trovata la compagnaviaggiatrice come lui. Amico fortunato! Ma bisogna anche diread onor suochequella fortuna egli se l'è guadagnata. Conosco la storia de' suoi amoried èveramente poetica.

- Raccontatela. - scappò detto a miss Maud.

- Volentierisignorina; è una storia semplicecome unidillio. Lui medico e naturalistalei ammalata. Il mediconovellinofece laprima e l'ultima sua cura; e fu un male per l'arte di Galenoperchè la curariuscì portentosa. La signora guarìma s'innamorò del medicocome il medicos'era innamorato di lei. Ambedue lasciarono la loro cittàdonde alcune tristimemorie allontanavano leie dove egli non aveva nulla che potesse trattenerlo.Ecco la storiaridotta a' suoi minimi termini; l'idilliosciolto nelle pochesue fila. Ma bisognerebbe ritesserlo con tutti i suoi episodicon tutti i suoigraziosi nonnullapor gustarlo davvero: bisognerebbe mettere in azione ladelicatezza somma di quelle due animedi quelle due sensitive; la lorovolontaria solitudine in un ambiente che non era fatto per essi; il silenziomodesto di luiche nascondeva dignitosamente un acuto dolore; il contegnonobilissimo di leiche non voleva e non doveva mostrar subito d'intenderlo;insommaun piccolo dramma psicologicoche si può scriverema non si puòraccontaresenza fargli perdere la sua cara freschezzail suo profumo dieletta poesia.

- La vostra pitturasignor ducami raddoppia il desideriodi conoscere il signor Laurenti e la sua bella compagna; - disse allora sirGiorgio.

- Ve l'ho già propostoandiamoci insieme. Non aveteaccennato al debito di contraccambiare una visita?

- Sìandiamo; - gridò miss Maudcon un ardore che il ducadi Marana non si sarebbe mai aspettato da lei.

- Figliuola miaè presto detto; - rispose gravemente sirGiorgio. - Appunto in questi giorni ho molte faccende da sbrigare. L'ufficio diresidente non è una cosa da nulla; - soggiunserivolgendosi al duca. - Delrestovoi andate a vedere i vostri amici d'Italia dopo qualche anno diseparazioneed è giusto che andiate solo. Ci sono tante cose da direquandoci si rivede in tali condizioniche il sopraggiungere di altre persone èproprio un guastare la festa.

- Sarebbe un accrescerla; - notò il duca di Marana. - Mavianon insisterò. Posso almeno annunziare la visita?

- Questo sìed aggiungere che essa non è solamente unobbligo di educazione per mein ricambio di cortesiama anche di gratitudineinternazionale. Come cittadino inglesee rappresentante del mio governo inquest'angolo del globosarò felicissimo di stringere la mano al signor GuidoLaurenti.

- E di stritolargliela; - pensò il duca di Maranachericordava le strette poderose del suo ospite.

Macome potete immaginarviegli tenne quella arguziainvolontaria per sè.

- Andrò dunque ambasciatore britannico a Paravady. - risposeinvece allegramente; - superbo della vostra scortama niente superbo del mioequipaggio.

- Volete il palanchino?

- Nonon ci mancherebbe altro; lo sfonderei col peso dellemie valigie e della mia armeria ambulante. -

La lingua batte dove il dente duolee il duca di Maranabatteva sempre su quel tasto della carrettache lo aveva fatto sfiguraredavanti alle dame. Segnodirete voiche egli pensava molto a miss Maud; maquesto come si concilia col fattoche la ragazzaveduta da vicinogli erasembrata men bella? A questo propositomi pare di avervi già detto con chegusto e con che soddisfazione egli gettasse quel po' d'acqua sui primi ardoriparendogli così di trovarsi più tranquillo e più franco. Ma in fin de' contigli piaceva sempre quel giovane pioppo. E làvedendolo a lume di lunainquella pace notturnadisegnarsi sulla prospettiva di quel lago dai riflessid'argentoil duca di Marana ricascava nel tenero.

Per fortunadoveva partire la mattina seguente. Andato alettodormì i sonni del giustoo dell'uomo che ha le ossa rotte da tre giornidi carretta; e la mattina seguente si sentì molto meglioanche dalla parte delcuore.

Sir Giorgio lo trattenne a colazione. Ma trattandosi diun'ora insolitale signore non erano comparse. Lady Evelina faceva dire al ducadi Marana che ella sperava una sua visitaal ritorno da Paravadypoichè ilvedersi colàin occasione della visita ai signori Laurentinon dovevamettersi in conto. Il duca di Marana ringraziò e promisecom'era naturale.

Il residente aveva fatta preparare la scorta e consegnata alsuo ospite la lettera di passo fino alla città di Haiderabadpel caso chevolesse fare una corsa fin là. Indi lo accompagnò in persona fino al dak-bungalowdove tutto era in pronto per la partenza. Il duca di Marana ebbe il piacere difare quel piccolo tragitto nel palanchino di miss Maude l'altronon menograndedi non farsi rivedere da lei nella famosa carretta. Questa per altrodoveva esserle in qualche modo ricordata.

- È vero; - diss'eglipalpando le corna dei due zebùaggiogati al suo carro trionfale; - hanno gli occhi molto intelligenti. SirGiorgiodirete alla signorina Maud che i suoi protetti avranno oggi duepezzettini di zucchero. -

Il momento della separazione era giunto; il bègari Viadarmaritto impalato davanti alle sue bestie e tutto orgoglioso della scorta d'onoreche si concedeva alla sua carrettaaspettava che il viaggiatore volesse salireper balzare sul timone e dare il grido della partenza.

- Ancora una voltasir Giorgio- disse il duca di Marana-i miei ringraziamenti sinceri per le amorevoli vostre accoglienzee per tuttele altre cortesie che avete voluto usare ad un forestiero.

- Signor ducatutti siamo forestieriin questo paese; - glirispose sir Giorgio- e tutti ci sentiamo fratelliqui meglio che altrovepoichè ci riconosciamo figli di una gran madrel'Europa. -

Compiuta questa frase sonorache apparteneva alla retoricadelle occasioni solenniil residente britannico afferrò la mano delviaggiatore e gli diede una di quelle stretteche sono davvero indimenticabiliperchè lasciano il segno sulla pelle e il dolore nelle ossa. Ma che volete? Inquelle poche ore di consorzio amichevoleil degno uomo si era innamoratosenz'altro di quel perfetto cavaliereil cui spiritoeducato dai viaggisiera liberato da tanti pregiudizi nazionalie la cui conversazione era cosìattraente per lui.

Il corteggio finalmente si mise in moto per la strada diHaiderabad. Ma non per andare fino alle porte della capitale del Nizamcomesapetepoichè il duca di Marana giustamente pensò che quella gita avrebbepotuto farla a suo agio più tardi.

La campagna non era molto pittorescadavanti a lui; ma laprospettiva apparve migliorequandousciti dalla strada maestrasi prese unsentiero che correva a tramontanaattraverso la jungla. Del restochinol sa? in fatto di prospettivail nuovo è sempre bello. La varietà; eccol'essenziale.

E la varietà doveva essere il debole del duca di Marana. Amano a mano che si allontanava dal lago di Husseinil nostro viaggiatore sisentiva più libero. Due ore dopoera affatto tranquillo; non immemoreperaltronè disposto alla ingratitudine.

Notateinfattichegiunto appena alla prima fermatacavòdalla scatola delle sue provviste di viaggio due pezzetti di zucchero e li diedea mangiare ai due zebùcon grande maraviglia del bègari Viadarmaedanchecome credodi quelle povere bestie. Certoera quella la prima volta cheritraevano qualche po' di dolcezza dalle loro relazioni con gli uomini.

Purchè ciò non le abbia condotte a giudicarli male!

 

 

IV

 

Facciamo a parlarci chiaro. Miss Maudquel giovine pioppod'Inghilterratrapiantato sulle rive del lago d'Husseinnon meritava forse unpensiero del duca di Marana? Per quindici o sedici ore di seguito non si eraegli occupato di leiritraendone qualche idea più soavequalche sentimentopiù gentile del solito?

Miss Maudo Maddalenase vi piace megliodoveva essere perlui come una di quelle care figurine che s'incontrano qua e làper mezzo allenoie del mondoin qualche fermata più o meno breveche la loro presenzaabbellisce e che aiuta ad imprimere nella mente. Quanti grilli non saltano incapo! Quanti castelli in aria non si vanno architettando! Lì per lìsivagheggiano perfino certe combinazioniche non dispiacerebbero neanche alsindaco e al parrocoma che per contro farebbero rimaner molto male ivagheggini del luogo. Per fortuna di questi signorisi tira via; le ideesfumanoi castelli in aria svaporanoi grilli s'addormentano; solequellegraziose figurine rimangono impresse nell'animocome certi cenni a matita neltaccuino.

Amabili figurine! non c'è viaggiatore che non ci abbia lesue. Ulisseche fu il più celebre di tuttisi trovò fra' piedi una Circe eparecchie Sirenenon c'è che dire; ma s'imbattè anco in Nausicaael'immagine vereconda della figliuola d'Alcinoo rimane fra le cose piùleggiadramente poetiche dell'Odissea. Anche in ciò siamo tutti pari ad Ulisse;più sentiamo la poesia ai queste apparizioniquanto più siamo provati allebattaglie e ai disinganni dei cuore. Si ha mestieri di questi tuffi nellafontana di giovinezzae si rammentanopoicome il beone rammenta le fraschedi pinovedute lungo la strada. Il paragone è volgare ma infineanche noi nonsi è veduta la frascaall'insegna della felicità? E che importa se non cisiamo fermati? Anche il vedere contentae forse più dell'avere.

La vita è una sequela di vedute; varietàsempre varietàche ha in fondo la sazietàdicono i malinconici. Fortunatamenteper avvedercidi ciòbisogna giungere al tandem; oraquando si è giuntilaggiùsi è anche molto avari delle proprie cognizioni. La qual cosa mi faricordare il viaggio degli iniziati a certi misteri dell'antichità. Andavanoper lunghe vie sotterraneein mezzo a pericoli e voci di minacciafino ad unaporta di bronzoche si apriva al loro passaggio e dietro a loro si richiudeva.Giungevano finalmente nell'adito sacrodove li aspettava il grande arcano. Eche cos'era il grande arcanodi grazia? Probabilmente un vecchio giornale e unaciabatta scompagnata. Ma nessunotornandoosava dire elle cosa avesse veduto;e la discrezione degli uni manteneva la curiositàeccitava il coraggio deglialtri.

Ma lasciamo in disparte gli antichi misteri e gli antichiiniziati. Dobbiamo andare a Paravady per dove si è incamminato il signor ducadi Marana.

Guido Laurenti non si aspettava certamente la visita del suoamico d'un giorno. Sta bene che la visita era stata promessa; ma non tutte lepromesse si mantengonoe quellapoiaveva tutta l'aria d'essere stata fattaper chiassoe rinnovata per abbondanza di cuore. Infattiil signor ducal'aveva rinnovatain una sua lettera di risposta a Guido Laurenticheda buoncavaliereappena giunto in India e piantate le sue tende colàsi era credutoin obbligo di mandargli un saluto. Ma a quella rinnovazione aveva tenuto dietroun lungo silenzio. Il signor ducaper alloracorreva le poste su tutte lestrade ferrate d'Europa; metodo più comodonon c'è che diree che fa capo astazioni molto più divertenti.

Due anni dopoGuido Laurenti aveva ricevuto una secondalettera del duca. "Siete vivo? gli domandava il Marana. Io sono ancora diquesto mondo e penso sempre a voiquantunque i vapori postali della Peninsularnon ve ne facciano testimonianza. Ma che volete? Il pensiero volaattraversandolo spazio; la mano è pigra e rimette ogni cosa al domani. San Paolo ha dettoqualche cosa di simile; lo spirito è prontola carne è inferma. Ed iosebbene non infermo nel senso materiale del vocabololo sono fino ad un certosegnoper questa indolenza di viaggiatore emeritoche sa girare un milione divolte intorno ad una risoluzione energicae si dà un gran moto per nongiungere a capo di nulla. Vedeteper esempio; so andare da una estremitàall'altra dell'Europama non mi risolvo mai a tornare in Asiaper lasemplicissima ragione che un viaggio simile dovrebbe essere preceduto da unagita in Castigliadove mi chiamano alcune faccende domestiche. Fate che ioabbia il coraggio di andare fin làe alloradato sesto alle cose miepotròvenire da voi. Perchè io rammento sempre la mia promessa; vi son debitore d'unavisitae qui non c'è ombra di dubbio."

Un altro anno era passatoe il duca di Marana avevafinalmente presa la risoluzione di tornare in Ispagna. Era andato in Castigliasenza cedere alla tentazione di una fermata a Madriddove pure aveva lasciatotanti amici e tante memorie della prima giovinezza. Sapete che Madrid non erapiù luogo per lui. Colà era stato feritoin quel modo che si era degnato diaccennare egli stessoin una sua conversazione con la signora Argellani. Midirete che le ferite d'amore sono come tutte le altre; se ne muoreo si risana.Per altroanche quando si risanala cicatrice restae nella cicatrice unsenso di doloresuperficiale fin che vorretema pur sempre noioso. Oraincerte ferite moralila superficie è rappresentata dalla nostra vanità. Si èguariti nel profondoma la superficie reca i segni del male; la pelle vi ètutta cincischiatabollata di biancogelosa al tattoe non ama il solletico.

Come raccontarvi la storia di questa feritache il duca diMarana non amava di lasciar scorgere alla gente? L'amore e la vanità eranostati colpiti ad un punto. La sua bellauna vera marchesa d'Amaeguì per legrazie esteriorinon lo aveva mica posposto ad un grande di Spagna di primaclasse; no certola cosa non sarebbe stata neanche possibileperchè grande diSpagnadi prima classee magari due volteper due titoli diversilo era giàlui. Tutt'al più sarebbe stato il caso di fare un baratto.

Ma il guaio si era che la marchesa d'Amaeguì aveva pospostoil grande di Spagnail gentil cavalieread una primera espada delcircoad un audace e ruvido cacciatore di tori. Altro che serenate e duelli perleicome avrebbe voluto il poeta dell'Andalusa! La bella non amava leserenate; il ducadal canto suonon poteva farsela a tu per tu con quell'uomo.Aveva maledetta la perfidacome si usa nei melodrammie non era rimasto piùun giorno a Madrid.

Ho detto che non amava lasciar scorgere la sua ferita allagente. Infattinon vi accennava maio molto da lontanoparlando sui generalicome un uomo che ha sofferto la parte suae dichiarafino a tanto che puòdinon voler soffrire dell'altro. Imitiamo il suo riserboe non andiamo più inlà. Il poco che si è lasciato trapelare basti a dar la ragione di quellaripugnanza che il duca di Marana sentiva per una dimora d'oltre un giorno aMadrid. Recatosi ne' suoi possedimenti di Castigliaaveva incominciato per laprimissima volta ad esercitare l'ufficio di padronead occuparsi di affittidipiantagionidi taglidi restauri e via discorrendo. Le cose che si fanno perla prima volta riescono sempre un po' difficilie il duca di Marana avevadovuto fare il suo tirocinio anche nel mestier di padrone. Poicome avviene achi è sempre stato fuori di casasu per le diligenze delle vie provinciali oper le carrozze di strada ferratache un po' di sosta al focolare domestico glitorna come una benedizione di Diospecie se il focolare domestico èrappresentato da un bel castello del quattrocentorestaurato nel seicento eabbellito nell'ottocentocon una larga distesa di boschi e bandite di cacciail duca di Marana prese gusto alla sua vita di gentiluomo campagnuolo e per ottomesi alla fila non parlò più di viaggi.

Dio sa quanto sarebbe rimasto ancorase la pauradal lividoaspettonon avesse bussato alle porte. Il castello di Marana aveva un vicinatopericoloso; il castellano s'era lasciato andare a qualche visitanon avevaevitato qualche incontro più o meno fortuito. Fino a tanto gli parve che tuttociò non uscisse dai limiti di uno scherzoe di una galanteria cavallerescarimase. Appena si avvide che le cose volgevano il teneroe che egli potevarimaner preso alla tagliuolacome un lupo disceso in mal punto dalle suesolitudini alpestrifece bravamente le valigie e via da capo; il viaggiatore lavinceva di bel nuovo sul gentiluomo campagnuolo.

Due o tre giorni prima di lasciare il castello di Maranaaveva scritto un a lettera al suo amico Laurenti. - "Chi sa? gli diceva. Ungiorno o l'altro càpito in India e mi calo sul vostro eremo di Paravadycomeun avvoltoio in cerca di preda. Ho fame e sete di libertàdi pace; e quineicampi avitinon ho trovato nè l'una nè l'altra. AspettatemidunqueamicoLaurenti; questa volta è l'ultima definitiva. Ma noora che ci pensonon miaspettate; l'avvoltoio ha da piombare alla sua ora e quando meno ci sipensa."

Questa improvvisata del suo amico spagnuoloGuido Laurentil'aveva aspettata sei mesi con un certo desiderio; al settimo si era seccato;all'ottavo non ci pensava già più. - Ho capitoaveva detto tra sè; il ducadi Marana si ricorda di me tutti gli anni bisestili. -

Del restose l'amicizia tra Guido Laurenti e il duca diMarana era schiettanon era altrimenti profonda. Si poteva dire di essa ciòche si dice d'un vino generosoma giovane: peccato che non abbia vent'anni!Nata in mezzo alle cerimonie di societàaveva avuto a battesimo la stimasincera e il desiderio scambievole di piacerema a questi ottimi principii eramancata l'occasione di rassodarsi. E l'uno e l'altro potevano adunque vedersicon giubilodopo molti anni di separazionemaaltresì rimanere per moltianni separati senza rammarico.

I pessimisti dicono essere queste le amicizie migliori.Certoson quelle che durano di piùnon avendo modo di guastarsi. - Se andassia far le vacanze a Napoli! diceva un taleche aveva qualche giorno da godere inlibertà. Sarebbe una buona occasione per stringer la mano a quel caroFulgenzioche non vedo più da nove anni. - Ma accadde che il pensiero di startroppo a lungo in un viaggio gli facesse mutar propositoe prendere invece lastrada di Torino. Quel caro Fulgenzio è ancora là che lo aspetta.

Sìma quando due amici di quella fatta s'incontranocomesi ristringe bene quel vincolo che soltanto la lontananza aveva rallentatosenza che le gelosiegli sdegni e i rancori c'entrassero per nulla! Come èlimpida e fresca la corrispondenza affettuosa di due cuorinelle cui piegheriposte non si cela il pensiero d'un torto ricevuto e male perdonatoo non benedimenticato! Che importase quell'amico non si è sentito il prepotente bisognodi vederloper otto o dieci anni di seguito? Sono anni colmati di miserieavvelenati da malumoriin cui egli non ha avuta la minima parte. Ben venganoadunque i dieci anni.

Tra Guido Laurenti e il duca di Marana non ne erano corsi chequattro. C'era dunque dell'altro da poter aspettare.

Guidoche abbiamo conosciuto modesto e studioso solitarionel suo osservatorio campestreaveva speso bene in quei quattro anni il suotempo. Ciò che aveva cominciato a fare per suo diletto e quasi a tacitagiustificazione dell'ozio nella sua antica dimoraseguitò a faremaseriamentenel suo nuovo soggiorno. La botanica e l'entomologiaalternate conqualche altro ramo di scienze naturaliripigliarono il comando in casa suanonsì tosto ne ebbe una. Era sbarcato a Bombayma non per trattenersi colà. Chinon si dà al traffico non ha nulla a farenulla a vedere sulla costa. GuidoLaurenti si avanzò dentro terrae in una delle parti meno esploratedell'Indiaquantunque sia tanto vicina alle famose caverne di Elloravisitateda tutti i viaggiatoried abbia tanta fama in Europa dal nome di Golcondacelebre pe' suoi diamanti e per le sue fantastiche reginein prosa del Floriane in musica del Donizetti.

Il luogo gli era forse piaciuto pel nome e per le memorieartistiche ond'era accompagnato; fors'anche per la maggior solitudine che essogli prometteva. Comunque siail fatto sta che deliberò di fermarcisi. Accaddeche un signore europeoil quale si era fabbricato un villino nei dintorni diParavadycol proposito di finirci la vitamutasse opinione da un giornoall'altroproprio come avvenne a quel santo Mennadella Gallia romanache siannoiò di star sigillato in un murodopo averci passato quarant'anni della suavitanon tenendo fuori che le mani e la testaper prendere il cibo dallapietà dei fedeli e qualche infreddatura dalla misericordia de' cieli. Ilvillino era piaciuto a Luisae tanto bastò perchè Guido Laurenticome ilcenturione di Camillopiantasse le insegne colàprofferendo il suo giudizio:"hic manebimus optime."

S'intende che una casa non è mai interamente nostrase nonquando l'abbiamo aggiustata a nostro modoabbellitaritoccatae quasi rifattadi pianta. Guido Laurenti aggiustòabbellìritoccòrifece la suaspecieper quanto si atteneva al giardino. Anche quella era botanica.

Ma l'India non è un paese come tutti gli altri; portentosanelle sue forme (direi quasi mostruosase il vocabolo non fosse tirato ad unsenso poco piacevole) essa è prepotente nelle sue attrazioni. E in quella guisache si nasce poeti per finire avvocatiGuido Laurentiandato in Indiabotanicoentomologonaturalista insommadavanti ai ruderi di quella civiltàche conta i secoli a varie diecinedivenne archeologo e linguista. Lo studionecessario per luidel dialetto indostanolo condusse su sudi idioma inidiomafino alla lingua madrela prima e la più nobile del ceppo arianocheha germogliataper esempiola nostra e la tedesca. Pare impossibileed èsemplicemente vero.

Quei monumenti colossali delle antiche religioni di Budda edi Bramaa cui la stirpe invaditrice di Maometto ha inutilmente contrapposte lecupole dorate e i minareti svelti delle sue vuote moscheesvelarono a GuidoLaurenti un mondo ignoto. Non dimentichiamo tuttavia che il primo effetto fuquello di confondergli maledettamente la testa. Ma a grado a grado siraccapezzò; riconobbe le differenze dei riti; sceverò gli attributi dalleessenze particolari degli dèi; notò i legami e le derivazioni dei simboli;volle risalire alle fontitrovò le antichissime memorie dell'umanitàe leprime relazioni naturali (che non furono tutte di pauracome vorrebbe il poetalatino) degli uomini con Dio.

Paravadypiù fortunata di tanti paesi del Deccanche sitrovarono esposti alla furia conquistatrice e struggitrice di Aureng Zebserbava ancora il suo tempioil suo munderda non confondersi con la daghobache è tempio buddisticoe con la pagodache è cinese e siamesenepotrebbe giustamente usarsiper indicare un edifizio dedicato al cultobraminico. Il mundervecchio di duemil'annise non forse di piùminacciava in alcuni punti rovina; gli dèi di pietra si reggevano malecosìmutilati e scamozzati dal tempo; anche il collegio dei bramini era ridotto apochi cultori dei Vedae non tutti sapienti. Ma c'era un buon priore unsant'uomo che credeva ancora alla vitalità del culto di Visnù e al suo trionfofinale e che frattanto custodiva con religiosa cura i papiri della libreria delconvento cantando gli inni ammirabili dei Rigveda e ripetendo i cantisublimi del Mahabàrata.

Il nostro Guido Laurenti non aveva mostrato nessunaripugnanza per quelle divinitàche la rompevano con tutte le leggidell'anatomia e con tutte le distinzioni delle specie zoologiche. Se una di esseportava fieramente invece di naso una proboscide d'elefante e un'altra centobraccia invece di duequesta tre teste dove c'è posto a mala pena per unaequella cento mammelle penzoloni dal seno e dai fianchiGuido Laurenti non nefaceva le meraviglie e non gridava alla mostruositàrammentando che i Greciquesti maestri del bellonon avevano temuto di figurarsi Argo con cent'occhiCerbero con tre testeBriareo con cento braccia e Cibele con un visibilio dicapezzoli; tutte forme simbolicheda intendersi con discrezionecome quelleche dovevano rappresentare ad un popolo bambino le forze molteplicivive edoperantidella natura immortale.

D'altra parteegli discendeva dalla stirpe di Jafetnongià da quella di Cammaledetto per aver riso di qualche debolezza paterna.Andava anzi un pochino più oltre dei moderni cavalieriche non vogliono simanchi di rispetto alla memoria dei padri; rispettava anche le vecchie forme incui s'era adagiata la fede giovanile dei nonni e degli arcibisnonnitrovandociun tesoro di consolazioni celesti. Certoanche lui offendevano lesuperstizionile divozioni cieche alla parte estrinseca dei cultile supineadorazioni che non sanno sceverare il concetto dal mito; ma a questi difettidella ignoranzache in tutti i tempi e presso tutti i popoli è sempre vissutaaccanto alla scienza sua nemica e alla mezza scienza sua alleataa questidifettidiconon ci vedeva rimedio fuorchè nella civiltàin quella civiltàche molti credono nata già grande ed armatacome Minerva dal cervello diGiovema che egli riconosceva come una lontana derivazione di quelle granditeogonieche oggi si volgono in celia dal volgo; di quelle grandi teogonieincuidai solenni colloqui di Ariona con Crisnaall'amore immenso e alla fedeingenua di Sitaerano già dipinte con artistica evidenzanon superata piùmaitutte le più nobili curiosità dello spirito e tutti i più delicatisentimenti del cuore.

Che dirvi di piùsenza riuscirvi noioso? Lacmanail mahuntdel tempio di Paravadyaveva preso ad amare quel suo giovane vicino europeo. Aluiosservatore curiosoma non irriverentedei simboli indianicultorevolenteroso e felice della sacra lingua dei Vedaaveva dischiusi liberalmente itesori della sua scienza. Guido Laurenti s'era messo in quella via per capriccioletterario; ci aveva preso gustoed era diventato un indianista feroce.

Cotesto vi spiegherà ciò che diceva di lui il residentebritannico di Secanderabadaccennando ad alcune importanti memorie inviate allaSocietà Asiatica di Calcutta. Guido Laurenti aveva studiati a fondo i libriliturgici del bramanismocommentati i Puranatrovata e fatta conoscere aidotti una nuova raccolta d'inniche non erano compresi nel Rigveda. Unasua trascrizione dello Tsciorapantapoemetto in lingua pracritanonancora conosciutofaceva chiasso allora tra gl'indianisti di Europa.

Non vi sarà difficile d'immaginare che tutto ciò gli davaagio ad attendere senza troppa impazienza la visita del duca di Marana. Epoichèdopo otto mesi di aspettazionenon ci pensava già piùquella visitadoveva riuscirgli una improvvisata davvero.

Il fido cronometro del duca segnava le cinque del pomeriggioquando il suo possessore vide rizzarsi davanti a sè la gran mole del tempio diParavadysulla riva sinistra di un piccolo corso d'acquache portava il suoumile tributo al Godaveryal maggior fiume del Dekkan.

- Ahfinalmente! - gridò il duca di Maranaudito dalcomandante della scorta com'egli fosse giunto al termine del suo viaggio. - Sepiace a Dioquesto è il santuario dove scioglierò il mio voto. Ma dove saràquesto villinoquesto bungalow dell'amico Laurenti? -

Poco stante la carovana faceva il suo ingresso trionfale nel gaumo villaggiodi Paravady. Si prese lingua da un bistiin cui vi èlecito di riconoscere un acquaiuolo.

- Il Sahibgar? - diss'egli. - È laggiùdietro aquella macchia di baniani.

Mi duole di trattenervi ancora per viamentre sareteimpazienticome il ducadi giungere a porto. Ma debbo dirvi anzi tutto chequesto Sahibgar è un composto di due parolela prima delle quali vi ènotae la seconda la intenderetequando io vi avrò detto che tutt'e dueunitesignificano: la casa del signore europeo. Quanto al banianoda nonconfondersi col bananoè desso il nome del fico d'Indiaficus indicaalbero maestosoche ha il privilegio di riprodursigettando dai rami certisuoi filamentiche mettono radice nel suolo e crescono a mano a mano in formad'alberi nuovi. Rami che salgonorami che scendonovi fanno una confusionepittorescavi danno l'aspetto di una foresta vergine. I fruttipoinonnascono dal sommo dei rami; spuntano qua e làa ciocchecome le ciliegedalle rugosità dei tronchi. Le foglie sono larghe e tondeggiantid'un belverde carico e lucente. Gl'indiani credono che proprio di queste vestissero laloro nudità vergognosa i nostri progenitoried aggiungono che dalla calata deirami in forma di colonnederivassero il concetto e la forma delle primitiveabitazioni. Racconto e passo.

Il duca di Marana aveva seguita la via indicataglidall'acquaiolo. Costeggiata la macchia dei banianiera giunto alla vista di unavallettaoper dir megliodi una conca di verdurain mezzo a cui sorgeva unagraziosa casina bianca a due pianisormontata da un attico che in partenascondeva il tettoe fors'anche serviva di parapetto ad un terrazzo checorreva torno torno alla cima. L'edifizio constava di due aliches'incontravano ad angolo rettovolgendo l'insenatura a levantee questadisposizione appariva intesa a far sì che il giardinoattiguo alla casaavesse i primi raggi del soleoffrendo un luogo di riposoal fresconelleultime ore del giorno. L'aspetto del villino non avea nulla d'indianotranneforse un vestibolosorretto da colonnee ornato sul cornicione da quel tritumedi fregidi sporgenzedi sottoquadri e di linee spezzateche è nello stiledell'architettura bengalese. Del restola fabbrica non si vedeva tutta intiera;sbucava da un colmo di piante d'ogni speciecome a dire di banianidi cocchi edi muse paradisiache. Non mancavano neppur le magnolienecessario contorno diuna casa che era abitata dalla signora Luisa Argellani.

Era un parcoe sembrava di vedere una di quelle selvetropicali in cui mille generazioni di piante si confondono liberamente efioriscono alla luce del solementre le liane sottili s'intrecciano di ramo inramoe le glicini e le bignonie portano a maturare le loro ciocche capricciosesulle vette degli alberi; donde un'allegra ridda di coloriche potrebbe dirsiil sorriso della naturaquando l'eterna trasformatrice della materia lavora persènon curandosi punto di questa famiglia ingrata e stizzosa che è nata dalsuo grembo. E qui forse tornerebbe inutile il soggiungere che si parla degliuomini.

Un sentiero aperto in mezzo alla jungla efiancheggiato da due siepi di nimpianta comunissima in quelle regioni eil cui succo lattiginoso è reputato un eccellente febbrifugoconducevaevidentemente al Sahibgar. Il duca di Marana seguì quella traccia senz'altro. Amano a mano che si avvicinavala foresta assumeva un aspetto più regolare; adun certo puntoil parco si tramutava in giardinodi cui già si vedevano ivasi in fila e le aiuole. Il parcoper altronon aveva muro di cinta; e diquesta mancanzache sarebbe stata grave in ogni luogo solitario d'Europaeglivide ben presto la giustificazionein una fossa larga e profonda che correvatutto intorno a quel piccolo paradiso. Il muro di cinta per fermo non sarebbebastatoin un paese che poteva esser corso da tigri e panteresenza contare iboai pitoni e i cobracapelliche non sono certo una gradevole compagnia pernessuno e che si vedono anche mal volentieri da lungi.

Per quella fossa profondale cui pareti erano stagliate apiomboil Sahibgar diventava una specie di fortezzainaccessibile ad ognispecie di animali maleficicompreso il prossimo nostro. Anche la stradachecorreva tra le due siepigiunta a pari del ciglio esterno del fossosi mutavain un ponte levatoio. Sul far della notte il ponte era alzatoe il Sahibgar sitrovava naturalmente custodito da ogni brutta sorpresasenza mestieri discolte.

Il duca di Marana stava ancora sull'ingresso del ponteammirando quel savio sistema di difesaallorquando gli vennero veduti dueuomini che attraversavano il viale interno. Erano due bracciantima vestiti unpo' meglio che non usassero i Sudraperchèalla corta gonnella di tutti iloro similiaggiungevano una sopravveste di cotone. Se non fosse stato il colordella pelleche aveva tutti i luccicori del bronzosi sarebbero potutiscambiare per due servi europei.

- Prenderò lingua da questiche certamente appartengonoalla casa; - disse il duca di Marana tra sè.

Era già balzato dalla carrettachesecondo il suo parerenon doveva inoltrarsi di più. E veduto che appunto quei due si erano fermati aguardare il corteggiocon quell'aria di curiosità gravequasi malinconicache contraddistingue gl'indianiil viaggiatore si avanzò fino a mezzo delponte.

- Abita qui il sahib Laurenti? - chiese egliparlando lalingua indostana.

Prima che uno degli interrogati avesse potuto risponderecomparve all'ingresso del ponte un terzo personaggio. Era un vecchio disessant'annio giù di lìvestito all'europea. Europeo lo diceva lacarnagionechesebbene abbronzata dal solelasciava trasparire il bianco. Lafaccia non portava traccia di pelima piuttosto di qualche colpo di rasoio;segno che il vecchio si radeva la barba da sèma senza avere la pazienzanecessaria per una operazione di quella fatta. Costui era vestito del tuttoall'europea; ma non argomentate da ciò che fosse vestito del tuttoperchèquantunque avesse in testa un cappello di pagliaultimo capo del vestiario inogni paese d'Europaandava attorno in maniche di camicia.

- Il sahib Laurenti abita qui; - rispose egli incattivo indostanoprendendo la parola per gli altri due. - Chi è che domandadi lui?

Ma egli aveva appena pronunziate queste paroleche mandò aldiavolo l'indostanoquell'assaettato indostano che gli faceva nodo alla golaecontinuò in italiano:

- Chi vedo? Il signor duca di Marana!

- Ah! - esclamò il ducafelicissimo di essere statoriconosciuto. - Ma voi chi sietebrav'uomo?

- Chenon mi conosceEccellenza? Son Giacomoilgiardinierequel Giacomo…

- Ah sìquel Giacomo che l'amico Laurenti ha condotto consè; - interruppe il duca; - in veritànon avrei dovuto dimenticarlo. Erammento adesso certi bicchieri di Sciampagna…

- Che lor signoriamici del padronemi mescevano con tantagenerosità; - disse Giacomocompiendo la frase. - Ho risicato quella sera dinon trovar più l'uscio di casa. Ma entriEccellenza; che sta fermo sull'uscio?Giordano è legatonon dubiti.

- Chi è Giordano?

- Ohdico così per dire. È un proverbio. Il padrone micanzona qualche voltache non so levarmi il vizio di parlar sempre per via diproverbi. A proposito del padronenon lo troverà in casa.

- Me ne rincresce davvero. Venire a posta da Madrid a Bombaye da Bombay a Paravady per abbracciarloe non trovarlo in casa…

- Che vuole? Non aspettava la sua visita: da due mesi neaveva quasi deposto il pensiero. È partito ieri per una escursione scientificacol parroco di quella gran chiesa che avrà veduta laggiù. Una chiesa stranaadirgliela come stae un parroco anche più strano! La chiesa si chiama munder;il parroco si chiama mahunt: la madonna…

- Ho capitoGiacomoho capito; - interrupperidendoilduca di Marana. - In mezzo a questi santi vi ritrovate male. Ma giàper voiche amate i proverbieccone uno che ho imparato in Italia: paese che vaiusanza che trovi. -

Il buon Giacomo era proprio nel suo elemento.

- Anche LeiEccellenzacoi proverbi?

- Ma sìcaro amico; i proverbi sono la sapienza dei popoli.Sapienza un po' confusionariase vogliamo; ma almeno ce n'è per tutti i gusti.E quando credete che sarà di ritorno il vostro padrone?

- Forse questa sera; ma domani senza fallo. Così ha dettoprima di partiree quando lui dice una cosasi può esser sicuriche èquella.

- Ma come si fida eglia correre attornolasciando sola incasa la signora?

- Ohnon c'è pericolo; veda come siamo ormeggiati; -rispose il Giacomoche non dimenticava di essere nato in riva al mare. - Il Sahibgarcome lo chiamano questi ereticiè una vera fortezza. Abbiamo trovato il lavoroincominciato e gli abbiamo data l'ultima mano noi altri. Del restoEccellenzaanche qui la paura è più grande del male; esalvo i poveri indianichepossono fare di brutti incontriandando soli per la jungla di nottenessuno ha da lagnarsi delle bestie feroci. Ma io la tengo qui sullechiacchierementre avrà bisogno di riposodopo tante ore di viaggioconquesta vampa di sole.

- Oramai sono agguerrito; - rispose il duca di Marana. -Piuttostomi sa mill'anni di presentare i miei ossequii alla signora… chesarà in casam'immagino.

- Sicuroe avrà molto piacere di vederla. Si parla spessodi LeiEccellenzae l'hanno anche aspettata un bel pezzo. -

Fatte queste ciarle sul pontementre i servi indianitoglievano dalla carretta le valigie e le armi del ducaGiacomo invitò gliuomini della scorta ad entrareper prenderecom'era naturaleun po' diristoro. Il caporale accettò di buon grado l'offertaed anchesebbene dopoessersi fatto pregare un tantinole dieci rupie che il duca gli metteva tra lemani. Trenta lirese nol sapeste; perchè la rupia indiana vale quanto unfiorino tedescodue franchi e cinquanta centesimi.

Il bègari Viadarma ebbe il fatto suo ed anche la mancia; idue zebùpei meriti di miss Mauddue altri pezzettini di zucchero; e ilsignor duca di Maranalibero da tutte queste piccole noie del viaggiatoresitrovò finalmente in casaper essere annunziato alla signora Laurenti.

 

 

V

 

Donna Luisache non vuol essere più menzionata pel casatodegli Argellaninon si aspettava in quel punto la visita del duca di Marana. Alrumore che si faceva nel cortileimmaginò che Guido fosse tornato qualche oraprima dalla sua escursione. Ma presto si avvide che non doveva esser luiudendola voce del giardinierepiù chiassosa del solitoe cogliendo in aria un certotitoloche il Giacomo non usava dare al padrone.

A tutta prima non le venne in mente che potesse trattarsi delducaannunziato già due volte a' suoi amici di Paravadysenza che lovedessero mai compariree certamente ancora lontano un migliaio di leghe.Pensò in quella voce che fosse il residente britannico di Secanderabadvenutoa ricambiare la visita di otto giorni addietro. Sir Giorgio Lawson era infattil'unico europeo che potesse capitare per allora al Sahibgarmeritandodal Giacomo quel titolo sonoro di Eccellenzache era giuntoper la finestraall'orecchio di Luisa. Mad'altra parteGiacomo aveva parlato in italiano; ela signorapensando meglio a questa circostanza… Pensandoci meglionongiungeva a capo di nulla. E la signora Luisa era tuttavia nell'incertezzaquando il Giacomo si mostrò sul limitare del salottino.

- Signora padrona- diss'eglicon aria trionfale; - Unavisita che Lei non si aspetta di certo; il signor duca di Marana.

- Ah! - esclamò ellaalzandosi a mezzocome se il duca diMarana fosse già per entrare.

Ma tosto si riebbe da quella scossa improvvisae ripigliòla sua calma apparente.

- Fatelo entrare nel salotto- soggiunse; vengo subito. -

Il giardiniere fece un inchino e disparve. La signora Luisaquantunque avesse lasciato credere di voler correre dietro a luinon si mossedalla seggiola; anziappoggiò il gomito al suo tavolino da lavorola frontesulla palma della manoe rimase alcuni istanti in atto di profonda meditazione.Il duca di Marana! Quante memoriesopite nell'animo di Luisaridestava ad untratto quel nome! La patria e il passatoimmagini poco lietenon si erano maipresentate con tanta evidenza al suo spirito. Nè letterenè giornalicon lavarietà minuta dei loro cenninè viaggiatori europeiche ad ogni trattogiungevano a Paravadyper stringere la mano a suo marito e visitare il suoeremo di studioso indianistapotevano fare tanta impressione su leiquanto lapresenza improvvisa di quel cortese gentiluomoda lei veduto forse quattrovoltenelle ultime settimane del suo soggiorno in quella palazzina gialla chesapete.

In quel tempoLuisa Argellani era appena risanata. Sorrettadalla sua volontàpiù che non fosse raffidata dalle sue forzeavevacombattuta e vinta una grande battaglianon d'amor proprionè di vanitàfemminilemacome ella dicevadi nobile orgogliodi onesta alterezzacontrole invidiele ingratitudinile dimenticanze e i dispregi del mondo sciocco incui era vissuta. Quel piccolo mondo era tornato a leied essa lo avevarespinto. Un grande amore l'aveva salvata; quel grande amore doveva rapirla consè. Era partitaaveva dimenticato. La terra è così grandedopo tutto! Ognicielo ha i suoi confortiogni paese ha la sua medicina; l'acqua di Lete èdapertuttofuorchè in casa nostraoper dire più veramenteogni acquachesia nulla nulla lontana dalla piccola valle di lagrime in cui ci siamocrogiolati tanti anniè acqua di Lete per noi. Ma badateanche questo vainteso con discrezione; non si dimentica sempre così pienamenteche un cennodel passatoun testimone degli antichi affanninon ce li possa richiamare allospirito. E quel duca di Maranaanche annunziato più volte ed aspettatodovevaal suo primo apparire far battere con molta violenza quel povero cuore di donna.Egli l'aveva pure conosciuta laggiùnella sua valle di lagrime; non neignorava certamente la storia; era stato anche in relazionese non d'amiciziaalmeno di cortesiacon quel… NoLuisa Argellani aveva disprezzatoquell'uomo; Luisa Laurenti non doveva più profferire quel nome.

Il triste momento era passato. La signora Laurenti scosse lasua bella testa e si alzòper andare nel salotto.

Il mio amor proprio d'autore mi fa sperare che nessuno midomanderà qui il ritratto della signora Laurenti. Il viso di un ovale perfettola fronte prominentemezzo nascosta da due liste di capegli neri e lucentilegrandi sopracciglia arcate che scendevano sulle nere pupilleil naso grecamentedirittole labbra sottili e soavemente disegnateson tutte cose che i mieilettori conosconofin da quando ho descritte loro le sembianze di una bellaanemica. Perchè mi farei a ripeterle? Ripeterò soltanto che la bella anemicaera guaritaper soggiungere che i colori della salute animavano il suo voltoequei colori prendevano forza da certi riflessi doratidi cui ho già detta lacausadescrivendo in queste pagine un'altra figura di donna. Si è detto che ilbronzoco' suoi luccicorirammorbidisce i contorni d'una statua e leconferisce come un aspetto di vita. Similmentequella leggerissima velaturad'oro che il sole indiano distende sulla carnagione delle donne europeeincerta guisa scaldandone i tonile fa comparire più belle.

Il duca di Marana rimase per alcuni istanti immobile e quasiestatico a contemplarla. E qui non c'è nulla che debba parervi poco naturale.Egli l'aveva pure contemplata ed ammirata prima d'allorae potete anche credereche gli piacesse moltocome gliene erano piaciute già tantein ogni paesed'Europa. Per fortunal'uomo non ha da perdere la ragione per tutte le donneche gli piacciono. La natura provvida ci risparmia le impressioniincancellabilie ci consente in quella vece i benefizi del tempo che passadelle occasioni che ci allontanano. Qualche volta le occasioni ravvicinanoe unbel viso torna a piacere; se occorrepiace anche più della prima volta. Edanche questo è naturale. Non avviene egli d'innamorarsi d'una donnacheincontrata qualche anno primaaveva fatta poca sensazioneo nessuna? Questionedi lucedicono i pittori; varia disposizione d'animosentenziano i filosofi aun tanto la dozzina.

La signora Luisa si accorse benissimo della grata impressioneche la sua vista faceva sull'animo del duca di Marana; anzise debbo dirvituttoriconobbe che si trattava d'un senso di ammirazionealtrettanto ingenuaquanto profonda. Ma di ciò non si dolsee mi piace di farvene avvertiti. Anchela donna che vada meno soggetta a peccare di vanitàama esser bella e parertale alla gente; e poichè la bellezza è l'ornamento naturale della donnamettete pure che non se ne sia mai stata nessuna al mondo che si augurasseanche per causare una domanda di matrimonio spiacevoledi parer bruttao diriuscire antipatica. Certe cose si diconoma non si pensano. Colei chemaledisse la sua bellezzase pure c'è stataaveva certamente sofferte moltepersecuzioni del sesso fortee si trovava in una di quelle condizioni critichele quali oramai sono rarissime nella vita realequantunque piaccia ai poeti dimetterle frequentemente in scenaper cavarne i loro effetti drammatici. Maperchè quelle condizionioltre che rarissimesono sempre eccezionalinonvanno invocate nel caso presentecontro la signora Luisa Laurentiche erabellalo sapevaesenza ombra di vanitàpoteva rallegrarsi di parerlo.

- Signor duca- diss'ellaconcedendo la sua mano alviaggiatoreche la baciò con cerimoniosa galanteria- siate il benvenuto tranoi. Guido sarà molto felicequando ritornerà a casa e troverà il suo amicoche egli non sperava già più di vedere.

- In veritàmi sono fatto aspettare un po' troppo-rispose il duca di Marana. - Ma non avevo promesso? O prima o dopoavrei fattoil miracolo. La prova è questache sono venuto; lo stesso ritardo dimostra cheniente poteva farmi dimenticare dell'amico. Anelavo a questo viaggiocome ilcredente anela alle gioie del paradiso. Ed è proprio il paradiso che ho trovatoin questa valle di Paravady. Dovevo immaginarmelodel restosapendo dalleantiche leggende che il paradiso era in India.

- Per altroassai lontano di quinell'isola di Ceylan; -disse ridendo la signora Luisa; - a Paravady non c'è che la pace e l'amicizia.

- E le par pocosignora? Per queste due fortunesi potrebbeanche rinunziare… all'isola di Ceylan.

Con quel caro matto del duca di Marana non la si potevavincere nè impattare. La signora Luisa accettò il complimento con un graziosocenno del capo.

- Ha fatto bene a venire; - diss'ella. - E se la solitudinenon l'annoiase ha voglia di studiaredi esplorarequi troverà un lavorogià bene avviato.

- Porterò un aiuto mal praticoma pieno di buona volontà;- rispose il duca di Marana. - E qui si studia sempre? È la regola delconvento? Giàdove è il signor Guido Laurentinon c'è posto per l'ozio.

- Guido non perde il suo tempo; Lei lo conosce; ha la febbredelle ricerche scientifiche. Per orasiamo in filologia.

- Ho bene udito parlarne a Secanderabad. E Leisignorasiassocia al marito?

- Col desiderio e nulla piùsignor duca. La donna è fattaper governo della casa. Ma a proposito di casaElla ha da vedere il suoquartierino.

- Già preparato?

- Sempre. Non le ho detto che s'aspettava da lungo tempo?

Così dicendola donna gentile si alzòfacendogli cenno diseguirla.

Dal salottoin cui era stato ricevuto il duca di Maranasiusciva in un corridoioche metteva alle scale del piano superiore. Lassù eranodue porte a riscontro; per una si entrava nello studio di Guido Laurentidall'altra nel quartierino assegnato al futuro ospitequartierino composto ditre cameree arredato con elegante semplicità.

Il duca di Marana notò con piacere che le sue valigie e lesue armi erano già deposte nell'anticamera. Entrato nel suo salottinodiedeuna sbirciata alla finestradonde potè scorgere tutta la campagnae una partedella valle per cui si dilungava la Godavery in una striscia d'argento. Laprospettiva era bellissima e il duca si promise di godernespecie nelle ore delmattinopoichè la finestra guardava dalla parte di tramontanae non c'erapericolo di cuocersi al sole.

- E adesso- gli disse la signora Luisavada pure nella suacamera; occupi il suo nido. È sotto il tettocome quel delle rondini. Macomeha vedutola casa non ha che due piani.

- Ci starò egregiamente; con quella vista magnifica!

- Badiper altrodi non perdersi nella contemplazione. Frapoco sarà l'ora del pranzo.

- Ohnon dubitifo le cose alla svelta. Intantomipermetta che io la riaccompagni.

- Nonon lo permetto; - diss'ella con piglio di benevolaautorità. - L'ho condotto io quassù perchè un uomo come Leiche percorreduemila leghe per venire a abitare gli amicinon si fa accompagnare dalservitore. Ma qui le cerimonie finiscono…oppure- soggiunse la signoravedendo che il duca di Marana non si disponeva ad obbedirlasono ammessesoltanto quelle di Lord… non rammento più il nome. Come si chiamavaquell'ambasciatore d'Inghilterra che andò alla corte di Luigi XIV?

- Signora- disse il duca di Maranacon aria di sublimecandore- non lo so neppur io

- Meglio così; la sua memoria non farà scomparire la mia.Facciamo conto di sapere il nome del personaggio; la storia può raccontarsiugualmente. Questo ambasciatore giungeva a Versaglia preceduto dalla fama diprimo cerimoniere d'Europa. - Vedremo- disse il reche in quella scienzapretendeva di saperla più lunga di tutti. E lo mise alla provaappena sipresentò alla corteoffrendogli di visitare il palazzomeraviglia dellemeraviglieche aveva creata da poco tempo l'architetto Mansart. C'era un uscioda passare; il re lo indicò gentilmente con un cenno della manoall'ambasciatore.

- Rammentoadesso; - interruppe il duca. L'ambasciatore nonfece complimenti; s'inchinò e passòper ubbidienzadavanti al re. Coi re…e con le reginela migliore delle cerimonie è quella di obbedire; non è vero?

- Proprio così.

- Vada dunque solaVostra Maestà- ripigliò il ducainchinandosi- e accetti l'omaggio del primo cerimoniere… dell'Asia. -

Rimasto solo nel suo quartierinoil duca di Marana pose ognisollecitudine intorno alla sua persona. Il viaggiatoreper solitoè svelto inquesti negozi; la necessità è una grande maestra. Frattanto egli ridevapensando che per la seconda voltanel corso di ventiquattr'oreegli guadagnavail suo pranzo con una di quelle frettolose restaurazioni della propriasuperficie. Del restoera anche la seconda voltanel corso di ventiquattr'oreche egli faceva quella fatica per una bella donna. Ma come la seconda vinceva laprima! E come sarebbe stato necessario raddoppiare le sue cureper comparirepiù elegante del solito! Perchèinfinenon ci si atteggia sempre aconquistatori; ma la vicinanza di una bella signora ci spinge istintivamente afare qualche cosa di più dell'ordinarioa dare con maggior garbo il nodo allacravattaa guardarci ancora una volta nello specchioa ravviarci i capeglisull'uscioa presentarci con uno scorcio di vitache in ogni altra occasionenon ci verrebbe neanche al pensiero. Così è; il pavone fa la ruota; l'uomo siatteggia come puòcon le penne del sarto. Felice luise queste gli bastanoenon gli bisognaper esempiodi metter mano alle tinture del parrucchiere.

Il duca di Marananiente più azzimato di quello che fosseil giorno primain casa del residente britannicosi presentò nella sala dapranzo. C'erano tre posti a tavola; omaggio al padrone di casache era assentema che poteva giungere da un momento all'altro.

- Non è una cosa molto allegradi pranzar così soli; -disse la signora Luisa indicando al duca il posto più vicino a lei; - mapoichè Guido non poteva prevedere la sua venutasi contenti della pocacompagnia.

Il duca voleva risponderle un complimento dei soliti; ma sitrattenne. Per quel giornoe nello spazio di un'orane aveva detti giàtroppi.

- Consoliamoci pensando agli assenti- rispose egli conenfasi- e benediciamo la scienzaa cui essi sacrificano queste ore di pacedomestica.

La conversazionetra due persone in poca intimità fra loroha i suoi momenti di languoreanche quando una di queste persone ha moltaaffabilità e l'altra una grande scioltezza di parola. Per rompere uno di queisilenziche accennava di voler durare un po' troppola donna gentile chiese alduca di Marana a che cosa pensasse.

- Pensavo al nome di quell'ambasciatore… - rispose eglitanto per dire qualche cosa; - Un nome che ho qui sulla lingua e che non vuoleuscirmi di bocca.

- Davvero? - esclamò la signora Luisa. - Ma che cosa leimporta piùora?

- Come curiosità storicam'importa sicuramente. Non avvieneanche a Leisignoradi stillarsi il cervello intorno ad un nome che non vienfatto di ricordare?

- A meno; - rispose la signora Luisa; - e gliene dico laragione. Un nome che sfugge non merita la fatica di corrergli dietro.

- C'è della filosofiain ciò ch'Ella dice; - osservò ilducache aveva la mente occupata da pensieri confusie si aggrappava a quelfilo per tener vivo il discorso.

- Filosofia! Ohnon faccia questo onore ad una osservazionenaturalissima. Del restoguai a noise dovessimo ricordarci di tutto. Lamemoria tenace non è sempre un benefizio. Per fortunaqui in Indiae in ungenere di vita così diverso dall'anticosi ha il diritto di rinunziare aquella facoltà pericolosa.

- E di non pensare più a nulla; dice bene. Anch'io hoprovata questa dolcezzanel mio primo viaggio in queste latitudini. Ma veda unpo' che stranezza di caso; appena ritornato in Europami tornò la memoria dicentomila noie e dispiaceriche qui mi parevano sciocchezzebambinerie…

- Ma adesso che è tornato in India…

- Adesso dimentico da capoe quasi quasi… veda dove soncapace di arrivare! quasi quasi non rammento già più quello che ho fatto ieri.

- Questo poiè troppo; - gridò la signoraridendo di grancuore a quella scappata del suo ospite. - Se la va di questo passoa rivedercidomani!

- Vuol dire che non mi ricorderò di quest'oggi? Nomiagentile signora: questo sarà tra gl'impossibili. -

La conversazione procedeva su questo tonomezzo scherzosa emezzo gravecome dovrebbero essere tutte le conversazioni delle persone a modo.Infattiperchè si chiacchiera? Non già per dire solamente delle sciocchezzenè per far pompa di cognizioni profonde. E tra un uomo e una donnapoidi chesi condisce il discorsoquando esso non deveo non puòvolgere al tenero?Uno scherzo gentileun omaggio in forma di complimentoed anche una attenzionesostenuta che mostri il desiderio di piaceresono eccellenti preliminari; mapossono ugualmente servire per chi voglia ottenere la stimae per chi vogliaconquistare l'affetto. Nel caso del duca di Maranala stima era già ottenuta;mettete dunque che egli lavorasse per abitudine.

Del restobisognava anche ammazzare il tempo. E si trovòanche un modo migliore di ammazzarloquando la signora Luisa venne a parlaredelle cure con cui ella e Guido si erano accomodati a vivere in quell'angoloignorato dell'India. Entrava anche in scena il Giacomoquel prezioso compagnodi viaggioche aveva fatto prodigi di buona volontà e d'intelligenza operosa.La scelta di Paravady era stata determinata dalla occasione propizia di quelvillinogià fatto e posto in vendita dal suo proprietario. Ci si erano trovatibeneanche per la vicinanza del tempio braminicoche a tutta prima si sarebbepotuta credere una grande molestia. Il mahunt Lacmanacon la suaamorevolezza pel dotto forestieroaveva procacciata al Sahibgar labenevolenza degli indianiassai più che non avesse fatto l'incentivo delguadagnoin tutti quei lavori di sterro e di piantagioneche occorrevano ainuovi abitatori del luogo. Que' poveri Sudra lavoravano pel sahib Laurenti conun giubilo da non dirsi a parole. Se a lui fosse saltato il ticchio difabbricare una piramide come quella di Cheopecertamente le loro braccia nonsarebbero bastateperchè il villaggio di Paravady era piccolo; ma è certo delpari che nessuno avrebbe detto di noe tutti si sarebbero messi al lavorononmossi da altro che dal desiderio di compiacere al Sahib.

Notate che nel villaggio di Paravadydopo l'arrivo di GuidoLaurentinon si era più conosciuta la miseria nelle sue forme atroci.L'indiano vive con una giumella di risobollito nell'acquasenza neancheaggiungervi un pizzico di sale. Ma anche a contentarsi in questo modovengonole stagioni in cui si può morire di fame; cosa tristeassai tristechiparagoni la inedia e la mortalità di quella povera gentecon tanta suapochezza di bisognie con quella sua medesima rassegnazione nel soffrire.

Il pensiero di quella fortuna che era capitata ai poveriabitanti di Paravady e che essi certamente attribuivano alla misericordia diIndrail dio della vôlta azzurraesaltò la mente del duca di Maranacheinmezzo a tutte le sue debolezze di gran signore e alle sue scapataggini di uomoche viaggiava per passatempoaveva intelletto d'amore per tutte le belle cose eper tutti i nobili esempi.

- M'immagino - diss'egli - che Paravady avrà anche la suascuola.

- Sicuramente; - rispose la signora Luisa; e ne prendono curadue panditi dello stesso collegio presieduto dal vecchio Lacmana.

- Due panditi! - esclamò il duca. - I savidell'Indiaappartenenti alle classi superioripensano dunque ai loro fratellidell'infima classe?

- È un miracolo operato da Guido; - disse la signoraconmolta semplicità. - Prima di tuttobisogna notare che lo stato di servitù incui sono caduti da duecent'anni gl'indiani di questa provinciadavanti ai loroconquistatori musulmaniha recata una certa confusione nelle vecchiespartizioni di caste. Si è sempre fratelliquando si soffre insieme. Guidodel restoha persuaso il suo vecchio amico della necessità di istruire iragazzi nella lettura dei sacri testicome avviene alla preghierae ha fattovenire egli stesso da Calcutta i libri e sillabarii stampati. Era il meno chepotesse farein ricambio di tutti i manoscritti della bibliotecache il mahuntLacmana ha messi a sua disposizione. Poibel belloha cercato di aggiungereall'insegnamento un po' di storia generalespecialmente moderna. La confusioneè inevitabilema la buona volontà accomoda tutto.

- Se lo sapesse la società de Propaganda fide! equell'altra dell'insegnamento della Bibbia! -gridò il duca di Maranavedendonella scuola di Paravady l'evidente omaggio reso da un europeo alle credenzepaesane. - Ma giàc'è chi va piano e va lontanoe c'è poi chi vuol saltaree si fiacca il collo. Io ammiro senza restrizioni questo metodo d'insegnamentoche non può destare sospetti e non deve incontrar resistenza. Dopo tuttoaognuno la sua fedequando non sia quella degli antropofagi. Sebbene- proseguiegliravvedendosi- l'antropofagia debba riconoscersi come l'apogèo dellaciviltà. Essa comincia dove finisce la filantropia. Gli estremi si toccanoenoiin Europaci andiamo bellamente accostando alla filantro…pofagia.S'incomincia dalla politicama si prevede già dove andremo a finire. Perdisgrazianon tutti i nemici son carne da bistecche.

- E per fortuna non siamo ora in Europa; - ripigliò lasignora Luisamettendo fuori un sospiro di contentezza. - Qui è lecito divivere ancora nella filantropiae di scavarcisi dentro una nicchia per lapropria felicità. -

Il pranzo era finito e la signora offerse al suo ospite diuscire in giardino a prendere il caffè. Era la consuetudine di tutti i giorni;non s'andava lontano dalla salail cui uscio metteva per l'appunto in giardinonè fuori dal cerchio luminoso della lampadache pendeva dal soffitto perrischiarare la tavola. Quella conclusione del pranzo all'apertocon la gratafrescura della nottepiaceva molto a Guidoche amava un pizzico di poesia intutte le cose della vitae godeva di vedere la luce della lampada rinfrangersicapricciosamente nel ricco fogliame delle magnoliedi cui poneva in evidenzaqua e là le candide bocce odorosee andarsi a spegnere nelle acque dormenti diuna vascasu cui tremolavano le aperte corolle del lotoocchi della immortalenaturavigilanti nell'ombra.

Ma il signor Guidoin quell'oravegliava lontano da casasuae il posto accanto alla tavola di marmo era occupato per quella sera da unaltro. Il qualeda viaggiatore buongustaiocentellando la sua tazza di mokapoteva fare un artistico raffronto tra una notte in riva all'Hussein Sagarconun bel lume di luna tremolante sulle acquee una notte in quel fidato recessodi Paravadyche offriva in un medesimo punto i lieti chiarori della casa e leprofondità misteriose del bosco. Laggiù si espandeva lo spiritoqui siraccoglieva in sè stesso. Masia che si raccolga o si espandalo spirito nonviaggia egli sempree non trovain mezzo alle soavi penombrele ineffabilivoluttà dell'ignoto?

Seduto colànella mezza luce e nella pace profonda di quelparadiso indianoil duca di Marana meditava sulla bizzarria del suo caso. Dopoaver fatto tanto cammino per abbracciare l'amico Laurentie non pensando che aluisi trovava soloal fianco della signora Luisauna delle più meravigliosebellezze che egli avesse mai vedute in dieci anni di corse capricciose pelmondo. Tutto ciò era abbastanza naturale; eppuregli sembrava stranoedomandava a sè stesso: - chi ci vedesse in questo momentodal buco proverbialedella solita serraturache cosa penserebbe di noi? -

Risefacendo questa osservazione. Ma il suo era un risolinoa fior di labbrauno di quei risolini stentaticon cui una certa ipocrisiamolto male dissimulatatenta di rianimare il nostro coraggioo di deludere lanostra vigilanza. Gran furboquell'uomo interiore! Poiquando s'accorge diessersi volontariamente ingannatoe di non poter stare più a lungo sullanegativafa un atto d'impazienzarovescia tutta la colpa sul destino e va aletto.

A lettosicuro; e il più delle volte gli riesce di dormire.

 

 

VI

 

Non diciamo troppo male dell'uomo interiore in generalenèin particolare di quello che si facea vivo così fiaccamente nelle spoglie delsignor duca di Marana. Se il nostro eroe dormì quella notte saporitissimamentedatene colpa alle membrache erano stanchee merito al letto dell'ospitalitàche era fatto di piume.

Cionondimenoil duca di Marana si svegliò per tempo; ecome si fu svegliatosorrise benignamente della propria amatività; voglio diredi quella tenerezza di fibrache lo aveva condotto ad innamorarsi di due donnealla filanel corso di ventiquattr'ore. Dopo averne sorrisone trovò anche laragione e la scusa in quella novità del casoche proprio in Indiae quasi inun desertogli aveva fatto incontrare una dopo l'altra due donne europeecosìdegne di un omaggioanche superficialedel più libero e infiammabile tra icuori di Spagna.

Perchèinfatti la signora Maud gli era piaciuta moltoatutta primae un po' meno nel corso della giornata; ma questi sbollimentigraduali non gli tornavano certamente nuovied egli poteva attribuirli a quellafacoltà di padroneggiarsiche formava il suo vanto. Miss Mauddopo tuttoerauna graziosa figurinasbozzata dall'arteficema non ancora finita. Poteva congli annie secondo l'indole del suo svolgimento fisiologicodiventare unabella signoraed anche un manico di scopa. Queste trasformazioni di un tipo nonsono mica impossibilie neanche improbabili. Allungate nella vostra fantasia iltorso della Venere di Miloche è già tra i tipi più affusolati dell'arteevedrete che cosa vi diventa. Della signora Luisa non si poteva temere questamala riuscita. Quella era una donna formatasalda ne' suoi contornisplendidanelle sue morbidezzesoave nelle sue grazie; insomma un miracolo di finitezzauna perfezione della natura. E poiveduta in quella pacecome una divinitàche si svolge dalla sua nube e se ne forma un'aureolanon doveva far senso? Edanchein una certa ora del giornotra i penetranti effluvii di una vegetazionetropicalefar dare la volta al cervello?

Fortunatamentei raggi del soleche spuntava glorioso daimonti di Orissavenivano a sgombrargli la testa dai fumi di quella secondaebbrezzasottentrata in così poco spazio di tempo alla prima. Sorrisebenignamentecome vi ho dettoe si fece un obbligo di coscienza a riconoscereche la signora Luisa era più bella che maie che il suo amico Laurenti eral'uomo più fortunato della discendenza di Jafet.

Ma vedete capricci degli uomini fortunati! Quel Guidocheogni buon cavaliere avrebbe invidiatoandava a perdere il suo tempo nellescorribande scientifiche! Lasciava a casa una donna come quellaper correredietro alle lucertoleo per chiudersi in una libreriacon certi limbelli dicarta ingiallitatutta scritta a rampinibeccare le astruserie etimologichesceverare la desinenza del vocaboloil suffissoil prefissol'affissodallaradice!

- Sarebbe vero- pensava il ducanell'atto di uscire dalsuo letto di piume- sarebbe vero che la scienzacome l'arteè una malattiaincurabile? Malattiano; diciamo uno di quei germi invisibiliche cis'infiltrano nelle ossae invadono tutto l'organismo. Ma giào ch'io mi ciperdoo questo e come dir zuppa e pan molle. Il fatto sta che la scienzacomel'arteè una bella prepotentela quale non ammette rivalità; c'è lei e vuolbastare da sola. Del restochi non lo sa? Un placido possesso mette in quietelo spirito; all'uomo bisognano gli ardorile aspirazionii contrasti; oraseè l'arteo la scienzache vi dà questi benefici stimolivoi amate lascienzao l'artevi concedete a lei anima e corpo. Povere donneal paragonedi queste divinità esclusive! Poveri amoriche non hanno più nulla di arcanoda offrire in pascolo all'avidità curiosa di questo bel mattoche è l'uomo! -

Il duca di Marana aveva finito di vestirsima stava ancorafilosofando (segno di grande tranquillità d'animodiranno i lettori)allorquando gli venne udito un gran rumore di passi frettolosi e di vociallegreche si avvicendavano giù nel viale del Sahibgar. Si affacciò allafinestra per vedere; ma la frappa delle magnolie e delle muse paradisiachegl'impediva di distinguere le persone. Per controudiva meglio le vocie nontardò a riconoscere quella di Guido Laurentiche rispondeva ai saluti delGiacomobarattando con lui domande e notiziecome fa un padrone di casacheritorni fra la sua gentedopo qualche giorno di assenza.

L'amicizia proruppe dal petto del duca di Marana in un gridostentoreoche fece rizzar la testa a Guido Laurenti.

- Ah! - gridò egliuscendo frettoloso all'aperto; - sietevoisignor duca? Che fortuna è la mia! Aspettatevengo subito da voi.

- Noscendo ioscendo io! - rispose il duca di Marana.

E levatosi dalla finestracorse fuori dal suo quartierinoper fare a precipizio le scale.

Lascio da banda gli abbracciamenti e le gridale strette dimano e le parole spezzatetutte dimostrazioni d'amicizia naturalissime dopoalcuni anni di separazionee più caldepiù rumorose in terra stranieradoveun amicoed anche un semplice conoscentevi sembra l'immagine della patrialontana.

Cessata la furiai due amici si guardarono l'un l'altro.Erano un tantino invecchiati ambeduese pure a quell'età si poteva parlar divecchiezza; ma Guido Laurenti aggiungeva a quell'aria di virilità qualche cosadi selvatico. Ed anche qui la parola va intesa con discrezione; mettete chesembrasse un po' rusticoun po' meno elegante di quello che era parso quattroanni prima al duca di Marana. Il cambiamento non era forse che superficialeepiuttosto da attribuirsi al suo arnese da cacciatore e a tanti amminicolichefacevano pensare al postino e al merciaiuolo ambulante.

Guido Laurenti aveva semprecome suol dirsiun occhio alcane e l'altro alla macchia; la filologia non gli faceva dimenticare la storianaturale. Chi avesse aperto il suo zainola borsa che portava ad armacollolasporta che tenevano i suoi servi indianiavrebbe trovato un saggio dei treregni della naturapietreerbeuccelli rariinsettie che so io; tutta robache passò prontamente dalle sue mani a quelle del Giacomoil suo bravo efedele aiutante.

Libero da tanti impicciGuido afferrò di bel nuovo le manidel duca.

- Come sono contento di vedervi! Siete finalmente arrivatodon Fernando mio! Lascio i titoli da banda se permettetequantunque siamo nelpaese delle caste…

- Nel paese delle caste lascierete anche il Don; - interruppeil duca di Marana; - se nodal canto miovi chiamerò sempre l'illustreLaurentiil dotto indianista.

- Ahsapete già queste inezie? Luisa vi ha raccontato…

- No; - disse il ducache in quel punto chiedevainvolontariamente a sè stesso come mai la signora non fosse ancora comparsa; -me ne ha parlato il residente inglese di Secanderabad.

- Sir Giorgio Lawson. Dovevo immaginarmelo. Egli è moltocortese con mequantunque non ci siamo ancora conosciuti di persona. Amico mioche farein questi luoghise non si studia? Capitandoci da soloavrei seguitoil vostro consigliodi osservare correndo. Ma ero accompagnatoe non ho avutoaltra cura che di appendere il mio nido. La vita sedentaria ha portati i suoifruttimi ha appiccicate tutte le passioni del suo stato. Leggocommentotraduco i libri antichi di questo popolo rimbarbaritole sue sublimi leggendeche furono i primi fiori della civiltà. Sono a capofitto nei primi periodidella flora umanacome vedetee non esco dalla storia naturaleanche facendoil filologo.

- Mi duole- osservò il duca di Maranache iodigiuno distudi preliminarinon potrò seguitarvi.

- Se ci fate l'onore di restareci sarà anche lavoro pervoinon dubitate; - disse Guido sorridendo. - Ci ho il fatto vostro.

- Che cosa? Debbo purgare queste jungle dai mostri?Non sono Teseonè Piritoo; ma infinesono un cacciatore passabile; spendetemipure per tale.

- Ohci sarà dell'altroper tenervi desto- risposeLaurenti- quantunque una caccia alla tigredi tanto in tantonon manchineppur essa di attrattive.

In quel momentoun lieve rumore di passiaccompagnato dalfruscio d'una veste di mussolinasi udì sotto l'atrio. La signora Luisabellacome l'auroraappariva dall'intercolonniocheper continuar la metaforapoteva fare le veci del classico "balzo d'Oriente".

- Chi è che parla di tigri? - diss'ellaavvicinandosi. -Vorreste offrire questo brutto spasso al signor ducaa mala pena arrivato tranoi?

- Nocara amicanon gli facevo questa offerta; vi prego dicrederlo; - rispose Laurentimuovendole incontro.

Il duca di Marana notò che Guido le dava del voi e lebaciava la mano.

- Che cerimonia! - diss'egli tra sè. - Ci sarebbe mica unprincipio di freddezza?

A buon contofreddezza o nouna parte di quella cerimonial'avrebbe ripetuta volentieri anche lui. Ma ciò che era stato naturalissimo ilgiorno addietronell'atto di presentarsi alla signora Laurentinon era piùammissibile allora. Fece dunque un inchino e si contentò di una leggera strettadi mano; usanza britannicariveduta e corretta.

La giornata passò in mille chiacchieree in un continuoandirivieni da un punto all'altro del Sahibgar. Da ambe le parti bisognava porsial fatto di ogni cosa; il duca aveva da prendere possesso di tutte le abitudinide' suoi ospiti; questia lor voltada metterlo in confidenzaperchè sitrovasse subito come in casa suaper tutto quel tempo che gli fosse piaciuto dirimanervi.

Dopo le cure del presentevennero gli accenni al passato.Per esempioil duca di Marana dovette raccontare tutto quello che aveva fattoin quegli ultimi anni; e come vi sarà facile d'immaginaredon Fernandosorvolò su molti puntifermandosi con burlesca gravità sulle parti noiose.

Quel giorno ebbero a pranzo un nuovo convitatoLacmanailsavio Mahunt del tempio di Paravady. Era un curioso personaggiomite ne'suoi discorsima poco venerando d'aspettocon quel colore di bronzoe queipochi peli grigiispidi e cortiche gli tenevano luogo di barba. Lacmana nonbeveva che acquaecome si narra dal profeta Danielenon mangiava che cibivegetali. Il pranzo di casa Laurenti era composto in guisa da far trovare ilfatto suo a quel pitagorico indianosenza che per lui dovessero far penitenzaanche gli stomachi europei.

Guido rispettava molto le consuetudini del vecchio bramino.Se non si fosse trattato che della propria personaegli stesso non avrebbeordinato altro pranzo che d'erbe.

- Che volete? - diceva egli al ducain un momento che eranorimasti soli in disparte. - Ognuno fa quel che gli torna meglio. Poitutte lereligioni hanno il loro pregiostorico e morale; hanno servito la parte loroconsolando miseriesollevando spiriti abbattuti. Respingiamo le prepotenzeopponiamoci alle usurpazioniè ufficio e debito nostro; ma rispettiamo queicultida cui tante anime derivano una paceche noi non sapremmo dar loro conle nostre negazionipiù o meno scientifiche. Credete a meFernando; non sonogli spiriti tormentatiquelli che vagheggiano i grandi concetti ed operano legrandi cose nel mondo.

- Brigadiervous avez raison; - disse il duca diMaranaabbracciandolo; - vi giuro che non riderò dei pasti pitagorici delnostro amico Lacmana.

- Se sapeste che tesori di bontàsotto quella scorza dibronzo! - continuò Guido Laurenti. Io lo credo un uomo di alto ingegnoche nelsilenzio delle sue meditazioni è risalito alla fonte delle coseed haspogliato il vero di tutti i suoi molesti involucri. Negli usi della vita egliè ciò che deve essere un mahuntun braminoil quale non vuolrinunziareper una soddisfazione d'amor proprioa quegli uffici di caritàche solamente in quella sua veste potrebbe esercitare tra i suoi compaesani. Perdirvela in poche paroleegli ha certamente sceverato lo spirito dalla leggemasenza rinnegare la lettera.

- Degno Lacmana! Voi me lo fate avere in gran reverenza.

- Poveretto! È un solitario che piange tra le rovine; -ripigliò Guido Laurentiche non sapeva distaccarsi da quel tema. - La suapatriadopo tanti secoli di gloria e di felicitàcadde in balìa deiMusulmani; oggi è quasi tutta in mano agli Inglesi. Il suo tempio si vasgretolando di giorno in giornosenza speranza di restauri. La sua fede regnavaun tempo su quattrocento milioni d'uomini; la riforma di Sakia Muni gliene harubati trecento; agli altri la servitù politica e la miseria tolgono ogniimportanza nel mondo; nè quella fede può sperare un ritorno alla sua primagrandezza. Le forme hanno soffocate le idee; i simboli si sono irrigiditi nellapietra; non c'è più modo di scioglierli. Quella fede non ha più scismichepure varrebbero a dimostrare la sua vitalitàcome i polloni dimostrano lapotenza non esaurita dell'albero. Si può scindere in sèttein gruppiinmanipolicome avviene a tutte le scuolea tutti i partitiquando si offuschiil pensiero ordinatoree manchicon l'occasionela voce autorevole perraccoglier le file. La parola di Bramain cui crede quell'uomonon è più cheun'eco perduta tra i secoli. Vi ho detto che ogni cosa è rovina intorno a lui.Trovi almeno in questa sua solitudine chi gli ragioni con amore della suavecchia fede e gliene esalti le grandezze.

- Capisco; - disse il duca di Marana: - perchè egli siconsolicome un nobile spiantato si consola della sua miseria presentericordando che mill'anni addietro un suo antenato salvava col proprio ardimentola Spagna.

- Nè più nè meno; - rispose Guido Laurenti. - Tutte legrandezze e tutte le miserie si rassomiglianoin questo culto e in questeconsolazioni. È un canto da aggiungere al poema sui "piaceri dellamemoria". -

La conversazione si era fatta graveanziper dirvelaschiettacome la sentiva il duca di Maranaun pochettino noiosa. Ma giàqueibenedetti scienziatiquando ci si mettono… quando ci si mettonocredete pureche non lo fanno col pensiero di smettere.

Per fortunaarrivò la signora Luisa a rompere il filo delledotte considerazioni.

- In verità- pensò il ducamentre si volgeva alla bellaliberatrice col più amabile de' suoi sorrisi- se non ci fosse la damamitroverei qui come un pesce fuor d'acqua. Siamo giustiper altro; Guido ragionabenissimo; e in questa pace… filosoficason ioproprio ioche ho volutovenirci. Rassegniamoci a fare il quarto. Chi non sta al giuoco di famiglianonha a far altro di meglio che andarsene. -

Con queste savie riflessioni il signor duca di Marana mise inpace il suo cuore. Cioènoscusatevolevo dire il suo spirito.

- Orbene- diceva intanto la signora Luisaavvicinandosi-che cosa fate voi altri? Ci avete del segreti che una signora non possa udire?

- Signorasi chiacchierava di religione indiana; - risposeil ducachinando umilmente la testa.

- Ahil discorso prediletto di Guidoche vuol farsi braminonel munder di Paravady! - esclamò la donna gentile.

Guido sorrisecome un uomo che sa stare alla celia. Ma ilduca di Marana potè credere che sorridesse come un uomo che sta volentieri conle proprie ideenè ama discuterle in una frivola conversazione col bel sesso.

- Amica mia- disse Guido Laurentisenza uscire dal suotono di affabilità riguardosama anche senza far contro alla supposizione delsuo ospite- persuadevo Fernando a non ridere di certe abitudini del mahuntche non può certamente cambiarle a quest'ora.

- Sìpoveretto; - rispose la signora Luisa; - egliperdirvene un'altrasi è ritirato or ora nel parcoa recitare la sua preghieraserale. E mi ha lasciata solacome vedete.

- Cosa che non è punto galante da parte suacome non losarebbe da parte nostrase non ci affrettassimo a rimediarvi; - disse il ducadi Maranaoffrendo il braccio alla signora.

- Rientriamose vi piace; - ripigliò la donna gentilevolgendo il passo verso la casa. - Il nostro bramino… in erbaha da finirequesta sera una memoria per la Società asiatica di Calcutta. Domani passerà lamail-cartche va alla stazione di Secanderabad; non è veroGuido?

- Sicuro; - rispose questi; - ma poco mi resta da fareeavrò tempo domattina.

- A proposito di Secanderabad- entrò a dire il duca diMarana- ho dimenticato di annunziarvi la visita di sir Giorgio Lawson e dellasua famiglia. Uno di questi giorni saranno qui certamente.

- Saremo lietissimi di riceverli- rispose la signora. -Dicono che la figliuola del residente sia molto bella. La conosce leisignorduca?

- L'ho vedutasì; ma non mi sembra che sia un miracolo dibellezza. È lunga e smilza come una cavalletta. -

Disse proprio cosìil signor duca degnissimo. A mala penaebbe profferito quel suo giudiziose ne pentìcome ci si pente tutti di unavolgaritào di una leggerezzache ci sia sfuggita di bocca. Ma oramai eradettae non tornava più indietro. Compatite il signor ducapensando che unoratorefoss'anche Demostenenon è sempre sublime.

- Già- osservò argutamente la signora Luisa- lei che hala memoria fresca delle bellezze d'Europasarà ancora di gusto difficile.

- Ohla prego a credere che non è per questo - gridò ilduca di Marana.

E avrebbe aggiunto tanto volentieri: - i termini di paragonepossono trovarsi anche in Indiaad un passo da me. - Ma il signor duca non sisentiva più così libero nelle sue galanterie; quando si è tocchi nel cuoresi sente una grande necessità di custodire la linguadi esser discretispeciequando non ci si trova a quattr'occhi.

Soggiunse in quella vece:

- Ho detta la cosa come la sento. Madopo tuttomiss Lawsonpuò anche piacere. Primo puntoè simpatica; è poi d'umor gaio e non manca dispirito; inoltreha un fare schietto ed ingenuo che innamora.

- Ho capito; - entrò a dire Guido Laurenti; è il caso dirifarsi al proverbio: chi sprezza compra. Voi l'amereteFernando. -

L'osservazione di Guido piacque assai poco al suo nobileamico. Il qualecome potete argomentar da per voiincominciava ad entrarenello stadio psicologico del volere e disvolere in un punto soloma non amavaneanche di comparirelì per lìdavanti alla signora Luisacome un cavaliereimpegnato.

- Io vado da un eccesso all'altro; - rispose egli allorasalvandosi con una celia. - Ma voi caro Laurentinon vi mettete nel mezzodovea quanto dicono i praticisi trova la verità.

- Bastavedremo la signorinapoichè Leisignor ducaciannunzia la visita dei Lawson;- dissea modo di conchiusionela donna gentile.

- Fra tre o quattro giorni; - soggiunse il duca. - Anche sirGiorgio aveva qualche faccenda del suo ufficio da sbrigareper l'arrivo della mail-cart;se nosarebbe venuto ieri con me. Sarei stato l'introduttore; non sono inveceche il precursore della miracolosa bellezza.

- Vialo confessi; - ripigliò la signora; - senza esserforse miracolosaqualche po' di senso le ha fatto. E il cavaliere che ellaaveva scelto per introduttore…

- Ohl'idea del cavaliere non c'entrava per nulla; -interruppe il ducafelice di poter fare un complimento in terza persona; -sappiasignora miache miss Maud è innamorata… innamorata di Leisolamenteper la fama che ne corre.

- Davvero? E che cosa può aver posto in girola fama? MissLawson non si sarà mica immaginata di dover trovare a Paravady l'ottavameraviglia! Dopo tuttomeglio così; ecco una ragione eccellente per farmelaparere bellissimaquantunque non dovessi veder altro che una cavalletta…simpaticacome la dipinge il. suo precursore.

- Una ragione eccellente! - esclamò don Fernando. - Masignorae i diritti della verità?

- Che le pare? Son donna anch'io- ribattè argutamente lasignora Luisa- e un omaggio così ardente ha già per sè tutti i puntifavorevoli. -

Quelle parolebuttate là a caso e per mo' di chiacchieradiedero molto da pensare al signor duca di Marana. Ci pensava ancorafinita laconversazionequando egli si ridusse nella pace del suo quartierino.

- È vero- diceva tra sè- amiamo sempre chi ci ama. Loha detto anche Dante: amor che a nullo amato amar perdona; amore non cirisparmia quest'obbligo di contraccambio. Ma badila signora; ecco una teoricamolto pericolosa. In luogo di miss Maud potrebb'essere un certo cavaliere che soio. E se questo cavaliere le rammentasse… Suvviasciocco! - interruppementre si sdraiava sulle morbide piume. - Vi par questo il momento e il luogo daprendere una cotta? Perchè voinon c'illudiamovoi state davvero perprenderla; e sarà una cotta senza esempiove l'assicuro ioche mi ricordo ditutte le altre. -

Si rizzò intanto sul gomitoe con un soffio spense il lume;indiripigliata la positura orizzontalesi voltò sul fiancoper dormire. Mail sonnoahimènon doveva scendere così presto.

- È morbidoquesto letto! - proseguì. - Il lettodell'ospitalità! Ospitalità! Che c'entra questo? Chi vuol mancare a certiriguardi? Un po' di galanteriaecco tutto; è il contorno necessario di ognirelazione amichevole. Giàcome ci può essere amicizia tra uomo e donna?All'uomo si stringe la manosi offre un sigaromagari anche la borsa; siaccompagna sul terrenoci si batte all'occorrenza per lui. Ad una donna questeprove d'amicizia non si possono dare; si fa molto meno o molto piùsecondo icasima sempre un pochino di corte. -

La massima gli dovette parer giusta; ma forse non poteva starritta da solaperchè il ducadi Marana reputò necessario di rincalzarla conqualche altro argomento.

- Quel Guidocome è freddo con lei! Chi l'avrebbe maiimmaginatodopo tanti bollori! Lavorapensavavieneritornacome un uomoche è tutto nelle sue occupazioni. Giàè un marito. Anche lei è moltotranquilla; sorridegli dà la baia e non si tormenta troppo delle sue fughe.Se ci fosse un giovinottoe Paravedysi potrebbe credere… Ma qui non hoveduto che il vecchio Lacmana; non c'è neppur l'ombra d'un cuginocomelaggiùa Secanderabad. Caroquel cugino! Aveva l'aria di vedermi volentiericome il fumo negli occhi. Ed io pensavo a dargli noiacome penso a farmi frate.Sìla ragazza è graziosinanon dico di no; ma il matrimonio… Alla larga!Io rimarrò l'ultimo scapolo della mia generazione. Il ceppo dei Marana y Cuevamorrà con me; che importa? Il nome e le tradizioni della casa andranno alsecondo ramodei marchesi di Villaflor. Del restoil futuro è in mente Dei.Viene un giornoche si prende anche moglie. Noidelle vecchie stirpio prestoo tardi si dà la capata. Si sposa una parente più o meno lontanaper riunirecinque o sei altre castellao altri cinque o sei quarti di nobiltà sulla testadi un eredepossibilmente di un solo; e poi"tu ver' Gerusalemmeioverso Egitto" ognuno pensa e provvede ai fatti suoi. Alla conservazionedella specie è pensato e provveduto la parte nostra. La specie! Ma perchèconservarla? Merita davvero di essere conservata? -

Questa domanda provocò un sorriso di compassione da partedel duca; di compassione per la species'intende!

- Strano- continuò. - Vo girando al misantropo. Dopo averfatto ogni cosa per non diventarlo! Perchèinfinenon sono mica andato acercar le occasionied ho sempre pensato che un leggieroanzi superficialecommercio con gli uomini fosse la cosa più bella e la più savia del mondo.Andare dall'uno all'altroma senza stringersi molto con nessunoconcedere tredita della manodistribuire un sorriso a tuttiche non paia troppocanzonatoriorendere all'occorrenza un servizioe viasenza voltarsi piùindietroche non abbiamo neanche il tempo di mostrarvisi ingrati: questa èl'arte sopraffina da usare coi proprii simili. Non vivete nella loro città; nonvogate sul remo a nessuno; siete uomini d'oro. -

Il ragionamento correva; e il pensiero del ducanontrattenuto da nessun fatto esteriorecorreva anche piùcorreva a sghembocome le saette.

- Ma poia che serve tutto ciò? Che razza di viaggiosarebbe mai quello che non avesse una meta? Fermarsi un tratto qua e làcome acerte stazioni di strada ferrataper prendere un brodo e bisteccanon sichiama vivereperdio! Contrasto ci vuolee non c'è contrasto possibilesenon si piglia amore a qualche cosa. Un affettosiamo sempre lì. Mala cosal'affettoanche quando l'ispirazione è alta… anzi peggiose l'ispirazioneè alta. Non si può mica disprezzare e partirecome ho fatto io una volta. Epoialta o bassadegna o immeritevolenon si è mai soli vicino a leiperquanto presto si arrivi. Tanto fa giunger tardicol comodo suo. Ma bravo! Pervogare sul remo a un amico!.. Oh infineche cosa sono queste sottigliezze? Èproprio vero che gli si faccia sempre un dispiacere? Se chi ha un tesoro non locurasembra a me che egli incoraggi tacitamente gli altri a farsi avanti. Poisi sal'uomo è nato cacciatore. Ma se io mi trovassi un pochino nel caso suo?Oh bella! Se io fossi nel caso suo e annoiato parecchio della mia catenadovreiproprio uscir fuori dei gangheri? Basterebbe che non venissero a cantarmelonegli orecchi. Sull'onor miose la illustrissima signora duchessa di Marana…Ecco; una duchessa di Marana è ancora di là da venire; rimanderò il caso aquando sarà venuta. Resta sempre la tesiche è giusta… Almenosi puòdifendere… -

Su questa specie di compromessoil signor duca di Marana siaddormentò. Come sapetel'animo nostroquando non intoppa in nessunacontraddizionetrova sempre il modo di coccolarsi in quell'idea che gli piace.

Del restoanche a dover cangiare d'opinionenon eranecessario di far subito. Il duca di Marana aveva tempo per dormirci suanche arisico di non fare più in tempo.

Quante cose nella vitanon vanno così? Il detto degliantichi: "vedo il benel'approvoe corro al peggio" non si potrebbeintenderesenza ammettere il fatto psicologico di questo indugiarsi nellacasistica delle distinzioninelle sottigliezze del pro e del controintantoche il piede si affondae dopo il piede il ginocchio. Questa disgrazia incogliepiù facilmente ai filosofi. Rammentate Empedocleche guardava in altoeruzzolò nel cratere dell'Etna. Era tardi per ritornare; il filosofo non potèpiù far altro che mandar sutra i getti del vulcanouna scarpa; ultimo saggiodelle sue buone intenzioni.

 

 

VII

 

È stato sentenziato che ai turbamenti dell'animo siaefficace rimedio il lavoro. Disgraziatamente l'ospite del Sahibgar diParavady non poteva guarire del suo maleneanche curandolo da bel principioperchè non sapeva come occupare il suo tempo.

Guido Laurenti studiava molte ore della giornata; un po'disponeva in ordine di battaglia le sue legioni d'insettio preparava glischeletri de' suoi uccelli rari; un po' classificava le radici etimologiche delsuo benedetto sànscrito. Un lavoro somigliava all'altro. La radice èl'ossaturalo scheletro della parola.

Giacomo faceva con molta coscienza il giardiniereeper lenecessità della casaanche un po' l'ortolano. Qualche volta aiutava il signorGuido ne' suoi lavori; di storia naturales'intendenon già nella estrazionedelle radici etimologichepoichè il brav'uomo non masticava la lingua deiVedae neanche le sue derivazionisalvo quel tanto di dialetto indostanochei lettori rammentano. Del restocon Giacomo si potevano barattare quattroparole; non già passare cinque o sei ore del giorno.

Don Fernandoin quelle quattro o cinque ore che correvanotra la colazione e il pranzonon sapeva proprio dove dare del capo. Non glirestava dunque più altro (vedete disgrazia!) che tener compagnia alla signoraLuisa. Fare accanto a lei così lunghe fermateera veramente un po' troppo; maegli era tanto disoccupatoe la signora tanto gentileche a fare diverso cisarebbe voluto un misantropoanzi peggioun misògino di tre cotte.

La signoradi solitonelle ore più calde del mattinostava seduta a ricamareo a lavorare di maglia sotto l'atriodove il sole nonpenetrava ancora co' suoi raggie dove il fogliame delle bignoniearrampicatesugli archi e ricadenti a festonimanteneva un po' di frescura. Qualche voltacapitava il giardiniereper dare un ragguaglioo ricevere un ordine; di tantoin tanto si vedeva Guidoche non voleva aver l'aria di lasciar troppo solo ilsuo ospitema che non sapeva rinunziare alle sue occupazionie dopo pochiminuti di sosta coglieva un pretesto per rientrare in casa e richiudersi nel suosancta sanctorum. L'unico che stesse fermo al postovicino allaricamatriceera luiil duca di Marana. Chiacchierava più allegramente chepoteva; intantoassorbiva il veleno. Dolce veleno che si assorbe dagli occhi!Quella figura elegante di donnaraccolta nel suo lavoro senza rigidezzasoverchiaquel ricco volume di capegli neriche avevano tutte le morbidezzedella seta e si offrivano a tutti gli amorosi capricci della lucequella soavefermezza di contorniquei riflessi dorati della carnagionedonde trasparivanoi bei colori di una vita rigogliosaerano tante vedutetante adorazioni perlui.

Ma le adorazioni volgono all'inedia; dànno il capogirosenon si sfogano con la parola. E il duca di Marana non poteva dirne nullaneanche per via di perifrasi! Contemplava e tacevaoppure parlava d'altro; main certi casianche il parlar d'altro è taceree ne ha tutte le noie.

- Fate qualche cosadon Fernando- gli disse la signorainun momento che la conversazione era più languida dell'usato. - Non sietepittore? Disegnate.

- Oh Dio! ci ho avuto per cinque anni il maestro; ma ne horicavato così poco profitto!

- Non importa; provate.

- Obbedisco; - disse il duca.

E andò nella sua camera a prendere un alboin cui eglisolevaa ore persebuttar giù qualche schizzo a matita.

Seduto a pochi passi da leiil nostro pittore si diede conmolta gravitàma con poca attenzionea copiare un pezzo di quella scenacampestre che aveva davanti agli occhi. Ma la frappa non era il suo forte; mutòdunque registroesbirciando ad ogni tanto la signorane disegnò il soaveprofilo sulla carta. Era una ragazzatane convengo; ma gl'innamoraticome icavalieri novellinipèrdono qualche volta le staffe.

Tuttaviaragazzata com'eranon gli andò male. La signoraad un certo puntosi era alzata per avvicinarsi a lui e dare una guardata aldisegno. Proprio in quel punto il pittore stava con la matita ombreggiando labocca della sua figurina.

- Ben disegnato; - diss'ellacon una benevola serietà - masomiglia poco.

Il pittore era colto in flagranti; ma non mancava di spirito;e si salvò con lo spirito.

- Aspettate; - rispose egli; - dò l'ultimo tocco.

E tirata una curvai cui capi venivano a congiungersi tra lelabbra della figuraci scrisse dentroa guisa di leggenda: "somigliopoco".

- Adessoè proprio lei - conchiuse; - non ci mancava chequesto.

La signora Luisa diede in una sonora risata. Le pareva divedere una di quelle figure del trecentoalle quali i mal pratici autorifacevano uscire le parole di boccadipinte su d'un nastro biancoperchè neindicassero ad un tempo la persona e l'azionenon potuta esprimereconvenientemente per virtù di pennello.

In questo modovolgendola in celiarimediava Don Fernandoalla sua ragazzata. Quindivoltata la paginasi pose a fare dell'altroecopiòcon tutta quella diligenza che seppeuna ciocca di bignonia.

- Ecco un fiore che non protesterà per la poca somiglianza;- diss'egli.

La donna gentile chiese di vedere il disegno; e il duca diMarana si mosse per accostarsi a lei e metterle sott'occhio la pagina del suoalbo. Ne seguì quel che potete immaginarvi facilmentecioè a dire che eglidovendo chinarsi moltosi trovò col viso a due ditao poco piùdalla brunatesta di lei. Una ciocca di quei morbidi capegliche egli sbirciava con tantodesiderioper effetto di un moto improvviso di quella testavenne a sfiorarglila guancia. Era un caso; ma poteva non esserlo. Comunque fosseil tocco di queicapegli lo aveva sentitola scintilla elettrica era scoccata e gli percorrevatutte le fibre. Sentì che perdeva il cervelloe si rialzò prontamentediedeuna scossa di capo e ritornò al suo posto. Ma non poteva far nullae richiuseil suo albo.

Cinque minuti dopousciva dal Sahibgarcol fucile adarmacollotanto per avere un pretesto di muoversi. Teucroun bel canelevrieroche girandolava nel parcolo videe in quattro salti lo raggiunsesul ponte. Il duca di Marana andava a cacciae Teucroa cui le occasionicapitavano di radovolle approfittare di quella. Bisognava vederlocomesaltavadimenando allegramente la codaappena si avvidedal tacito assensodel cacciatoreche la sua compagnia non tornava sgradita.

Il duca di Maranaper altrosi curava poco delledimostrazioni di gratitudine di Teucroe non pensava affatto a servirsi del suofucile da caccia.

- È evidente che io sono matto; me ne andrò; - diceva eglitra sèvolgendo i passi verso la macchia dei banianima senza occuparsi diseguitare la strada battuta. - Bisogna essere onestilasciare i sofismi dabanda. Egli non ama più leiè chiaro; almenosi può giurare che non cimette più la decima parte dell'ardore d'una volta. E lei? Lei è serena etranquillacome una donna per beneche si è rassegnata da un pezzoe trovale sue consolazioni nella pace domestica. Giàa queste calme non giungono chele donne. Sovrabbondanza di linfadicono i medici. Ma iofrattantoiochecosa vogliodi grazia? E che figura ci fo? Eccomi al quarto giornoe giàcottoche non c'è più bisogno di rivoltarmi. Prevedo che ne farò qualchedunadelle miese pure non mi accadrà di peggio. Perchè il peggio sarebbe propriodi vincermicome Scipione Africanoe di passaresenza alcun meritoper unmezzo imbecille.

Mentre il duca di Marana faceva così i suoi dilemmiandandoa casaccio per la junglagli venne veduto il cane che si fermava dischianto. Le abitudini del cacciatore ruppero il filo al monologo.

- Che diavolo ha vedutoil cane? - diss'eglitogliendosi dispalla il fucile.

Teucro non si muoveva; cogli occhi fissi guardava una ventinadi passi più in lànella direzione di un cespuglio di bambù.

Il duca di Marana guardò egli pure da quella parte e nontardò a scoprire l'argomento della speculazione di Teucro.

- Un serpente! - esclamò. - È un cobraperdinci!non sembra un professorecon quel paio d'occhiali sul naso? Sta fermoTeucro;- bisbigliò; - ora te lo aggiusto io.

Il cane volse la testaper dargli un'occhiatad'intelligenzae subito si rivolse a guardare il serpenteche rizzava il capoe gonfiava le membrane del collosu cui erano disegnati i due cerchi nericheal duca di Marana avevano suggerito il paragone degli occhiali.

Il serpente aveva veduto il cacciatoree metteva il suofischio di battagliamolto somigliante al chiocciare delle galline. Ma il ducadi Marana non gli diè tempo di avviare la sua musica sinistra; puntò l'animalee lasciò andare la botta. Il rettile si contorsenello spasimo della feritaindi si abbandonò sul terreno.

Avvicinatosiil duca di Marana riconobbe un cobradettoanche naga o cobra sanp dagli indianima dei più lunghi cheavesse veduto maiperchè misurava intorno a due metri.

Il nagao cobra-capelloose vi piace meglioil serpentedagli occhialiè dei più velenosi che si conoscano. Il suo morsocontro ilquale non s'è ancora trovato un antidoto che valgadà la morte in meno d'unquarto d'ora. Ho detto dei più velenosima non il più velenoso. Infattic'èin India un serpentello“piccolo e nero come gran di pepe” non più lungodi venti centimetriil cui morso vi spedisce ad patres in novantaseiminuti secondi. Gli inglesiperciòlo chiamano minute-snake; e nessunnome e più meritato di questo.

Il duca esaminò a suo bell'agio la strana conformazione delrettilea cui certe escrescenze della pelleenfiandosi tutto intorno al collonei momenti di furoreparevano regalar l'amminicolo d'un cappuccionienteaffatto necessario in quel clima. Appunto in quella parte del corpoe sotto unodi quei cerchi che somigliavano tanto agli occhialilo aveva colpito la palladel cacciatore.

Teucro si era avvicinato anche luima senza andare un passopiù oltre del duca. I serpenti non erano il fatto suo. Ammirava l'impresacinegeticama non s'accostava a fiutare la vittima. Al duca di Marana tornò inmente un discorsofatto qualche giorno prima con Guido. Sìdavveroegliesordiva nell'ufficio eroico di purgar l'India dai mostri. Per alloranon sitrattava che d'un cobra-capello; ma un altro giorno poteva essere una panterauna tigreun rinoceronte. Teseo e Piritoorammentati da luiavevano trovatoun successore.

Questo ricordo chiamò un sorriso di compiacenza sulle labbradel duca. E poichè bisognava che gli amici del Sahibgar giudicassero della suavalentiacavato di tasca un coltellotagliò un ramo di bambùper servirsenecome d'una perticaa trascinare il serpente sul margine della strada.

Mentre egli attendeva a quella occupazioneudì una voce chelo chiamava da lungi. Si volse e riconobbe Guido Laurentiche veniva allacorsaseguito dal giardiniere e da due servi indianitutti armati di carabina.

- Che cos'è stato? - gridò Laurentiavvicinandosi - Erodisceso per cercarvie mi hanno detto che eravate uscito con Teucro. Subitodopo ho udito il colpo. Ma perchè arrischiarvi da solo nella jungla? Miavete fatto tremare.

- E perchè? - domandò lo spagnuolocon aria di sublimespensieratezza. - Ne ho già fatte tantedi queste corse solitarie!

- Non dico di no; ma infine… L'ospite ha il debito d'invigilarene convenite? Ma vediamo un poco; a che cosa avete tirato?

- Ecco il trofeo; - disse il ducastendendo la sua canna dibambùe scuotendo il rettile in modo da farne ammirare la lunghezza.

- Un cobrae veramente magnifico; - osservò Guidochinandosi a terraper aprire la bocca del serpente coll'uncino del suocoltello a più lame. Ha ancora intatto il serbatoio del veleno. Studieremo; -conchiuse il naturalista; - Un cobracapello col dente intatto non si trova micaogni giorno. Peccato che ci abbia questo sdrucio nel collo! Si sarebbe potutoconservare tutto intiero.

- Era l'unico punto di mira un po' largo che avessia ventipassi di distanza; - disse il duca di Maranascusandosi.

- Infattinon è la cosa più faciledi colpire giusto unserpentetirandogli a palla; - notò Guido Laurenti. - Ricevete le miecongratulazioniFernando; siete un prezioso compagno di caccia. Ne faremoqualchedunanon dubitatesebbene a Luisa questi passatempi non piaccianotroppoe anch'iosalvo l'utile della scienzanon ci trovi un gusto matto. Mail paese non offre null'altro di meglioe voia stare così inoperosopotreste annoiarvi. Anziper dirla schietta- soggiunse Guidoridendo- mipare…

- Che cosa?

- Che non sia più il caso del condizionale. Voi vi annoiateFernando; è indicativo presente.

- Novi giuro!

- Che non è presentenè indicativo?

- Che non è vero; - ribattè il duca di Marana.

- Grazie; - ripigliò Guido Laurenti. - Ma siccome la cosa èsempre possibileanche in compagnia d'amicibisognerà provvedere in tempoutile; non vi pare? Amico Fernandoalle cortevolete fare qualche cosaperoccupare le vostre giornate?

- Sìperdiodatemi il còmpito; - gridò il duca di Maranacon impeto. - Dovreste anzi rammentare che mi avevate promesso…

- Sicuroavevo promesso; ma poi ci ho pensato sue mi èparso… due ragioni mi hanno trattenuto…

- Mica una! due?

- Proprio due; la primache io forse vi avrei proposto unafatica inutile; la seconda… e questa è più gravebadate!.. la secondachenon era da offrire a voiricco sfondatodi andare alla scoperta d'un tesoro.

- Lasciamo stare il ricco sfondato; - disse il duca diMarana; - ma come può essere fatica inutile la ricerca d'un tesoro?

- Certose il tesoro non esiste. Infattiio non possogiurarvi che ci sia.

- Dovequesto tesoro?

- Qui vicino.

- Ah; ho capitosiamo nei pressi di Golcondae si tratteràdel tesoro di Golconda; - disse il ducaridendo.

- Sicuramentema non lo confondete con quello del Nizamchesi conserva appunto nella fortezzaa poche miglia di qui. Vi parlo del vero eantico tesoro di Golcondache Aureng Zebimpadronitosi del paesenon hapotuto rinvenireper quanti sforzi abbia fatti.

- Tesoro nascosto e certamente custodito dai soliti draghi; -osservò il duca di Marana.

- Questo non so; ma comunque siavoi non avete paura deidraghi; - replicò Guido Laurentisul medesimo tono di celia amichevole.

- Noper san Giorgio! Ma ditemiamicoparlate sul serio?C'è da tentare un'impresa di questa fatta?

- Sìe non la credo neppure così fantasticacome a tuttaprima potrebbe sembrare.

- E in che modo siete venuto a sapere di questo tesoronascosto?

- Nel modo più semplicein quel modo che ho saputo di tantialtri tesori… linguisticientrando in grazia del vecchio Lacmana. Ilsant'uomo è un pozzo di cognizioni. Non è solamente l'unicotra i sacerdotidel suo munderche legga e capisca i Veda; è anche l'unico che abbiarovistato in tutti gli scartafacci del conventoe conosca un pochino la storiadel suo paese. Suppongoper altroche il cenno di questo tesoroegli non loabbia desunto dai manoscrittima lo tenga per tradizione oraledal suoantecessore.

- Capisco; si tratterà d'un segreto passato di priore inprioree Dio sa come ridotto! Del restose vi siete persuaso voiperchè nonavete anche incominciate le indagini?

- Prevedevo l'osservazione; - disse Guido Laurenti; - maanch'io ci avevo due ragioni per non farlo.

- Sentiamo la prima.

- Eccovela subito: l'indole de' miei studiche non mipermette di darmi ad un lavoroil quale assorbirebbe tutto il mio tempoe chisa poi con qual frutto!

- Questa dovrebb'essere la seconda; - notò argutamente ilMarana. - Avevate paura di non riuscire; confessatelo.

- Mio Diosì. Poichè mi sono stabilito in questo angolo diterranon mi ci vorrei procacciare disillusioni. Voi non avete occupazioni piùgrate; siete qui di passaggio… almenose non cambiate proposito; che in talcasopotete immaginarlosarebbe una fortuna per me. -

Qui fu pel duca di Marana il caso di dir grazie a sua volta.

- L'impresa mi piace; - osservò eglidopo aver soddisfattoa quell'obbligo di cortesia. - Veniamo ai particolari.

- Son lunghi a dirsi; nè ioqui su due piedisapreimetterli insieme. Volete che facciamo meglio? Si va dal mahunt e se neragiona con lui.

- Andiamo pure; ma subito?

- Certamente; sono adesso le undici- disse Guido Laurentidando un'occhiata al suo orologio. - In mezz'ora siamo al convento. -

Quindiavvicinandosi al giardiniereche stava coi due serviindiani avvolgendo il serpente in una cesta improvvisata di fraschegli diedeincarico di avvertire la signora.

- Diamo una corsa fino al munder di Paravady; -soggiunse; - saremo di ritorno per l'ora del pranzo. Il cobra lo porterete sunello studiocollocandolo con garbo sulla mia tavola di marmoche non sisciupi la testa.

- La testa è questa volta il meglio del pesce; - notò ilgiardiniereusando di quella confidenza che il suo padrone amava tanto didargli. - Vossignoria vuol fare qualche esperienza sul veleno?

- Sicuropoichè la vescichetta è rimasta sana; fate dunqueattenzione. Provveduto in quel modo al trasporto della sua preda scientificaGuido Laurenti si rivolse al duca.

- Vedete? È stata una vera fortunae mi darà l'occasionedi una analisi chimicache da qualche tempo avevo disegnato di fare. Ho certeidee sul veleno animale!…

- Beato voi che studiate sempre e ne sapete il modo; -esclamò il duca di Marana. - Io sono invece uno scioperato.

- Vianon lo sarete più; troverete i diamanti di Gundwanal'ultimo e sventurato principe indigeno di Golconda. Frattanto udrete la storiache è molto interessantee basterà per innamorarvi dell'opera.

- Lo sono già; - rispose il duca; - e impazientecome tuttigli innamorati. Andiamo dunque. -

Giacomo e i due servi indiani si erano avviati al Sahibgar.Guido Laurenti e il duca di Maranariusciti sul sentieroandarono versoParavadycosteggiando la macchia dei baniani.

Don Fernandoin cuor suoe senza sviscerar l'argomentosentiva che quella proposta di Guido Laurenti era una di quelle vie del destinole qualiappunto per esserci aperte in un momento di perplessitàdebbonoseguirsi animosamente. Aveva la scusa per trattenersimagari per vivere un annolaggiù; e tutto ciò mentre egli stava meditando di andarsene! In veritàildestino la sapeva più lunga di lui; bisognava fidarsi al destino.

Attraversato il villaggio di Paravadyin mezzo alleriverenze di quei poveri Sudrache veneravano il Sahib Laurenti come laprovvidenza del luogoi due amici andarono costeggiando il ruscellofino allaimboccatura del pontedavanti a cui torreggiava il mundercon l'attiguoconvento braminico.

Il tempio offriva agli occhi dei riguardanti una massa conicasmisuratastretta all'intorno da grossi pilastrichea mano a manoinnalzandosi e accompagnando le linee generali del monumentosi trasformavanoin torrisormontate da cupolee lavorate a traforocome altrettanti merletti.L'edifizio sorgeva su d'una piattaforma bastionatache lo faceva crescere dimaestàe si prolungava sulla fronte in un atrio magnificoa cui si ascendevaper una grande scalinata di pietra. Lo spettacolo di quella architetturafarraginosa era ammirabilespecie ad una certa distanzadonde non si potevanoscorgere i guasti del tempo; ma anche avvicinandosie vedendo quei bianchiscaglioni rotti e sgretolati in più luoghiquelle colonne istoriate i cuisimboli non si lasciavano più indovinare attraverso le sfaldature della pietrail munder di Paravadydedicato a Mahadevail gran dioil dio ottimomassimo degli Indianiappariva pur sempre una meraviglia dell'arte.

Il duca di Maranacome sapeteaveva già corsa l'India daun capo all'altroe non era più il caso per lui di sgranar gli occhi davanti aquelle grandezze architettonicheo a quei bassirilievi in cui le tre personedella trinità indianaespresse in cento formesecondo le varie incarnazionidavano saggio delle loro intestine discordierispondenti a quelle delle variesètte in cui si era spezzata da quindici secoli la grande unità religiosa epolitica dell'India braminica.

Salita la gradinata e fatta la elemosina ad un gussaìnoreligioso mendicanteche stava accoccolato sotto l'atriofacendo pompa deisuoi cenci e delle coroncine attorcigliate in più giri intorno al suo cappelloaguzzoi due amici entrarono nel tempio. Un ragazzoaddetto al serviziodell'altareli condusse attraverso le arcateinvolte in una religiosapenombrafino all'uscio dell'appartamento di Lacmana.

Il vecchio mahunt stava assorto nella preghiera delmezzogiorno e non parve neanche accorgersi della loro presenza. Mapoichè ebbefinito le sue invocazioni al Mahadevacangiò subito d'aspetto e di modie siaffrettò a spargere l'acqua di rose sulle mani e sulla barba dei suoivisitatori.

Dico barbagenericamentema vi prego di credere che i duevisitatori del vecchio Lacmana portavano soltanto i mustacchi.

Dopo le cerimonie accennateil mahunt di Paravadyvolle far vedere ai due giovani il tempionobile testimonianza delle gloriecelesti di Mahadeva. La cortesia di Lacmana era tutta per don Fernando. Guidoinfatticonosceva in ogni sua parte quell'antico edifizioe aveva in praticatutti i simbolimostruosi e gentilidella teogonia indianada quellogigantesco di Sivache aveva i primi onori là dentrofino all'ultimo e piùsfaldato gruppo di scolturache adornasse le colonne del tempio.

- Il sahib Laurenti ne sa quanto noi; - notava con unacerta compiacenza il vecchio Lacmana.

Erano giuntinella loro passeggiatadavanti ad unbassorilievoin cui si vedeva un leone smisuratoche recava sulla groppa unfanciullo sorridente e teneva sotto le unghie un uomouna specie di giganteilquale annaspava con le bracciacome in atto di chieder misericordia.

- Eccoinfatti- soggiungeva Lacmana- il nostro Sahibnon è stato molto a riconoscere in questo gruppo il terzo avatara di Visnù. Ildiosotto la forma di un cinghialeaveva salvato il mondoscacciando iltitano Hirania Haciapa. Acsciafratello del titanoera tuttavia riuscito ariconquistarecon l'aiuto di Sivaun vasto impero nel mezzogiornoe si eradato a perseguitare gli adoratori di Visnù. Un giornotrovando suo figlio inatto di preghieragli chiese qual dio adorasse con tanto fervore. -"Adoro- gli rispose il fanciullo- adoro il dio che è Naraianacioè adire il cui spirito è portato sulle acque; che è Vacondevail creatoreVisnùl'azzurro infinitolo spirito dell'universo." - Sdegnato di quellarispostail titano scagliò la sua scure contro il figliuolo; ma la scure andòinvece a colpire una colonnada cui balzò fuori Visnùsotto la forma di unleoneil quale divorò il feroce titanoe innalzò in sua vece il religiosofanciullo. RammentateSahib - proseguì Lacmana volgendosi a Guido-rammentate il savio discorso che mi avete fatto davanti a questo bassorilievo?

- Non era veramente una grande scopertala mia; disseLaurenti. - Questo onore a Visnù in un tempio dedicato a Sivami è parso unomaggio accortamente fatto dal suo fondatore alla religione dei vinti. E lafondazione del tempio di Paravady si puòper conseguenzafar risalire almille della nostra era cristianaperchè appunto allora il culto di Sivaportato da' suoi seguaciincominciò a trionfare su quello di Visnù. Siva fugeneroso col suo rivalee ne accolse la immagine in questa sua nuova dimora.

- Onore e gloria al Mahadeva! - esclamò il vecchio Lacmanainchinandosi.

- Io rammenterò invece- ripigliò Guido Laurenti- cheappunto per questo bassorilievo e per la leggenda che vi è rappresentatavoimi avete raccontata una certa storiache piacerebbe molto al mio amico Fernandodi udire da voi.

- Ah! la storia del tesoro? Vorrebbe il vostro amico mettersiall'impresa che avete rifiutata voidispregiatore delle ricchezze?

- Non di quelle che voi conservate su foglie di palmamiodegnissimo amico; - rispose Guido prontamente. - Voi sapete che quelle miattiranooccupando una parte de' miei pensieri e del mio tempo. Ma il signor diMarana non è affaccendato al pari di me; vuol farci la grazia di rimanerequalche mese con noi e può dedicare le sue giornate agli scavi di Karma Vridi.Troverànon troveràquesto importa poco; il mio amico avrà sempre passatomeno male il suo tempo.

- È questa la vostra risoluzioneSahib? - disse Lacmanafissando i suoi occhietti scrutatori in quelli del duca.

- È la mia risoluzione; - rispose questi; - purchè iosappia un visibilio di coseche non so ancora. L'amico Laurenti mi ha accennatal'impresasenza entrare nei particolari.

- Vi dirò tutto quello che io so; - disse di rimando Lacmana;- e voi vedrete che valore possano avere le mie notizie. Non mi son messoall'opera io stessoperchè un povero braminoin terra soggetta a musulmanisarebbe stato molestato senza fallo. E a qual pro' avrei lavorato io? Per farcadere nelle mani dei Nizam un tesoro che non può più ritornare ai figli diSiva?

- È giusto; - osservò il duca di Marana. Ma noi possiamolavorare col pretesto dell'archeologia; non è veroGuido? E poise troviamoil tesoroonore e gloria al Mahadeva; vogliamo restaurargli il tempio eincastonargli un diamante per occhio. -

Il vecchio mahunt crollò malinconicamente la testa.

- Nogiovinotto mio; - diss'egli. - Il Mahadeva troverebbesubito gli invidiosi sacrileghi. E il tempiod'altra partesi sosterrà ancoraper molte generazioni d'uominisenza i nostri piccoli aiuti. Imitate invece il SahibLaurenti; soccorrete questo povero popolo di Paravadye sarà il miglior usoche possiate fare delle ricchezze di Gundwanal'ultimo dei principi di Golcondadei prediletti di Siva. -

 

 

VIII

 

Il duca di Marana ascoltò con molta riverenza le nobiliparole del vecchio. Cionondimenosentiva dentro di sè una voglia matta diridere. E perchè? dimanderete voi. Il perchèsenza mestieri delle miespiegazionive lo dirà una osservazione che egli fece quando Lacmana ebbefinito.

- Noi ragioniamo come se avessimo già poste le mani sultesoro. Forse è di buon augurio; ma potrebbe anche essereda parte nostraunvender la pelle della tigreprima d'averla accoppata. -

Così dicendosi volse a Guidocon una occhiata che parevavolesse dirgli:

- Vedete come so adattare i proverbi europei alla storianaturale dell'Asia. -

Lacmana accolse l'osservazione del duca con un sorrisobenevolo.

- Intendo; - rispose; - voi pensate che il tesoro possaessere sfumato. Ma la cosa non mi sembra ammissibile. La fede degli uomini chepossedevano il segretoprovata coi tormenti e con la morteesclude perfino ildubbio di un trafugamento. Può darsi invece che il tesoro sia irreperibileoper difetto d'indicazionio per altra cagione qualsiasi. Ma di questogiudicherete voi altri. Venite con mee vi porrò sott'occhio i documenti. -

I due giovani seguirono Lacmana nella libreria del collegio.Dico libreriaper non trovare un altro vocabolo più adatto a significare lacosa. I libri del collegio braminico erano larghe strisce di foglia di palmatagliate tutte alla stessa misura e chiuse in certi astucci di pellegelosamente custoditi entro alcune casse di teck legno durissimo e d'usocomune in tutti i templi braminici. È fatto per l'appunto di questo legno ilfamoso parasoleemblema della onnipotenza di Buddain fondo alla gran navatadel tempio di Karli. Quel parasolesfuggito per miracolo ai danni di tanterivoluzioniè stato piantato làsull'altaredai costruttori del tempiolabellezza di ventidue secoli fa. Potete adunque considerarlo come il nestore deiparasoli e degli ombrelliche affliggono l'umanità viatrice.

Aperta una di quelle casseil vecchio Lacmana ne cavò unastuccio di pellee dall'astuccio alcune foglie di palmale cui facce eranoscritte per lungo con caratteri devanagarici e nel dialetto indi. Il dialettoindicomune a quasi tutte le provincie settentrionali e centrali della penisolaindostanicadov'era assai coltivato nei secoli scorsiè una derivazione dellalingua pracrita; la quale a sua volta… Ma lasciamo queste filologichequisquilie e torniamo al manoscritto di Lacmana.

- Questa- diss'egli- è una cronaca fedele del regno diGundwanae fu scritta da Harutiun povero bramino del tempio di Karma Vridi.Giovine ancoraquando Aureng Zeb s'impadronì di GolcondaHaruti potè fuggirein tempo dalle persecuzioni che il gran Mogol aveva ordinate contro i sacerdotidi quel tempioe travestito da gussaino andò a rifugio fin sulla costa diBombaydonde non ritornò che dopo la morte di Aureng Zeb. Era vecchio; il suotempio era diventato un mucchio di rovine; e il povero Haruti ebbe ospizio aParavadydove morì santamenteor fanno cento e trent'anni. Leggerò i passipiù importanti della sua cronaca. Voi forseSahib- soggiunse Lacmanarivolgendosi al duca- intenderete meglio l'indostano che l'indi;ma le differenze non sono grandied ioove occorravi tradurrò in linguaindostana le parole più difficili. -

Il duca di Marana ringraziò con un cenno del capoe sidispose ad ascoltar la lettura; una lettura che non staremo a udire noi altripoco praticicome siamodelle lingue orientali in generalee dei dialettiindiani in particolare. Faremo in quella vece di restringere in breve alcunipassi della cronaca di Harutiche possono dar lume anche a noi nella faccendadel tesoro. Si parlerà anche di Gundwanal'ultimo e disgraziato principe diGolconda; ma il suo nome e la catastrofe del suo regno sono così strettamentelegati alla faccenda in discorsoche proprio non si può farne di meno.

Ugualmente necessario sarebbe qui un cenno delle vicendestoriche della penisola indiana. Ma di queste ci sbrigheremo in poche paroleper non confonder la testa dei pazienti lettori.

Fin dai primi anni dopo il Millegl'Indiani avevano dovutoaggiungere ai mali delle loro discordie e guerre fraterneil danno delleinvasioni maomettaneperdendo a poco a poco mezze le loro provincie delsettentrione. Dopo il 1200 ebbero sulle braccia i Mongoli con Gengis Kan; posciagli Afgani che cacciarono i Mongoli; indi i Tartarisuccessori di Tamerlanoche cacciarono gli Afganie fondarono nel cuore dell'India una dinastiaimpropropriamentema pure comunementechiamata mongolica. Celebre fra tutti iprincipi di questa dinastia fu il savio Akbarche tenne in onore le artifondò città e non perseguitòanzi protesse e favorì la religione dei vinti.Non così savionè tollerantenè umanodoveva riuscire il suo pronipoteAureng Zebche vinse tutti i suoi antecessori in grandezzama oltrepassò incrudeltà i peggiori tra essi. Rinchiuso in un carcere il vecchio padre efattolo morire là dentroregnò a suo talentomirando altresì ad estendere iconfini dell'imperoe conquistando a mano a mano i principati di HaiderabaddiVisapur e di Golcondaancora rimasti illesi in quella grande rovina dellafamiglia indostanica.

Principe di Golcondanel l660era il povero Gundwanadellastirpe dei Ragiaputinobile d'aspettogeneroso e magnanimoamante dellareligione e perciò caro agli Dei. - Ma sopra agli uomini e alle loro virtù-commentava il vecchio Lacmana- sta la necessità delle lontane espiazioni.Forse il gran popolouscito dalla bocca e dalle braccia di Bramadovevascontare il fio delle sue divisioni religiosedel suo allontanamento dal cultodella Trimurtie il destino degli ultimi principi indipendenti era segnatonella mente del Mahadeva.

Un giornole guardie che vegliavano alle porte di Golcondaannunziarono a Gundwana un messaggiero del gran Mogol.

- Golconda - mandava a dire Aureng Zeb - è un diamante chemanca al pennacchio del mio turbante. Preparati a restituirlo. -

Gundwana convocò tosto il durbar di tutti i notabilidella sua corte. Fu deliberato di resistere alle minacce di Aureng Zebchiedendo alleanza al sultano di Visapurche neppur lui avrebbe potuto reggerda solo contro la cupidigia del comune nemico. Ma Aureng Zeb inoltratosi con unforte esercitopiombò d'improvviso addosso al sultano di Visapur. Della suacapitaleforte e ricca città che novera forse trecento mila abitantifece unmucchio di rovinee ne disperse la popolazione tra le varie provinciedell'impero.

Gundwana intese subito qual fine fosse riserbata a lui se ilcielo non si degnava di assisterlo; e si dispose con animo forte agli eventi.

Chiamò presso di sè il vecchio Berarambastha dinascita. Si dicono ambastha o vaidiai nati da un Bramano e dauna Vaisìacioè a dire da un uomo della casta sacerdotale e da una donnadella casta dei mercatanti. Come tutti i suoi pariBerar esercitava lamedicina. Il principe di Golconda riponeva una grande fiducia in quel suo ottimoservitore.

- Berar- gli disse- Aureng Zeb ha distrutta la cittàcapitale di Visapur e presto si volgerà contro di noi. Egli non mira tanto adimpadronirsi di mequanto del tesoro di Golcondafamoso nell'universo. Iomorirò combattendocome un degno rampollo della progenie di Rama; son giàpreparato alla mia sorte. Ma il discendente dei Tartariil seguace di Maomettonon dee possedere il tesoro. Sarebbe troppa vergogna per noi.

- Perchè ti affliggi cosìmio signore? - disse di rimandoil savio Berar. - Tu respingerai l'invasione; e ad ogni modoci sarà tempo permettere in salvo il tesoro.

- Noil farlo tardi darebbe troppo nell'occhio alla gente; eil nemicoquando pure ci lasciasse il tempo di tentarloverrebbe facilmente aconoscer la traccia. Bisognerà nascondere il tesoro fin d'orain qualchetempio lontano di quie adoperando in modo che nessuno dei nostri se ne avveda.Pensaci tusavio Berar; io non avrò pace fino a che tu non abbia trovato illuogo da ciò. -

Gundwana aveva il presentimento della sua mortee voleva chealmeno ella non recasse al nemico il profitto sperato.

Dopo esser rimasto alquanto sovra pensieroBerar propose alsuo signore di nascondere il tesoro nel munder di Karma Vridi. Non eralontano che poche ore di cammino dalla capitale di Gundwanae ci si potevaandare più volte di seguitocon qualche pretesto ragionevolesenza destare isospetti della gente. Il pretesto fu anche trovatoin quel medesimo giorno.Gundwana mandava al santuario di Karma Vridi tutti i libri sacri e i poemidell'Indiadi cui la libreria reale di Golconda possedeva una copia. Era quelloun prezioso donativo al collegio dei bramini di Karma Vridiche dovevanorivolgere assidue preghiere al Mahadevaimplorando vittoria alle armi del suoservo Gundwana.

Per dar colore di maggiore verità alla cosainsieme coisacri testi dei Veda e dei Puranacoi ponderosi poemi di Viasa e di Valmichifu mandata in pubblica pompa al santuario una ricchissima collana di perle adodici filzeche doveva rigirarsi intorno al simulacro del Dio.

Ogni cosa andò secondo i disegni del principe. Il tesoro futrasportato a Karma Vridisenza che alcuno sospettasse di nullae sepolto inuna bucadi cui solamente Berar e il mahunt del tempio conoscevano ilsegreto.

Interamente tranquillo per ciò che riguardava il tesoroGundwanail principe religioso e caro agli Deiandò animoso incontro allesorti della guerra. Aureng Zebcon l'esercito vincitoreebbro delle stragi diVisapurmuoveva speditamente alla volta di Golconda. Ragiaputi e Tartari siscontrarono a dieci cosscioè a quindici migliadalle mura dellacapitale. Gundwana fece prodigi di valore; cercò Aureng Zeb nella mischiamasenza trovarlo; vintoaccerchiatoinvocò la mortema senza ottenerlacomeaveva speratosul campo.

In una cosa non si era ingannato; nel prevedere i disegni diAureng Zeb. Entrato vincitore a Golcondail gran Mogol corse alla torre in cuisapeva dover esser custodito il tesoro.

A questo miravail fiero conquistatore. E certoquellefavolose ricchezze avrebbero accresciuta la sua potenza assai più che nonpotesse fare l'usurpazione di un piccolo reame. Oraimmaginate il suo sdegnoquando si avvide che la miglior parte del tesoro di Golcondai rubini a saccagli zaffiri a migliaiai diamanti famosiuno dei quali giustamente consideratoil più vistoso tra i diamanti dell'Indiatutto era sparitorestando solamentele pietre di minor pregioe l'oro e l'argentonecessari ai bisogni dellacorte.

Fatto condurre alla sua presenza l'infelice Gundwanaglichiese dove fosse nascosto il tesoroma senza averne risposta. Lo fece porrealla torturama invano; lo strazio delle membra non valse più delle imperiosedomande. Il discendente di Rama sopportò con mirabile costanza i ferocitormentipensando alla grandezza infinita del Dioche aveva sofferto assaipiù di luiper l'ira degli infami Racsàsi.

Inaspritofurenteil conquistatore di Golcondafece mozzarla testa a Gundwana. A quella testapiantata su d'una lanciadavantiall'ingresso del castello realeera accompagnata una scrittache diceva così:"ugual fine avranno tutti coloro che sanno dove sia il tesoro di Golcondae ricuseranno di dirlo."

La paura avrebbe fatto correr molti; ma nessuno sapeva nulla;e gli ufficiali della corte di Gundwana stavano sbigottiti ad attendere ilsupplizio. Il dotto Beraril medico fidato del principeera sparito daGolconda; nè sulle prime si fece attenzione alla cosa. Ma la sua scomparsadoveva esser notatacome una traccia preziosaquando uno dei servi di Gundwanaebbe detto all'imperatore che dal castello reale di Golconda egli non avevaveduto uscir nulla; salvo i libri sacrimandati in dono al santuario di KarmaVridisotto la scorta del medico di corte.

- Andiamo al santuario! - gridò Aureng Zebpoichè ebbeperduta la speranza di metter le mani addosso a Berar.

Il gran sacerdote del tempio vide appressarsi la buferamail suo cuore non tremò per paura. Era vecchio d'annioltre gli ottantae pocorestandogli da viverepoteva anche sacrificare quel poco alla memoria del suosignore. Negò anzi tutto di aver ricevuto il tesoro in depositoo di avernascosto cosa veruna sotto le arcate del tempio. L'invio dei sacri libri davaappiglio al sospettoma spiegava anche facilmente l'errore. Di doni preziosi alsantuario non era venuto altrofuorchè la collana di perle a dodici filze.Certoquel monile era per sè stesso un tesoro. Aureng Zeb lo prese con le suemani sacrileghe e volle adornarsene il collo. Indimandato a morte il vecchio mahuntfece appiccare il fuoco al santuario.

Karma Vridi fu ridotto in breve ad un mucchio di rovine. Isuoi braminii suoi panditiche ci avevano un collegio fiorentedoveattendevano alla interpretazione dei sacri testi e dei poemi antichissimidell'Indiaandarono dispersi qua e làsenza speranza per sè medesiminèper la libertà della patria. Ma neanche Aureng Zebcon tutto il suo smisuratopotereebbe più speranza di rinvenire il tesoro. Gundwana era morto; di Berarnon si aveva più tracciae le rovine di Karma Vridi custodivano il lorosegreto.

Erano questi i cenni della cronaca di Haruti. Il saviobramino soggiungeva che le ricchezze sottratte in tal guisa alle ingorde vogliedi Aureng Zeb potevano ascenderetra diamanti e pietre preziose d'ogni generea cento lakh di rupie. Ogni lakh equivalendo a centomila rupie eperciò a duecento cinquantamila liretutto il tesoro di Golcondanascosto neisotterranei di Karma Vridipoteva essere valutato venticinque milioni di lire.Non era moltoper un tesoro indiano; ma bisogna rammentare che Gundwana avevaposto in salvo solamente il meglio delle sue gioielasciando la minutaglia aGolcondainsieme con l'oro e l'argento. E dopo tuttoanche venticinque milionidi lire potevano meritare le investigazioni di un europeo del secolo decimononocome avevano meritate le cupidigie e i furori di un monarca orientale deldecimosettimo.

Il racconto era interessante; ma come giovarsene? E in primoluogocome mai lo scrittore della cronaca era giunto a possedere il segreto?

Harutiadolescente novizio nel sacro collegio di Karma Vridiera riuscito a fuggirsenequando l'imperatore Aureng Zeb minacciava di metterea morte tutti i sacerdoti e i guardiani del tempio. Non credeva certamente cheil tesoro di Golconda fosse stato nascosto nel santuario; sapeva soltanto chev'erano stati portati i volumi della libreria reale e aveva veduto in quellaoccasione il medico di corte. Ma poichè il sospetto era nato nella mente delferoce Aureng Zebe il supplizio del mahunt lasciava temere che quelsemplice sospetto potesse mandare a morte più d'unoHaruti non aveva postoindugio a cercarsi uno scampo; era fuggitosenza fermarsi piùfino a tantonon ebbe messa tra sè e il conquistatore di Golconda la catena dei monti diSattara. Per farvela breve era andato a rifugiarsi sulla costa occidentaleaBombay; doveacconciatosi al mestiere di acquaiuolocampava miseramente lavita.

Colàun bel giornodue anni dopo la catastrofe di KarmaVridimentre egli passava davanti al munder di Paidonehgli venneveduto accoccolato presso la porta maggiore del tempio un religioso mendicanteil cui aspetto gli parve di persona conosciuta. Anche il mendicante lo avevaguardato; da prima con occhio sospettosovedendo l'aria curiosa del giovanequindi più calmoa guisa d'uomo che non vuol mostrare d'aver nulla a temere.Intanto l'acquaiuolo si era avvicinatoecavando di tasca un pugno di caoripiccole conchiglie usate come moneta nell'India (e ne occorrono almeno quarantaper fare il valsente d'un centesimo dei nostri)lo gettò nella coppa delgussainodicendogli a mezza voce:

- Il Mahadeva vi assistabuon vecchioche somigliate tantoa qualcheduno del mio paese.

Il gussaino aveva chinata la testamormorando alcune paroletra il ringraziamento e la preghiera; ma non aveva fatto cenno di raccogliere lafrase di Haruti.

Questi proseguì la sua via. Ma come ebbe fatto un centinaiodi passivide il gussainoche lo aveva raggiunto e accelerava il passo perandare innanzi a lui.

- Sìcerto- disse Haruti fra sè- quello è il vaidìaBeraril medico del nostro povero principe. Riconosco la sua andatura.

Il mendicantea un certo punto della sua corsasi voltòindietro per dare un'occhiata d'intelligenza all'acquaiuolo; indi svoltòl'angolo della stradaper andare verso il quartiere di Girgaum.

Evidentementeil vecchio voleva esser seguito. Harutiobbedì e gli tenne dietro fino ad un boschetto di alberi di cocco. Come fugiunto all'uscio di una piccola capannail vecchio si fermòsi volse aguardare intornoe veduto che nessun altri li aveva seguitiinvitò il giovanead entrare con lui.

- Chi sei tuche credi d'avermi riconosciuto? gli disse.

- Sono Harutie vivevo due anni fanel santuario di KarmaVridi- rispose il giovane. Se tu sei Berarl'ambhastail medico di…

- Lo sono; - interruppe Berar. - Anche a me era sembrato diriconoscere un volto amico. Da due anni vivo quilimosinandopiangendo il miosignore e sospirando la patria. E tucome sei giunto? Anche tufiglio dellacasta più nobilesei costretto ad esercitare un vile ufficioper vivere? -

I due compagni di sventuradopo essersi narratescambievolmente le loro miseriedeliberaronocom'era naturaledi metterleinsieme. L'uno sarebbe stato il sostegno all'altro; ambedue potevano piangereliberamente sull'eccidio della patria e sulle rovine di Karma Vridi.

- E poici sarà stato davvero il tesoro? - aveva chiestoHarutiche non poteva mandar giù il feroce comando di Aureng Zeb.

Il vecchio Berar non rispose parola. Ma in capo ad un anno(che non ci vuole di meno a pesare un amico) gli disse:

- Lo so iodov'è nascosto il tesoro di Gundwana. Ma ilsaperlo che giova? Fino a tanto rimane in vita Aureng Zebnon è prudenteconsiglio di ritornare a Golconda. -

Indicrollando malinconicamente la testasoggiunse:

- Il tiranno è giovane ancoraed io morirò troppi anniprima di lui; se il Mahadeva non si degna di mutare per noi l'ordine naturaledelle cose. -

Il miracolo non avvennee il vecchio Berardopo qualcheannosentì che la sua ora stava oramai per suonare. Chiamato il giovine Harutiaccanto al suo lettogli parlò in questa guisa:

- A tebramino e servo fedele degli Deiconfiderò ilsegreto del tesoro di Golconda. Esso è stato nascosto per l'appunto nelsantuario di Karma Vridi. Aureng Zeb non si era apposto male; e se laperspicacia sua non lo ha condotto più oltrebisogna darne merito ai sassi deltempioche hanno custodito gelosamente il segreto.

- Ma pur troppo il tempio è stato incendiato; - osservò ilgiovine bramino.

- Non già distrutto il nascondiglio del tesoro; - risposeBerar; - il fuoco non intacca la pietra. Orabada attentamente a ciò ch'io tidico. Il tempio di Karma Vridi era spartito in tre navate. Sotto quella didestra lungo il muroe proprio in quel punto che fa riscontro alla quartacolonnaè scolpito uno dei simboli della nostra religione.

- Il terzo avatara di Visnù; lo rammento benissimo; - disseil giovine Haruti. - Il leone che salva il mondofacendo a brani il titanoAcscia.

- Per l'appunto. A' piedi del bassorilievosmuovendo unalastra di pietrasi trova la bocca d'un sotterraneo. Era anticamente una viasegretache metteva il tempio in comunicazione con la fortezza di Pandia. Ilpassaggio era stato murato nel mezzofino ai tempi di Kafur il maomettanovittoriosoche aveva smantellata la fortezzasenza conoscere il segreto diquella via sotterranea. I mahunt di Karma Vridi ne serbarono soli latradizione. Là dentroadunquefatti cento cinquantadue passi nel sotterraneobisogna tastare il muroe rompere dove si sente il vuoto. Il tesoro è chiusoin quella nicchiache occhio umano non riuscirebbe a scoprireessendo il murotutto ragguagliato con lo stesso intonaco e sotto una medesima tinta. Morto ilpovero mahunt per non aver voluto svelare il segretomorto me in questoesiliotu solo al mondo conoscerai dove si nasconda quella ricchezza. Giuramiche non andrai a cercarla che dopo la morte di Aureng Zebo dopo la suacacciata dal nostro paeseead ogni modoquando tu sia ben certo che iltesoro di Gundwana non cadrà in balia di Musulmani. Il regno dell'usurpatorepotrà durare anche molto; uno del suo sangueo almeno della sua religionesuccedergli. In questo casose il cielo non ti concederà di compierel'impresainnanzi di morire potrai confidare il segreto ad un altro bramino.Chi sa che un altro non abbia miglior sorte di noi! -

Haruti giurò il segreto e promise di fare in tutto come gliconsigliava Berar. E questi morì in pacepensando che il conquistatore dellasua patrial'uccisore del suo principenon avrebbe posseduto il tesoro.

L'ordine naturale delle cose a cui aveva accennato Berarfece vivere Aureng Zeb ancora una quarantina d'anni. Quando il potentissimo trai monarchi dell'India venne a morteanche Haruti era invecchiato. Ritornò aGolcondadove nessuno lo conoscevae andò in pellegrinaggio a Karma Vridimanon trovò più altrodel famoso santuarioche qualche avanzo delle muramaestre e un ammasso informe di rovinesu cui crescevano sterpi ed erbeselvatiche.

Quella vista era fatta per disanimarlo. D'altrondeche cosaavrebbe potuto far eglivecchio com'erasenza mettere qualcheduno a parte delsegreto? E a chi ne avrebbe fatto parola? Con qual pretesto si sarebbe impresoil lavoroper non destare i sospetti del nuovo signore di Golconda?

Haruti si rassegnò. Nè gli era difficile il farlopoichèil buon vecchio aveva imparato da lunga mano a disprezzarle ricchezzee beneintendeva per giunta che quelle sepolte sotto i ruderi di Karma Vridianchescopertenon sarebbero servite alla gloria del Mahadeva.

Compiuto il suo pellegrinaggiosi ridusse a breve distanzadi lànel tempio di Paravady. La fama delle sue virtù era giunta in quelcollegio di braminied egli v'ebbe ospizio onorato pel resto de' suoi giorniche egli spese nello studio dei Veda e nella composizione di quella sua cronacain cui erano raccontati gli ultimi anni della prosperità di Golconda.

Questa era la narrazione del vecchio Lacmanaa rincalzo deicenni che aveva letti qua e là nella preziosa sua cronaca. La tradizione oraledava il suo compimento allo scrittoed era per tal guisa spiegato come ilsegreto fosse giunto fino a Lacmanaterzo dei priori di Paravadydopo la mortedi quello che aveva ricevuta la confidenza dal labbro stesso di Haruti.

- Ma come mai? - esclamò il duca di Maranapoichè ilvecchio mahunt ebbe finito il racconto. Nessuno dei vostri antecessori hasentito il desiderio di metter sossopra i ruderi di Karma Vridi?

- Lo avrà sentito certamentema senza poterlo appagare; -rispose Lacmana. - Aureng Zeb morì nel 1707; gli succedette il figlio SciàAlume a questi Moez-eddindeposto in capo a pochi mesi dal nepote Farrukhsir.Solamente dopo di questo principeche morì nel 1720e durante il regno diMohammed Sciài Mongoli perdettero ogni vero dominio sull'India; ma alla loroautorità succedeva quella di Nizam-al-Mulkvisir di Mohammed. Fu questo ilcapostipite degli attuali Nizammaomettani e nemici nostricome gli antichipadronie sotto i suoi occhi niente si sarebbe potuto tentare utilmente. Delresto- soggiunse sospirando Lacmana- l'allontanarsi delle nuove generazionidai fatti che il bramino Haruti aveva registrati nella sua cronacanon menoavrà avuto piccola parte nello intiepidimento di quel desiderio. È ancheprobabile che non tutti i miei predecessori credessero ugualmente allaveridicità del racconto.

- Volevo ben dire! - esclamò don Fernandoche ritornavavolentieri ai suoi dubbi.

E dentro di sè tirò avanti in questa forma:

- Sono così bugiardiquesti Indiania furia diesagerazioni! Vedete la loro storiacome si confonde con la mitologia! Equestacome diventa mostruosafacendo delle sue divinità altrettanti animali!Ogni grand'uomo ha la sua apoteosiche si trasforma bel bello in un avatàrain una incarnazione di Dio; testimone quel Rámache scomoda tanta gente pernascereeper riconquistare il suo trono e sua moglieha bisogno di farsiaiutare… indovinate da chi? dal re delle scimmie!

- Per altro- diceva Guido in quel mentrequasi volessetemperare nell'animo di Lacmana l'effetto di quella frase del duca- voi cicredeteamico mio!

- Per non credercidovrei mettere in dubbio la gravità diHarutiun sant'uomoche certamente non ha voluto ingannare un suo fratello conuna invenzione di tal fattanè presentassi al trono di Brama con una menzognasulla coscienza.

- Potrebbe darsi che non fosse stato veritiero il medico; -entrò a dire Fernando.

- Prevedevo l'osservazione; - rispose Lacmana. - Ma ditemiSahibper qual ragione il vecchio Berar avrebbe tessuta una favola? Niente di piùnaturale di ciò ch'egli ha fattosvelando il segreto del tesoro al suo giovinecompagno di sventurache lo aveva conosciuto per l'appunto a Karma Vridi nellaoccasione del trasporto dei libri sacridi quei libri che dovevano nascondereun altro depositoassai più prezioso agli occhi di Aureng Zeb. Ammettiamo perun istante che il tesoro non ci sia. Chi lo avrebbe trafugato? Lo stesso Berardirete voi. Ma come si spiega allora che il medico di corteil confidente diGundwanavivesse tanto miseramente a Bombaychiedendo l'elemosina all'ingressod'un tempio?

- È giusto; - notò il duca di Maranaarrendendosiall'evidenza di quelle ragioni.

- Accettate dunque? - domandò Guido Laurenti.

- Ohper questo non mi bisognavano tante prove; - gridò lospagnuolo. - Anche nell'incertezza dell'esitol'impresa può essere tentata dauno scioperato par mio. Del resto- soggiunserivolgendosi al mahunt-noi altriuomini dell'occidentesiamo scavatori feroci al cospetto di Dio. Perun frammento di statuaper una pentola di monete d'argento o di ramequalchevolta soltanto per un mucchio di coccilavoriamo allegramente un annoe diamomateria di chiacchiere ai nostri antiquariiper dieci.

- Beati voiche sentite così profondamente la religione delpassato - disse di rimando il bramino. - Ed ecco anche un pretesto ragionevoleper tutti coloro che potessero insospettirsi di questi lavori. Il ministro delNizam non ci avrà nulla a vedere.

- E poi- replicò il duca di Marana- non abbiamo ilresidente inglese a due passi? Chiederemo protezione all'Inghilterra. In fondoin fondoè lei che comanda.

- Difatti- osservò Lacmana- stiamo per cangiar padronida capo. -

E sospiròcosì dicendoil savio interprete dei Veda.

- Eccodunquei diritti dell'archeologia sono salvi-esclamò don Fernandoche si era messo al coperto da tutte le possibilicanzonature e andava più franco all'idea di una occupazione piacevole.- Daremoda lavorare agli uomini di Paravadye sarà questo il primo benefizio che queipoveri diavoli ritrarranno dal tesoroabbia esso a trovarsio nonella suanicchia sotterranea. Ma ora che ci pensobisognerà fare prima di tutto unagita d'esplorazione; andare a studiare il problema sulla faccia del luogo;misurare il campofarci su le nostre brave induzioni.

- Karma Vridi non è più che un monte di rovinegià vel'ho detto- osservò il vecchio bramino. - Ma si distingue ancora abbastanzail giro delle mura maestree non sarà tanto difficile di cogliere il puntogiusto da cui incominciare lo sterro.

- Ottimamente; possiamo andarci domattina. È lontano di qui?

- Forse due ore di stradaseguitando la macchia dei baniani.

- Per conseguenzasi potrà anche tornare a casa ogni giornoper l'ora del pranzo; - disse il duca di Marana. - Io pensavo già allanecessità di una specie d'accampamento. Amico Laurentinon perderete neancheper un giorno il vostro commensale. E il vostro meraviglioso Sahibgarpotrà dirsi veramente un nido di lavoratori. -

Guido Laurenti sorrisenotando quella febbre di operositàche s'impadroniva del suo ospite.

- Sicuro- diss'egli- non bisogna stare in ozio. L'ozio èil padre di tutti vizi.

- Ahimè! ed anche delle molte fantasie; - aggiunse entro disè il duca di Maranaa cui tornava in mente la soave immagine della signoraLuisa. Ma infineche male c'è? Non si può trovar bella una donnasenza chetutte le campane della coscienza suonino a stormo? -

Quando i due amici furono di ritorno al Sahibgarnonmancavano più che pochi minuti all'ora del pranzo. La signora Luisasempregaia e gentilefece molti complimenti al duca di Marana per la caccia delcobrache ella aveva veduto giungere a casa nel suo letto di frasche; maraccomandò all'ospite di non andare più in giro per la junglasenzagli stivaloni di cuoio.

- È giusto. - diss'egli; - metterò le gambiere fin dadomaniper l'impresa di Karma Vridi.

- Che impresa? - domandò la signora.

- Un'impresa stranissima; - rispose il duca con enfasiburlesca. - Scoprirò un tesoroe sarò lieto di mettere ai piedi di VostraMercede il più grosso e il più sfavillante tra tutti i diamanti del mondo.Degnatevi d'accettarlo fin d'ora. -

Si può promettere di accettare un presenteche sia lontanoancora da ogni probabilità. E la signora Luisa Laurenti accettò sorridendoquell'altra pelle dell'orsoche il duca di Marana le offriva. Anziper quellasera non si ciarlò che di tesori e di pietre preziosescherzando sulla impresadi don Fernando e sull'uso che egli avrebbe potuto fare di quelle nuovericchezze

.- Bisogna prenderla per mo' di celia; - disse ad un certopunto della conversazione il duca di Marana; - se noci prepariamo qualchedisinganno troppo amaro. Non è così?

Neanche Guido si provò a contraddirlo. E infattilontanidal mahunt di Paravadynon si era più scaldati dagli ardori della suafedee quella storia di dugent'anni addietro ricominciava a sapere di favola.

- Confessatelo; - soggiunse il duca; - voi non avete volutopigliarvi l'incarico di cercare il tesoroperchè non ci credevate affatto.

- Affattoveramenteè un dir troppo; - rispose GuidoLaurenti. - Ci credevo pocoe l'indole delle mie occupazioni non era tale dafar pendere la bilancia da quella parte là. Cionondimenooggi credo un po'più di ieri; almeno almeno- soggiunsea guisa di correttivo- credo allabuona fede di Haruti. Che poi il tesoro debba trovarsi nella sua nicchia…

- È un altro paio di maniche- conchiuse don Fernando. - Manon importa. Anche questa curiosità vogliamo levarci. E se non troveremo idiamantiavremo sempre trovato materia da ridere. -

In queste chiacchiere passò la serata. E il signor duca diMaranastando vicino a madonnaudendone le parolecogliendone in aria isorrisimandava a quel paese i propositi di fugache gli erano passati per lamente in quella mattina.

Dopo tuttosiamo giusti. Come avrebbe potuto andarseneconun tesoro di Golconda in prospettiva?

 

IX

 

Seguito da una cinquantina d'indianiche aveva presi al suoservigio per la magnifica impresae disposto a prenderne un maggior numeroselo avesse creduto necessario dopo una ispezione diligente dei luoghidonFernando si pose in viaggiola mattina per tempoalla volta di Karma Vridi.

Faceva volentieri quel suo tentativoquantunque in luicombattessero di continuo la speranza di trovare la nicchia meravigliosa e iltimore di uscirne con un leggiero spruzzo di ridicolo sulla nobilissima testa.Ma pensatea sua scusache don Fernando sentiva il bisogno di non istupidiresotto un atrio di casaa veder ricamare una donnae che gli pareva altresì didover cogliere con ogni studio la prima occasione di passare per un personaggionon affatto disutile nella piccola colonia europea di Paravady.

Con questi pensierilascio immaginare a voi come andassefranco alla meta. Passata la Godavery a un miglio di distanza dal villaggio edal munderma senza indugiarsi col vecchio Lacmanadon Fernando presela via verso settentrioneevitando per quanto era possibile di entrar nellamacchiadove i brutti incontri non erano mica difficili. All'apertoe digiornouna comitivaanche di poche personenon ha nulla a temere dalle belveche stanno volentieri appiattate nel foltoe al ruscello non vanno per solitoche di notte. Ma guai ad avventurarsi nella macchia e lasciarvisi cogliere inguisa da non poter fare manipolo contro un assaltoche non si sa mai dondevenga.

Due ore dopo la sua partenza dal Sahibgaril duca di Maranagiunse in vista di Karma Vridi. Era un poggioanzi un rialto di terraverdeggiantechiazzato qua e là di grigiopei ruderi che vi erano sparsi. DonFernando riconobbe le rovine del tempioe dalla giacitura dei pezzi più altiargomentò che alcuni tronchi di colonne fossero rimasti in piedifacendopuntello a qualche frammento di vôlta.

Mentre i suoi uomini preparavano la colazionedon Fernandofece il giro del rialtoper riscontrare la traccia delle mure maestre e vedereda qual parte fosse il prospetto del tempio. La qual cosa non riuscì moltodifficileessendo noto come tutti gli edifizi religiosi dell'India avessero unosporto sulla frontea guisa di pronao grecoma assai più ristrettae daparagonarsi piuttosto agli atrii dei conventi cristiani.

Trovata la postura dello sciàori (che questo nome ha inlingua indostana la parte anteriore d'un tempio) il duca di Marana si fece conmolta attenzione ad esaminare il rialtoper vedere se da quelle linee esteriorisi potesse argomentare qualche cosa intorno all'ampiezza delle navate e alladistribuzione delle colonne. Rammentatesperoche egli doveva bensì rivolgerele sue indagini ad un certo punto della navata di destrae di costa al muromache quel punto era determinato dal suo riscontro con la quarta colonna.

Questo esamequantunque don Fernando ci si mettesse contutte le forze dell'intellettonon gli fruttò nessuna scoperta. Rimanendoadunque nell'incertezzabisognava incominciare gli scavi dal prospetto deltempioe andar oltreprendendo norma dagli imbasamenti delle colonne. Eral'unica via da seguirsi; certamente la più lungama anche la più sicura. Ecome ebbe fermato l'animo su quellapensò di imitare i suoi compagni e di farcolazionemettendo mano ad una scatola di conserve alimentarinon ultima trale novità con cui il popolo più viaggiatore dell'Europa aiuta a colonizzare leregioni meno ospitali del mondo.

Oraalternando i pezzi di biscotto coi pezzi di salmonedonFernando pensò che gli scaviincominciati da quel puntosarebbero andati perle lunghee che i giorni sarebbero anche diventati settimane. I suoi uominipoco lungi da luiscodellavano il risobollito nell'acquae diventato comeuna poltigliaa forza di cuocere. Alcuni di essiapprofittando dell'indugioerano andati più oltreverso un piccolo poggioe con frasche tagliate qua elà edificavano una capanna; certo con la buona intenzione di offrire al Sahibun piccolo osservatoriodonde egli potesse sopraintendere ai lavoristando alcoperto dai raggi del sole.

Un'idea balenò tosto alla mente del duca. Ci vuolegeneralmente anche menoper far nascere un'idea nella testa di un uomo. AGalileo Galilei bastò il ciondolar d'una lampada nel duomo di Pisaper trovarenon so che cosaforse l'isocronismo del pendolo; a Isacco Newton la cadutad'una mela sul nasoper trovare la legge della caduta dei gravi e via via tuttoil suo mirabile sistema della gravitazione universale. Al duca di Marana potevadunque bastare la vista di quella capanna improvvisataper immaginare chesenza troppa fatica e con utile sommo della spedizionesi sarebbe potutafabbricare una casa.

Subito fece venire a sè il capo della comitiva.

- Come ti chiami? - gli disse.

- Berar; - rispose quell'altro.

Era il nome del medico di Gundwanachesecondo la cronacadi Harutiaveva nascosto il tesoro di Golconda nel tempio di Karma Vridi.Quella coincidenza gli parve di buon augurio per l'esito della sua intrapresa.

- DimmiBerar- proseguì don Fernando- saresti capaceco' tuoi compagni di aggiustare quel poggio a mo' di terrapienocon un po' difossa intornoe di farci sopra una capanna più vasta? magari anche una casa?Ci si riposerebbe tuttila nottesenza bisogno di andare ogni giorno avanti eindietro da Karma Vridi a Paravady. Ogni serauna squadra di dieci uominiandrebbe laggiùe si farebbe a torno tra voi altriper veder la famiglia eportare le provvigioni al nostro accampamento. -

La proposta piacque a tutti gl'indiani. Un desiderio del SahibMarana era una legge per essiche dalla sua munificenza avevano ottanta paial giornocome a dire il valsente d'una liramentre una ventina di pai bastanolaggiù per la quantità di riso necessaria al sostentamento di un uomo. Vedeteche con una lira al giornoin Indiaun uomo può anche metter da parte i suoibravi sparagni. Eppure (tale è la legge delle proporzioni!) anche in Indiamancano spesso all'uomo i venti paiche gl'impediscano di morir di fame.

Berar e i suoi quarantanove compagni si diedero tosto alavorare con ardore intorno alla casa immaginata dal duca di Marana. Il fosso fusubito tracciatoe senza alcuna difficoltàperchè doveva appunto abbracciareil breve giro del poggio. Due ore dopo incominciato il lavoroaveva giàl'aspetto d'una di quelle fortificazioni passeggiereche gli esercitiimprovvisano sull'aperta campagnaper custodirsi contro ogni possibile sorpresadel nemico. E quei cinquanta non erano forse un piccolo esercitonellasolitudine di Karma Vridi? E il nemico non ronzava egli forse in quellevicinanze?

Per ricevere degnamente ogni importuno visitatorei solitaridi Karma Vridi ci avevano una mezza dozzina di carabine; inoltrequasi tuttiavevano portate le lanceinsieme coi picconi e le zappe. Ed erano allegrilavorando attorno a quella loro piccola fortezza; allegri come si è sempre incampagnaquando si fa una cosa nuovadi cui si vede l'utilità immediata.

Data forma al terrapienooccorreva rizzarvi su i muri asecco. E neppur questo era difficilepoichè gli stessi ruderi del tempiodovunque si mostrassero a fior di terrafornivano i sassi alle squadre deimanovali.

Intantoil duca di Maranaseduto sulle rovine di KarmaVridi come Mario su quelle di Cartagineose vi piace megliocome loChateaubriand su quelle di Spartapensava ai casi suoi; ma questa volta senzaazzeccare un'idea. Anche il genio si affaticalo sapetee due idee luminosesarebbero troppa ricchezza in un giorno. Il duca di Marana pensava a DonnaLuisae si rallegrava (vedete contraddizione!) di essere per un po' di tempomettiamo anche per una giornatacosì lontano da lei.

Non ignorate certamentepoichè di queste cose ognuno hafatta più o meno l'esperienza nel suo proprio cuorenon ignoratedicocheogni amor novellino ci ha sempre qualche cosa di acerbocome ce l'hanno semprele frutte primaticce. Si sente l'effetto di una bella immaginee si vorrebbenon sentirlo tanto; si amerebbe star saldicustodirsi un po' meglio contro unacerta facilità di cascar nella pania. E allora piace qualche ora di solitudineche giova a fortificarci contro quel grande pericolo; e gran mercè se siriconosce che lei è freddina parecchioe noi matti altrettanto. Quellaresistenza alla tentazioneche pareva impossibilestando vicini a leio nelraggio della sua influenza magnetica (e dite pure nel circolo magico de' suoisortilegiche per me fa lo stesso)sembra una cosa abbastanza facilee finoad un certo punto piacevolequandose Dio vuolesi va un po' fuori del tiro.Maper controquando si torna vicini a leicome si ricasca! "Scendono ifilinguelli al paretaio" ha detto il poeta. Quei fieri proponimentisvanisconoo si trasformano; il savio diventa uno scioccoo si rimette adoperare come tale.

Intantoil lavoro degli indiani procedeva sollecitoeverso le cinque del pomeriggiola casa appariva sbozzata. Casaveramentenonsi sarebbe potuta dire; somigliava piuttosto ad uno di quei recinti preistoriciche si trovano qua e là sulle coste di Bretagnae che l'opinione popolareattribuisce al culto druidico. Non era vastae dei cinquanta uomini che laedificavano con tanta furia ne avrebbe potuto contenere a stento la metà. Mafin quiniente di malepoichè dieci di quegli uomini dovevano andare prima dinotte a Paravady; e i quaranta destinati a restare avevano a spartirsi in duedrappellie alternarsi nel servizio di guardia. La vigilanza era necessariapoichè le mura non erano condotte ancora ad una altezza sufficientee il tettoera alla meglio imbastito con canne di bambù ed un intreccio di frasche.Aggiungete che l'uscio non era più alto delle muranè più saldo del tetto.

Al duca di Marana parve tuttavia che quella costruzione fossegià un bel riparoper una prima notte di solitudine. Ma di che cosa non sicontenta il viaggiatore? Certi disagi e certe peripezie sono anzi il megliodella sua vita.

Del restosapete che il duca di Marana ci provava un po' digustoa passare quella notte lontano dal Sahibgar. Laggiù si sarebberooccupati della sua assenzaavrebbero sentita la sua mancanza. Giàsono gliassentiquelli che possono farsi desiderare; ai presenti non resta che di darnoia.

Don Fernando non era anche venuto a capo d'intendere che cosapensasse quella donna di luie con che occhi si disponesse a vedere la suaassiduitàla sua divozione… viadiciamo pane al panela sua cortespietata. Veramentetroppo pochi giorni erano scorsi dall'arrivo di luiepoteva anche darsi che Donna Luisa non avesse posto mente ai suoi lavorid'approccioconfondendoli forse con le naturali espansioni d'una schiettaamicizia. Ma il signor ducacome tanti cavalieri del suo stampo assuefatti atrinciarsi liberamente la loro parte nei beni della vitaaveva la pretensioned'indovinar certe cose alla bella prima. E non gli pareva mica di sentiresoverchiamente di sè. Aveva pure notata fin dal giorno del suo arrivo aParavady quella gentile freddezza che governava le relazioni coniugali di casaLaurenti!

Or dunquecome andava quell'altra faccenda? Perchè non gliriesciva di leggere ugualmente nell'animo della signoraper ciò cherisguardava il più infiammabile tra tutti i grandi di Spagna? Don Fernando nonci si raccapezzava. Ed anche per questo non gli dispiaceva di star lontano ungiorno da lei. La facilità con cui rinunziava ad una serata nel boschetto dellemagnoliepoteva giovargli benissimo in due modie presso due personeugualmente; toglieva un appiglio a futuri sospettise pure ne potevano nascerenella mente di Guidoe a luidon Fernandooffriva modo di fare le piùsottili induzioni sulle accoglienze che gli sarebbero toccate al ritorno.

Quante paroleper non riuscir poi a farvi intendere conprecisione ciò che il duca di Marana intendeva già tanto poco da sè! Ma ilcuore è un labirinto così intricato che guai ad entrarci! Ogni piega vi lasciaintravvedere una stradae tutte aiutano a confonderviprima che abbiateinfilata la buona. Ma c'èpoila buona tra tante? E non può dipendere da unnulla che lo stesso proprietario ci si smarrisca anche lui? Avviene in similicasi che la via senza uscita si apra da sèmentre se ne chiude un'altrachepareva la meglio tracciata. È la storia dei semi gittati in un pezzo diterreno. Son tutti vitali ad un modo; ma dipende da un nulla che l'unoavvizzisca e l'altro s'ingrossiche questo si arresti a mezzo della suaespansionee l'altro improvvisamente si riabbia e germogli.

Risoluto di dormire nel suo accampamento di Karma Vridiilduca di Marana aperse il suo taccuino e ne strappò una paginasu cui scrissealcuni versi con la matita.

"Il luogo è bello (diceva egli all'amico Laurenti)maqueste rovine mi promettono un lungo lavoro. Non mi sgomentoanzi hoincominciato a fabbricare una casa. Non istante in ansietà; la squadra cheviene a Paravady vi dirà come ho concertato il servizio. Considerandomi unsoldato come tutti gli altriprenderò domani a sera il mio turno di vacanza."

Scritto questo saggio di eloquenza spartanapiegò ilfoglietto e lo consegnò al capo della squadra che doveva andare a Paravady peiviveri. La squadra si componeva di dieci uominiarmati di lancie e coltelli. Adue di loroil duca di Marana aveva distribuite le carabineprecauzione forsesoverchiapoichè c'erano ancora due ore di solee la squadra sarebbe giuntaall'abitato prima dell'imbrunire. Ma il ducache aveva già corsa la sua partedi mondo e non voleva lasciar nulla al casopensò che due carabine sarebberostate sempre una buona compagnia per la squadra. Al grosso del suo campo nerestavano quattrosenza contare la suae la rivoltina che gli pendeva dalfianco.

Gli uomini partiti dal campo potevano già essere arrivati alSahibgarquando il duca di Marana si dispose a cenaredavantiall'entrata della sua piccola fortezza. Gl'indianial solitomangiavano ilriso bollito; ed anche don Fernando volle assaggiarnema torcendo il viso aquella minestra cotta senza salee in un'acqua che non gli sembrava moltopulita.

A proposito d'acquai suoi uomini erano andati ad attingerlada un fossatelloche si vedeva distante un cinquecento passi di là. Ritornandocon le brocche ripieneessi narrarono al Sahib di aver notate orme difiere sui margini del torrente.

- Benissimo! - esclamò don Fernandoche non era più nuovoa simili incontri. - Vedremo anche le tigristanotte. Per fortuna ci abbiamocinque carabinee munizioni bastanti a sostenere anche un assedio. Per altrobisognerà vigilare attentamente da ogni partepoichè il muro non è troppoaltoe il tetto non ci riparerebbe da un salto nemico nella piazza.

- Non dubitareSahib; - disse il capo degli indiani; - siamoavvezzi a questi vicinie abbiamo la vista acuta. -

Intantoscendeva la notte. Venti uomini entrarono nellacasaa prendersi cinque ore di sonnosdraiati l'uno a fianco dell'altro; ventirimasero in piediper vegliare intorno al recintodistribuiti in quattrosquadresui lati del terrapieno. Questi ultimi non dovevano dormire che dallamezzanotte alle cinque del mattino

Il duca di Maranada buon capitanovolle rimanere tracoloro che vegliavanoe scelse per se il lato che guardava dalla parte deltorrente. Da quellapiuttosto che da un'altrapoteva esserci un pericolopoichè i corsi d'acqua sono i notturni ritrovi delle fiere.

Un'ora dopole ombre regnavano sovrane sulla valle di KarmaVridi. Indra spiegava nel campo azzurro del firmamento le sue scolte vigilantiil cui scintillio nelle tenebre ha dato immagine e nome alle prime adorazionidegli uomini. Una notte indiana è sempre un grande spettacoloe ce lo fagustare più intimamente quel profondo silenzio delle cosein mezzo a cuiveglianotacendola coscienza nel pettoe le stelle nel cielo. Una meteorafiammeggiante che attraversi lo spazioun ruggito di fiera in lontananzailverso malinconico dei bulbull'usignuolo dell'Asiatra le liane dellaselvaturbano a tratti quel silenzio profondo e quella pace solenne dellanaturacome turba i riposi della coscienza un pensiero doloroso che attraversilo spirito. Ma la quiete universale riprende tosto i suoi dritti; la gran madresi riaddormentae l'uomo estatico ne invigila i sonni.

Il duca di Maranaseduto davanti al suo accampamentonotturnopensava al Sahibgare si figurava di contemplare quellospettacolo da una nota radura del boschetto di magnolie.

- Che cosa faranno adesso? - chiedeva egli fra sè. -Parleranno certamente di me e del mio pazzo disegno. È un argomento come unaltro e non ne debbono aver troppiper farci su quattro chiacchiere. Ma sìvedete che caso è il loro! Non ci hanno mica molto da dirsie sono freddiniparecchio. Chi lo avrebbe mai detto ad uno di lorocinque anni fa? È proprioun peccatoche il cuore si muti a questo modo! Ma giàquesta è la storia ditutti; ci si raffredda a mano a manoe quasi senza avvedercene. Non c'è chel'amore contrastatoche duri. Ma dura anche questo davvero? Viadiciamo lecose come stanno; il più delle volte è vanità offesa; e quella corda lì ègelosadà il suono acuto più dei cantini. Brutta cosala vanità! E quantoè miserabile cosa la vita! O ve ne fate una prosa correntee allora tantegioiee le più delicatesi perdono; oppure… Ma non dimentichiamo nemmenoche spesso è impossibile di rinunziare a certe soddisfazioni dell'intelletto.L'idealità è un bisogno della natura umana. Viviamoa buon contodellenostre facoltàe tra queste c'è l'astrazione. Si filosofa su tutto; segno cheil bisogno è in noi. Perchè si legge? perchè si studia? È una necessità. Ilgaudio intellettuale scaturisce da questa propensione dello spiritocome ilgaudio materiale dalla salute e dalla ricchezza. -

Il signor duca andava sfilosofando la parte sua; ma vogliatescusarlovi prego; la notte era così tranquillaed egli così sfaccendato!Del restorallegratevi; il pensiero della ricchezza lo ricondusse incarreggiata.

- La ricchezza! Anche questa giova e non giova. E qualchevolta procaccia dei brutti quarti d'ora. Vedete Gundwana! E il suo medico Berare il povero mahunt di Karma Vridi! Eccolo làun tesoro; venticinquemilioni sepolti sotto quelle rovinecon uno sciocco sconclusionatoche ammazzail tempo cercandoli. Se ci saranno poi! Ma se li trovassi davvero? Vediamo unpo'che cosa debbo farnedi questo tesoro? Giàsi capisceche il duca diMarana non può esser venuto in India per diventare un ricco sfondato. Il piùbel diamante ha da esser per leil'ho promesso. Col restofarò di Paravady unpaese di cuccagna. Tutte le famiglie di questi poveri indiani avranno la lorocasetta linda e ben provveduta. Oppurenos'impianta un'industriache dia davivere a tuttie guarentisca la prosperità di parecchie generazioni. Che nonsi possa trar profitto dalle acque del Godavery? Bastavedremo. Ma guardate chebel matto son io! Fo i conti sul tesorocome se lo avessi già in tasca.

Il soliloquio del duca fu interrotto da uno sparo improvviso.Don Fernando balzò in piedi di scatto.

I suoi uomini si strinsero intorno a luicome per chiedergliil suo avviso su quella novità. Nessuna parola era stata ancora scambiata tralui e gli indianiche un altro colpo s'intese. Il suono veniva da mezzogiornoe non pareva che il tiratore fosse a troppa distanza.

- Chi sarà mai? - chiese il duca di Marana tra sè. - Forsel'amico Laurenti ha mandato qualcheduno a farmi compagnia. Ma come si fa amuovergli incontrocon questa oscuritàlasciando una parte degli uomini senzaguida? -

Don Fernandosulle primeaveva creduto che si trattasse didue colpi tirati a qualche animale; ma poi venne a pensare che poteva anchetrattarsi di un segnale dato a luiper ottenere risposta e regolare la marciasecondo la direzione del suono. Si pentì allora di non aver seguita un'idea chegli era venuta in prima seradi accendere un falò in vicinanza della suafortezza improvvisata. Frattantoper dar cenno della sua presenza ai lontanifece rispondere ai due spariuditi poc'anzicon due altri colpi di carabina.

Non si era ingannatodopo una quindicina di minutisi udìun nuovo colpoma questo ad una distanza molto minore della prima volta. Iltiratore doveva esser già nella valleforse cinquecento metri discosto. E ilduca di Marana fece rispondere con un terzo colpoma tirando in arcatache nonavessero a succedere disgrazie.

Indi a non molto si udì un rumore di passi e di voci. Undrappello d'uomini armati veniva frettoloso verso il fortino. Don Fernando simosse e diede una voce agli sconosciuti. Un'altra voce gli risposeed eraquella di Guido Laurenti.

- Ecco un bel modo di trovar l'orma; - diss'egliavvicinandosi e stringendo la mano al duca di Marana. - Ma che diavolo vi saltaamico Fernandodi piantarci cosìe di far testaper la nottein un luogocome questo? Se me lo aveste detto prima!…

- Che male c'è? - chiese candidamente il duca.

- Dio buonoc'è questo- rispose Guido- che non èprudente di stare la notte in un punto così deserto della jungla. Lefiere non vi lasceranno mica senza contrasto i loro diritti di possessonotturno.

- Oheravamo ben preparati a riceverle; non vedete?

- Vedo ed ammiro; ma siccome in questi casi le precauzioninon sono mai troppescusateFernandoavreste fatto meglio a ritirarvi entrole mura del Sahibgarche sono un poco più salde di queste.

- Ne convengo; - disse il duca ridendo; - ma dopo tuttol'India mi conoscee queste nottialla locanda della Stellanon sono nuoveper me.

- Quando non potevate farne di menopazienza! Ma con lacasadistante appena due ore di strada; con la vostra stanzetta che viaspettava!..

- Ma voiGuidonon avete abbandonata la vostra anche voi?Vi combatto con le vostre ragioni.

- Bravo. Ma ditemipotevo io farne di meno? Lasciarvi quisolomentre ci siete anche un pochino per colpa mia? Infattiquesta impresa diKarma Vridi ve l'ho proposta io.

- Non mi dispiace di esserci venuto. Il luogo è stupendo em'ha preso la tentazione di restarci.

- Per far l'ufficio d'un dragoalla guardia del tesoro?Ottimamente. Ma le nostre chiacchiere all'ombra delle magnoliecome vi ha datoil cuore di lasciarle? E quel che è peggio…

- C'è di peggio?

- Sicuro; per esempioil farsi rimpiangere da una bellacreatura. -

Il duca di Marana fremette involontariamente a quella escitainattesa.

- Che dite voi ora? - gridò.

- Dico che oggidurante la vostra assenzaabbiamo avuta unavisita al Sahibgar. Indovinate di chi?

- Dei Lawson? - balbettò don Fernandoa cui tornava ilrespiro.

- Per l'appunto; abbiamo in casa sir Giorgiola sua amabilefigliuola ed anchese vi fa piacere saperloun leggiadro cugino di lei. Cisiamo adoperati come potevamo a far gli onori di casa; ma non abbiamo potuto darloro ciò che non era più in nostra manocome a dire un certo ducache halasciataa quanto pareuna memoria indelebile del suo passaggio alla residenzabritannica di Secanderabad. Son certo che a quest'ora una bionda misstremerà per l'assente archeologoche io sono venuto a cercare.

- Voi credete? - domandò Fernandoche in verità non sapevaquello che si dicesse in quel punto.

- Lo credo fermamentee ve ne faccio le mie più sincerecongratulazioni. È tanto carinamiss Maud!

Il duca di Marana non rispose. - Sta a vedere- pensò-che se ne innamora lui! Faccia pureio non ho da lagnarmene; che anzi!

Anziche cosa? Il pensiero di don Fernando non osò andarepiù oltre. Quel tasto gli rispondeva malea quanto sembra. Il duca di Maranapensava piuttosto all'amicizia di Guido Laurentidi quel gentile suo ospitechepur sapendolo accompagnato da una quarantina d'uominilasciava la sua casadi nottetempoper avventurarsi nella junglain compagnia di pochiindianie correre sulle sue tracce. Non era mica un piccolo rischioquello acui si esponeva il Laurenti. Una grossa comitiva di cacciatori non ha troppo atemere nella campagna indianaalla luce del solequando un pericolo si vede ela difesa è facile a chi sta sull'avviso; ma la notte vi è piena d'insidieche si distinguono malee non sempre è dato cansarle.

- Lasciamo stare le visite; - disse allora il duca. - Iopenso che non vi ho ancora ringraziato di questa prova d'amicizia…

- Zittomi ringrazierete dopo; - interruppe Guido. - Datemipiuttosto una sorsata di rum perchènella frettaho dimenticato difar le provviste.

Don Fernando fu lieto di offrirgli la sua fiaschetta.

- Caro Guido- gli diceva frattanto- non aspettavo davverola vostra venuta.

- Uomo di poca fede! - esclamò Guidosempre su quel tono dicelia amichevole che aveva assunto fio dal primo istante del suo arrivoall'accampamento.- Sono un filologoun naturalistaun imbalsamatoree tuttoquel che vorrete; ma il pericolo piace anche a mequando s'incontra utilmente.E questo era il caso; perchèveramenteil luogo che avete scelto per passarcila notte…

Un rugghioche si faceva udire dalla parte del torrenteinterruppe la frase di Guido.

- Ahah! - esclamò eglirizzando la testa. - Il vicinatocanta; noi suoneremo.

La tigrepoichè era lei che rugliava in quel modopotevaessere ancora di là dal fossato. Ma poco dopo ella diede un altro segno divitae il suono parve più vicino all'accampamento.

- È mezzanottel'ora dei fantasmi; - disse Guidoche avevaaccostato agli occhi il suo orologioper veder le lancette al fioco lume dellestelle. - Ma eccone uno dei fantasmiche viene verso di noi.

- Dove?

- Laggiù; non vedete? Ora si è fermato; forse per prenderecognizione della novità architettonica che avete innalzata quassù.Evidentementeè il padrone di questa solitudinee noi gli sembriamo intrusio poco meno. Viamettiamo mano al biglietto di visita. -

Così dicendoe mentre don Fernando stava ancora con gliocchi tesi per discernere il corpo nero che gli era stato indicatoGuidoLaurenti spianò la sua carabinarimase tre minuti secondi aggiustando la mirae fece fuoco; indiafferrata un'altr'arma dalle mani d'un indianoche glistava da fiancosi preparò a scaricare un altro colpo. Era tempo; la fieraaveva gettato un urlo feroce; la negra mole aveva fatto un balzo in avanti.

- Fermo! - gridò Guido al duca di Maranache stava perprendere la mira. - Serbate il colpopel caso che io fallisca il mio.

Intantocalata la canna della carabina all'altezzadell'occhiolasciò andare il secondo colpoche certo dovette aver ferito inpienopoichè l'animaleurlando più rabbiosamente di primasi rovesciò sulterreno e si contorse nello spasimo dell'agonia.

- Bello il primo e bellissimo il secondo! - esclamò il ducadi Marana. - Ci vedete di notte come gli uccelli di preda.

- Emulazione! - rispose Guido Laurenti. Voi di giornoazzeccate le mobili spire del cobra; io colpisco nelle masse più vistoseinmezzo alle ombre della notte. Non ero cacciatoresapete? Ma la necessitàpiùancora che l'occasionemi ha gettato sulle orme di Nembrot.

Il duca di Marana era impaziente di veder la tigreuccisacon tanta flemma dal suo amico Laurenti. Ma questi lo trattenne.

- Noaspettate; - gli disse. - Può avere ancora un fil divitaquanto basta per darvi una granfiata. E poibisogna vedere se non hacompagni. Chi ci assicura che non ne capiti un'altra? A bere laggiù cicaleranno in parecchie.

- Giustissimoaspettiamo; - disse Fernando.

E aiutò l'amico a ricaricare le armi. Gli uomini chedormivano al coperto si erano svegliati al rumore delle schioppettateepoichè appunto era giunta l'ora di cambiare la guardiaavevano preso il postodei loro compagni sui quattro lati del terrapieno.

- Andate a riposare anche voi; - disse Guido Laurenti. - dueore di sonno vi faranno bene.

- Non lo faranno meno a voiche sarete stanco della corsa; -rispose il duca di Marana. - Del restoio non potrei dormire. Sono geloso delvostro trionfo.

- Quand'è cosìbuona guardia; - ripigliò Guido;- vado ioa riposare.

E mandando i fatti compagni alle paroleentrò nellacasettanon tanto per dormirequanto per lasciare all'amico la sua parte digloria. L'andarsene dal posto d'onore in quel modoera anche una prova difiducia data a Fernandoche gliene fu molto grato.

- Bisognerà ch'io faccia attenzione per due; osservò eglitra sècome fu solo in vedetta. - E strano che io non abbia veduta subitoquella massa nera; e Dio sa sevedendolaavrei tirato così giusto come ilLaurenti! Con che tranquillità d'animo e con che sicurezza d'occhio me l'hadistesa a terra! Pareva venuto a bella posta per fare quel colpoe potrebbescrivere a casacome Giulio Cesare al senato di Roma: "venividivici". Vedrete che sarà ancora tanto fortunato da restar solo sulpiedistallo. Le tigri si terranno per avvisateed io non troverò più daammazzare la mia. Una tigreuna tigre! Il mio tesoro per una tigre!

Cosìmezzo per celia e mezzo sul seriosi lagnava il ducadi Marana. Nè lo ingannava il suo malinconico presentimento di cacciatoresfortunato. Nella notte si udirono ancora urli e brontolamenti di fiere; ma latigreo la panteratanto gentile da venirsi ad offrire come bersaglio a donFernandonon si trovò. Dico malene apparve unama troppo da lungied egliper timore di vedersela sfuggirele lasciò andare troppo presto il suo colpo.L'ombra nera sparìed egli non vide più nulla.

Anche gl'indiani ebbero occasione di scaricare le lorocarabinema senza frutto apparente. Tigri e pantere si tennero lontanedall'accampamentoindovinando che non avrebbero avuto buon giuoco lassù. Lerovine di Karma Vridi cangiarono di padroni. E i vecchi abitatori di quellasolitudine si ritiravano fremendo; non senza dispiacere del duca di Maranacheavrebbe desiderato da parte loro un po' più di contrasto.

- Voi lo vedete; - diss'egli la mattina a Guido Laurentiquando l'amico si fu alzato dal suo giaciglio; - non m'è riuscito di farvi ilriscontro. Anche dormendotenevate lontane le belve. Ma viaci vorràpazienza; andiamo a vedere la vostra vittima; siete così non curante dellavostra gloriada esservene anche scordato.

- Avete ragioneperbacconon ci pensavo già più; -rispose Guido Laurenti. - Andiamo a vedere la nostra visitatrice di stanotte. -

L'animale era làdisteso sul campoa centocinquanta passidal terrapieno. Veramenteera una tigre magnificasmisuratamente lungacon unbellissimo mantello a strisce nere; denti aguzzi d'avorio ed unghioni arrotatid'un bel giallo opacoche li faceva parer d'ambra.

- È un maschio. - osservò Guido Laurenti- e può avere daotto a dieci anni. Era proprio nel buono della sua forzae noi possiamovantarci di aver levato dal mondo un tristo soggetto. Almeno- soggiunse- sesi vuol ragionare con le idee del maggior numero. Come la vedete voiamicoFernando?

- Per me- rispose il duca- non fo differenza fra tigri eduominise non in questoche le tigri hanno un po' meno d'ipocrisia. -

E soggiungeva mentalmente:

- Io ne so qualche cosa. Vedeteinfatti; amo questogentiluomonon c'è che dire; darei la mia vitaper lui. Frattantonon soastenermi da un sentimento d'invidia contro il cacciatore fortunato. Sìdiciamo pure il cacciatore; quest'altro poco d'ipocrisia con noi stessi èveramente il sublime nel genere. -

 

 

X

 

Invidia e ipocrisia! Graziosi sentimentidirà il lettoreper un eroe da romanzo come il duca di Marana. Ma vogliate por menteamicolettorevogliate concedere e vogliate distinguere; sopra tutto distinguere. Sitratta di quantità; si tratta anche del grado di malleveria che può averci unuomonei pensieri che gli si affacciano alla mente. La chimicavedetehatrovato l'oro e il ferronella composizione del bipede in discorsocome ci hatrovato il fosforol'arsenicolo zolfoed altre diavolerie senza fine. Checosa ne possiamo noise siamo una drogheria ambulante? Merito nostrose acerte parti di noi non lasciamo prendere il vantaggio sul tutto.

Orail duca di Marana non era mica troppo contento diaverceli in corpoquei due sentimenti peccaminosi. Credete pure che essientravano per due terzi nel malumore con cui egli si presentava al saluto delsole. Il resto andava sul conto della vigilia prolungata; di cui intendevaricattarsi tra brevecioè dopo aver date le disposizioni opportune per metterea lavoro la sua gente.

Quanto a ritornarelo aveva detto: non prima di sera. Ilavori di sterro dovevano essere incominciati vigorosamente. Eglipoivolevacastigarsi un tantino di quella sua facilità infiammatoria che sapete; voleva…che cosa non volevail mio duca? Lì per lìdopo aver ricevute le notizie delSahibgarvoleva anche indugiare il suo incontro coi Lawson. E di questoindovinerete la ragione con molta facilità. Una donna che ci è piaciuta tantoe quantonon la vediamo volentieri in presenza di un'altra che ci turba glispiriti. In queste posizioni ambigue l'uomo ci si trova sempre impacciatoefinisce anche col mostrarsi ridicolo. Notate inoltre che Guidoparlando di missMaudgli aveva detto ridendo (ma anche ridendo si può dire una verità):"voi l'amate; voi l'amerete." E la signora Luisadal canto suosisarebbe forse astenuta dal dirgli: "avevate torto; miss Maud è una bellaragazza? "

Orail meglio che potesse fare il ducadi Maranaeraappunto di ritardare l'incontro. Anche a doverci cascareerano sempre otto odieci ore di confusionerisparmiate alla sua dignità mascolina. Perciòcomeebbe ripreso il suo ufficio di sopraintendente ai lavorisi volse all'amico egli disse:

- Non vorrete mica annoiarvi quassù? Tornate ai vostristudimio caro: io verrò questa sera.

- Che! - rispose Guido. - Non mi muovo neanch'io. -

Don Fernando inarcò le ciglia a quella escita di Guido.

- Stiamo a vedere che diventate un archeologo; - esclamò.

- Fate conto che lo sia già; voglio tenervi compagnia.

- Graziema almenola vostra tigre…volete che stia quia marcirea questi stelloni?

- Nocertamente; la manderò a casa più tardi. Ma noncapitebenedetto uomoche non c'è nessuna ragione di muoversi da Karma Vridiquando…

- Quandoche cosa?

- Quando il Sahibgar si muove luiper venire a questa volta.SicuroFernando; - proseguì il Laurenti ridendo dello stupore del duca; - voinon pensavate ad andare incontro ai vostri amici di Secanderabaded i vostriamici di Secanderabad sono a quest'ora in cammino per venire da voi. S'intendeche fanno una scampagnatae appunto per questo hanno accettato di restare ungiorno con noi. Ma la ragione ultimala ragione ultima qual è? Io credo chesir Giorgio Lawson sia innamorato di voi. Albione accarezza la Spagna. Scommettoche vuol cedergli… Gibilterra!

- Matto! - esclamò don Fernandoche non potè trattenersidal ridere. - E siete voi che lo dite… con tanta calma? Voi che trovate bellamiss Maud?

- Ah ah! Questa è una frecciata in pieno; osservò GuidoLaurenti. - Sareste gelosoper avventura?

- No; accennavo semplicemente un fatto.

- Quand'è cosìmettiamolo in chiaro a dirittura. Io holodata la bellezza di miss Maudin omaggio alla veritàe per vendicarla da ungiudizio ingiusto che ne avete voi dato l'altro dìvoglio credere per celia.Che cosa ci vedete di strano? Senza secondi finisi può riconoscere il belloanche fuori di casa propria. -

Il duca di Marana accettò per buono l'argomentoquantunquea dir verogli paresse un po' troppo da marito. I maritisi satrovano sempreil modo di conciliare le loro ammirazioni di fuori via con la mezza divozione alsanto di casa.

- Viva dunque miss Maud! - gridò egli allegramente. - Laloderò anch'iosenza secondi fini; perchè in verità non sarà lei che mifarà rinunziare al celibato. Che ve ne pare? Ecco una ragazza che ha trovatidue giudici molto imparzialifin troppo imparziali! Ella forse preferirebbe unalode più modestama assai meno indipendenza di cuore. Per fortunac'è unbiondo Lionelloche non si contenta di giudicarema mette anche la suaberretta nera ai piedi della cugina.

- Un bel giovinotto! - esclamò Guido Laurenti. - E voicredete…

- Credo quel che ho veduto. Non fa altro che covarladamattina a sera. La sposeràse Dio vuolee se la porterà a Calcuttadove hal'impiego

- Amense così vi piaceamico Fernando; - disseGuidoinchinandosi.

Erano le otto del mattinoe la squadra degli indianiche ilduca di Marana aveva mandata a Paravady per le provvigioninon era anchearrivata. Giunse in quella vece sulle novema cresciuta di numero ed'importanza. Due elefanti torreggiavano nel mezzoportando in groppa gli haodao sedie di galasu cui stavano seduti a due a due gli annunziati visitatori diKarma Vridi. Il duca di Marana ravvisò subito sul primo haoda le duedonne che gli dispiaceva tanto di vedere insiemeper quella astruseriapsicologica che vi ho detto poc'anzi. Nè gli dispiacque meno di presentarsi aloro con la faccia d'uno che aveva perduto la nottata. Ma ci voleva pazienzaeil meglio che potesse fare in quel punto era di muovere incontro alle dame.

Un po' tardiveramenteper fare il suo debito di cavaliereal montatoio. La signora Luisa scendeva per la prima; e Lionelloil biondoLionellobalzato già prima dalla groppa del secondo elefanteera statosollecito ad offrirle la mano. Si rivolse allora a miss Maudche smontava dopola signora Luisa; ma lìnella calcaGuido Laurenti veniva a trovarsi meglioimpostato di luiper cogliere la palla al balzo. Ed eglidopo tuttonon sificcò in mezzoper contendergli quell'onore. Che anzivolete sapere quel chefece? Andò più in là e si fece sotto al secondo elefanteper dar la mano asir Giorgioil qualeda buon diplomaticoscendeva con tutti i suoi comodi.

- Ohben trovatosignor duca! - gridò eglicon l'accentodi Archimedequando ebbe sciolto il suo famoso problema. - Ed anche moltocercato e desiderato! - soggiunse. - Bisognava proprio fare per voi il miracolodi Maometto.

- Venire alla montagnasir Giorgio; - rispose il duca. - Mapensate che la montagna non ne sapeva nulla; altrimentivi giuro che si sarebbeposta le ali al piede. Eh eh! che cosa ne ditedi questa montagna che vola?­

- L'immagine è ardita; - osservò sir Giorgio; - ma l'hoprovocata io e non posso lagnarmene. Ma sapetesignor ducache voi siete ilpiù irrequieto degli uomini?

- Perchèdi grazia?

- Perchè? C'è bisogno di dirlo? Giunto appena tra i vostriamiciprendete la via della jungla; uccidete i serpenti (perchè sappiamo anchequestadelle vostre impresee abbiamo veduta la vostra vittima)visitate imonumentie poi vi date alla macchia.

- Per amore dell'archeologia; - rispose don Fernando; - peramore dell'archeologiavi prego di crederlo. È l'unica scienza che il mioamico Laurenti mi abbia lasciatalui che sa tutto e di tutto si occupa.

- È un gran dottoil vostro amico; ha già uno studiomaravigliosoun vero museo. Gli proporremo di comperarglieloper arricchirequello di Londra. Mia figlia è rimasta incantata a vederlolei che è lascienziata di casa. Ma parliamo di voi; che cosa contate di trovarefrugando inquelle rovine?

- Il terzo avatara di Visnù; - rispose gravemente il duca diMarana.

Don Fernando diceva la verità. Non si poteva giungere alsotterraneosenza trovare il bassorilievo del terzo avatara di Visnù.

- Diamine - esclamò sir Giorgio. - Ed è per un terzoavatarache lasciate gli amici? Benedetti gli archeologi! Ma giàtutti igusti son gusti.

- Non sa nulla del tesoro; - pensò don Fernando tra sè.

Indiprese a difendersi dalla celia del suo amico sirGiorgio. Il terzo avatara di Visnù non era senza importanza. Nessun museod'Europa ne possedeva una immagine. Era anche rarissimo in Indiadove il cultodi Sivadel Mahadevacome era comunemente dettoera sottentratomercè laviolenzaa quello di Visnù. Eglidon Fernando Solisduca di Marana y Cuevaera un viaggiatoreun giramondoun ebreo errante; ma a che servirebbe unviaggiatorese non cercasse di rendersi utile in qualche modo alla scienza? DonFernando Solisduca di Marana y Cuevane chiamava giudice il suo buon amicosir Giorgio Lawsonresidente britannico a Secanderab. Era permesso ad unviaggiatoreche non volesse parere un pazzo sconclusionatoera permesso ditrovarsi in Indiadi supporre che sotto un mucchio di rovinea poche migliadiscosto da luici fosse un terzo avatara di Visnùsenza andarlo a cercaresenza tentare il colpo di recarne un esemplare in Europa?

Queste ragioni persuasero sir Giorgioche del resto parlavaper celiavolendo fare una dimostrazione della sua amorevolezza pel duca diMaranasuo ospite di pochi giorni addietro.

- Intantoci siete mancato iersera; - diss'egli. -L'annunzio della vostra fermata in questo deserto è stato un vero disastro perla società di Paravady.

- Ma sì- entrò a dire la signora Luisache don Fernandoaveva ossequiata poc'anzima senza poter guizzare di mano a sir Giorgio- visiete fatto molto desiderareiersera.

- Signora miaquale onore! - balbettò don Fernando.

La signora Luisa diede in un allegra risata.

- Con che aria lo ditesignor duca! Per casoin questepoche ore di lontananzasaremmo noi diventati semplici conoscentidarimetterci così in cerimonia? -

Il duca di Marana avrebbe voluto dirlo luio almenolasciarlo trapelare con due parole un po' calde quel che era diventatoe inpochi giorni di dimora a Paravady. Ma la signora Luisa aveva sempre al fianco ilvezzoso Lionello Edgeworthche pareva essersi costituito suo cavaliere pertutta la giornata.

- Maledetto inglesino! - borbottò don Fernando. - O perchènon va al suo postopresso la cuginetta?

La cuginetta andava in compagnia di Guido Laurenti. Eragiusto che il padrone di casa facesse il cavaliere alla dama forestiera; epoichè lady Evelina non si era mossa da SecanderabadGuido non potevadicevolmente che accompagnare miss Maud. Per controsir Giorgio avrebbe dovutodare il braccio alla signora Luisa. Ma che cos'era invece avvenutoe proprioper colpa di don Fernando? Che il braccio di sir Giorgio era andato anoleggiarselo luie Lionello Edgeworth aveva colta l'occasione per cacciarsiavanti con la signora. A farlo a postanon poteva andar peggio.

Visitando il campo di Karma Vridisi era giunti davanti allatigreche alcuni indiani stavano coprendo di fraschein attesa di portarla alSahibgar. La vista di quell'animaleche era certamente tra i più grossi e ipiù begli esemplari della sua speciedestò l'ammirazione di tuttima piùspecialmente di miss Maud.

- E chi l'ha uccisa? - domandò la fanciulla.

- Vorrei dirvi che l'ho uccisa io; - rispose don Fernandocon aria malinconica. - Ma in veritàl'ha uccisacon due colpi maravigliosiil mio amico Laurenti.

- Come? - gridò la signora Luisa. - La tigre lo avevaaspettato proprio lui?

- Pare di sì; forse io non le ero sembrato un degnoavversario. -

E quifacendosi un obbligo di raccontare ogni cosa chetornasse ad onore dell'amico Laurentinarrò appuntino tutti i particolari diquella caccia notturna. Miss Maudchecome sappiamo da suo padreamava leforti commozionilo stava ad udire con molta attenzionee il piacere cherisentiva dal racconto di don Fernando le si leggeva negli occhi.

- Il guaio è stato proprio questo- conchiuse il duca-che il mio amico Laurentigiunto a tempo per ammazzare la tigrenon me ne halasciata un'altra per mo' di consolazione. Quando egli è andato a dormirehopure avuto il destro di fare un colpoma pur troppo inutilmente.

In quel mentregiungeva Berarin compagnia di quattrouomini che tornavano da attinger acqua.

- Sahib Marana- diss'egliavvicinandosi al duca-laggiùverso il torrentesi vedono i sassi macchiati da una striscia disangue.

- Uomo di poca federicredetevi! - esclamò Guido Laurenti.- Avete colpita la vostra tigre anche voi.

- Ma essa è fuggita; - notò don Fernando. Ed anche questoaiuta a provare che io non son nato sotto una buona stella. Ad ogni modoamicoBerar- soggiunse eglirivolgendosi all'indiano- sii ringraziatoper la tuabuona intenzione.

- Non è una buona intenzione; è una notiziami pare; -osservò sir Giorgio. - Andiamo a vedere la traccia del sangue. -

La comitivaseguendo l'invito di sir Giorgioandò tuttaverso il torrente. Era il meno che si potesse fareper consolazione del duca diMaranacavaliere sfortunato con le tigried anche un pochino con le donne.Videro il sangueond'era chiazzato per una lunga striscia il sentierofino almargine dell'acquadove se ne era formata una piccola pozzae dove il terrenoappariva anche tormentato dalle unghie di una fiera.

- Si potrebbe passar l'acqua e andare sull'orme; - disseBerar. - La tigre sarà andata a morire in quei boschi laggiù.

- O a guarirci: - aggiunse il duca di Maranadando un'alzatadi spalle. - Lasciamola guarire e ridere dei fatti miei.

- Le tigri non ridono; - osservò ingenuamente miss Maud.

- È verosignorina; c'è al mondo un solo animale che ridee questo animale io debbo rappresentarlo degnamente. Vedetecome rido? Eadessosignore miecol loro permessovo a fare l'archeologo. La pianta delprospetto del tempio è già allo scopertoe voglio in giornata rinvenire lalinea delle navate. -

Signore e cavalieri seguirono il ducaper dare un'occhiatacuriosa a quelle rovine che tanto gli stavano a cuore. Miss Maudche eracomesappiamo da suo padrela scienziata di casa Lawsonvolle conoscere la storiadi Karma Vridi.

- Raccontatela voiGuidoche sapete ogni cosa; - disse ilduca di Maranache non poteva disfarsi del suo malumore.

- Non ogni cosa- rispose Guido con la sua calma consueta-ma questo brano di storia sìper contentare la signorina. -

E preso l'aire da un sorriso della bella inglesinaGuidoLaurenti narrò la storia di Karma Vridicome l'aveva risaputa egli stesso dalvecchio Lacmanama senza entrare nella faccenda del tesoro nascostocheavrebbe forse fatto ridere i Lawson ed anche il vezzoso Lionello Edgeworth allespalle di don Fernandoche sopraintendeva frattanto con molta dignità agliscavi del tempio. L'archeologia è una passione seriae da potersi confessareliberamenteanche davanti a coloro che l'hanno per una vera mania. La passionearcheologica salvava adunque le apparenze con gli ospiti; senza contare che nonsarebbe stato prudente di accennare alla possibilità di trovare un tesorodestando le cupidigie di qualcheduno tra que' braccianti indianiche potevaanche intendere alla meglio il franceselingua diplomaticausata dai nostripersonaggi nella loro conversazionedirò cosìinternazionale.

Dopo la storiavenne la colazionefatta all'aperto e conuna allegria veramente campestre. Non potrei giurarvi che il duca di Marana vipartecipasse molto; ma giàlo sapetedon Fernando per quel giorno brillavapochino. Solita disgrazia dei malcontentie di coloro che hanno perduta lanotte.

Vi ho detto che lady Evelina non si era mossa dalla residenzadi Secanderabad. La brava signorasul punto di mettersi in viaggioera statapresa da un po' d'emicrania. L'invio della figliain compagnia del babboteneva luogo d'una visita della padrona di casa; e babbo e figlia potevano direai Laurenti come una loro visita un po' lunga alla residenza fosse aspettata condesiderio da lady Evelina e da loro. La signora Luisa promisee suo marito delpari.

- Noi potremmo fare una cosa bellissima; aveva aggiunto sirGiorgio. - Siamo due famigliedue sentinelle perdute dell'Europa in questasolitudine indianae viviamo a poche ore di distanza l'una dall'altra. Non visembra che sarebbe bene di vederci spesso?

- Sarebbe una fortuna per noi; - rispose Guido Laurentichenon poteva onestamente rispondere diverso.

- Ogni settimanadunque; vi pare? Ma intendiamoci; una voltanoi altri da voia Paravadyun'altra voi alla residenza di Secanderabad. -

Come dire di no ad una offerta così gentilmente fatta? Lasignora Luisa assentì col capoe Guido Laurenti con la vocealle condizionidi sir Giorgio. Quella convenzione del gentile diplomatico inglese si chiamòcon un nome abbastanza sonoroil trattato di Karma Vridi.

Il duca di Marana vedeva stringersi frattanto i vincoli diuna grande intimità fra miss Maud e la signora Luisa. Erano sedute ambedueall'ombra della sua casae formavano un quadro delizioso. Belle ambeduemad'una bellezza diversa; bruna l'italiana e bionda l'inglesequella più floridaall'aspetto e più efficace nell'espressionequesta più snellaquasi acerbama promettente la parte sua; insommache vi dirò? due leggiadre figuredacontentar tutti i gusti; ed anche da far perdere al duca di Marana quel po' dicervello che ancora gli restava. Figuratevi! Lionello Edgeworth da una parte eGuido Laurenti dall'altral'uno per foga di gioventùl'altro per debito dicortesiasi tenevano ai fianchi delle damele avevano come a dire impegnate. Ea lui non restava di libero che sir Giorgio; un amico eccellenteun diplomaticorispettabile; ma un uomoahimènient'altro che un uomo.

Ci avete badato mai? Qualche voltasenza ragioni apparentie quasi per arcana potenza divinatoriail cuore vi avverte di ciò che si pensae si prepara dintorno a voi. Sembra allora che gli uomini vi diventinotrasparentiper modo da lasciarvi scorgere i fili nascosti che li fanno muoverein questo senso o in quell'altroe sarei forse per dire le intenzioni chedànno moto a quei fili.

Oraal duca di Maranaposto dal caso in quella condizionepsicologica che vi ho dettoparve proprio di vedere quelle intenzioni e queifili. Quanto a Lionello Edgeworthveramente non c'era nulla da indovinare.Lionelloardente di tutto il fuoco della sua gioventùaveva presa una cottaimprovvisa per la signora Laurentie di ciò poteva accorgersi don Fernandoanche senza gli avvertimenti misteriosi del cuorecome avrebbe potutoaccorgersene miss Maudse nulla nulla si fosse data pensiero del suo belcuginetto. Ma se ne accorgeva la signora Luisache era l'argomento di tantepremurela meta di tante ingenue adorazioni? Sì certose ne accorgevamaaveva anche l'aria di non prenderle sul serio.

Una donnasegnatamente quando abbia dovuto farcil'abitudinenon dà più una particolare importanza a certi omaggiche sonouna conseguenza necessaria della sua bellezzae spera sempre (tanti ha potutoconoscerne alla prova delle chiacchiere) che anche il più recente de' suoiadoratori si raffredderà a mano a manosmetterà le sue pretensionid'innamoratoper diventare un amico. S'intendequando costui meriti d'essereaccettato come tale. E al duca di Marana sembrava appunto che la signora Luisala vedesse cosìe pel biondo Lionello e per lui. Anche per luisicuramente.Don Fernando si metteva in ispirito al posto di Lionellofaceva le sue medesimesciocchezzee gli toccava la medesima sorte.

Ragione per non farledirete. E don Fernando si promettevaappunto di non cascare nella imitazione di quel ragazzo inesperto. Ma intantosoffriva di vederlo làtutto inteso a piacerle; e soffriva non menopensandoal futuro e non vedendoci chiaro.

Ma che cosa faceva in quel mentre il suo ospitel'indianistaLaurenti? In primo luogonon badava affatto alle smancerie del signor Lionello.Giàera sempre luifreddino parecchiononcurante della moglie. Di che cosasi sarebbe egli ingelositose non poteva più sentire la gelosia? Felice amico!E come la signorina Maud era tutta gentilezza per lui! Badatenon c'era nulladi esagerato nel loro contegno scambievole; a tutta primae senza sofisticarcisusi poteva credere che fosse compitezza di buon cavaliere da una parteestima dall'altracome poteva averne una ragazza per beneamante dei forticaratteri e delle forti commozioniper un uomo della tempra di Guido Laurenticosì candido e gentile nella sua gravitàcosì modesto nella sua dottrina enel suo coraggio. Ma non per nulla il duca di Marana aveva al suo servizio quelraggio di luce che dovea rischiarargli le fibre più riposte dei cuorie andavasicuro dietro a quel raggiocome il popolo d'Israele dietro alla sua colonna difuoco. Guido Laurentiper luiera rimasto colpito dalle grazie giovanili dimiss Lawson. Infinenon l'aveva trovata bella? E miss Lawson andava invisibilio per Guido. Non poteva essere altrimentiper un uomo che lì per lìtra la conversazione della sera e il saluto della mattinaaveva uccisa unatigre. Un uomo che ha uccisa una tigre ha sempre buon giuoco con le donne.Forsediranno i malignic'è in esse un pochino di spirito di corpoche leconsiglia a far le vendette d'una povera estinta. Perchègiàanche il belsesso ha i suoi detrattori.

Comunque siaeccovi il duca di Marana con un diavolo perocchio. Vedesse bene o male in quel puntoil fatto era questoche don Fernandosi trovava fuori del ballofaceva da comparsa insieme col suo amico sirGiorgio. Forse s'ingannavae tutte le sue fisime non avevano altro fondamentoche il malumoreconseguenza di una notte perduta. Ma infineci vuol pazienza;quando si hanno le lunebisogna portarne la penasfigurando al confronto deglialtri. Brillar pocosi saè proprio delle lune. E per quel giornodonFernando non brillò affatto; egli cavaliere perfettocosì amabilecosìgalantecosì argutoquando si sentiva libero di cuoree quando avevadormito.

Si era allontanato dalla comitivaper attendere agli scavi.La sua gente lavorava di buona vogliae quel punto delle rovine a cui egliaveva rivolta ogni sua curaincominciava a scoprirsi. Ma erano tutti massiammonticchiatiin mezzo ai quali si capiva poco o niente della struttura anticadel tempio; le colonne (se pure erano colonnee non pilastri di fabbrica)dovevano essere sepolte sotto parecchi metri di rottami.

Ora l'uno ora l'altro personaggio della brigata andava a fareun po' di chiacchiera con lui; ma più di tutti sir Giorgio. Aveva uno scoposir Giorgio? Sì e no. I babbi ne hanno sempre uno e non vanno mai con la testaper aria. In fatto d'occasioniogni lasciata è persae i signori babbi non nevogliono perdere alcuna.

Miss Maud si trovò per un istante sola con lui. Era tantocarinacon quel suo cappellino biancoche velava appena di un'ombra leggierala sua carnagione tutta latte e sangue!

- Ha ragione Guidoquesta ragazza è bella; disse tra sèdon Fernando. - Ma egli ha torto a invaghirsenetrascurando sua moglie. Checosa? Dove può condurloquesto capriccio? Oh bella! Forse che un uomo cipensaa queste cose? Ed iodi grazianon… Ma eccoil mio caso è diverso…Io…-

L'avvicinarsi della signora Luisa gli ruppe il filo delragionamento. E fu davvero un peccatoperchè ne avremmo sentite delle belle.

- Adessovengono. - borbottò don Fernando. - Bisogneràmetter su musoper vederle capitare?

Intantovolgendo gli occhi alla donna gentilesalutò lasua venuta con un mezzo sorriso.

- E così? - disse la signora Luisa; - immobile comeNapoleone sullo scoglio di Sant'Elena? -

Don Fernando si avvide soltanto allora che stava duroimpalato al suo postocon le braccia intrecciate sul pettoe rise suo malgradodi quel paragone che gli andava proprio a capello.

- Signora miaperdonate; - diss'eglilasciando prontamentequel suo atteggiamento statuario; questi ruderi mi danno tanto da pensare! Diosa quanti giorni ci vorrannoper giungere a capirci qualche cosa.

- E a trovare il terzo avatara di Visnùnon è vero? -chiese la signora Luisaappoggiando la frase con un sorrisetto malizioso. - Mase è stato dugent'anni sepoltonon c'è niente di male che ci stia ancora duemesi. -

La signora Luisaevidentemente conosceva la storia deltesoro; nè il duca di Maranadoveva maravigliarsene. Del restoil pensiero didon Fernando aveva ben altro da fare in quel punto; per esempioda fermarsi conuna certa compiacenza su quell'accenno a due mesi di lavoroche supponevano duemesi di vita comuneproposti con tanta naturalezza dalla donna gentile.

L'intenzione poteva esserci e non esserci; ma a don Fernandopiacque di vedercela. Si crede così facilmente tutto quello che si desidera!

Per altrodon Fernando non credette opportuno di rilevareapertamente un significato così amorevole per lui.

- Due mesi - esclamò invececon aria malinconica. - Sarebbeveramente un po' troppoper la mia impazienza. Non sapetesignora? Ioquandofaccio una cosaci metto l'anima. Il desiderio di riuscire è come un fuocointerno; e il fuoco brucia.

- Sta bene- rispose la signora- ma non occorre chedivampi. Il divampare è proprio dei fuochi di paglia. -

Che cosa voleva dire la signora Luisacon quel paragone? DonFernandoche aveva incominciato a vedere i sensi ripostinon poteva resisterealla tentazione di vederne un altro nelle ultime parole di lei. Fu per guardarlain visoma non ne ebbe il coraggio. Giànon aveva dormitoe temeva di avergli occhi rossi.

La lontananza delle signore dal terrapieno aveva fattomuovere anche i cavalieri verso le rovine. Miss Maud si era accostata a Guido eal cugino Lionelloper invitarli a vedere un masso che recava qualche tracciadi scultura. A Guido sembrò di potervi riconoscere un pezzo del fregio chedoveva correre sull'ingresso della navata maggiore.

- Prendete dunque la cosa con calma; - proseguiva intanto lasignora Luisa. - E frattantointendiamoci sul d'un punto. Voi non contate micadi restare un'altra notte a Karma Vridi?

- Novengo stasera di certo.

- Perchè stasera e non subitocon tutti noi?

- Veramentela casa ha bisogno di qualche altro lavoroperchè sia un asilo sicuro nella notte. Vedete? È appena imbastita.

- Lasciate i vostri ordini a Berar. Cinquanta uomini possonofar moltoin cinque o sei ore di giorno. Voi qui non ci fareste altro che starea vedere. Fate meglio; venite in giù per il pranzo. Scusatedon Fernandoviparlo come ad uno della famiglia….

- Mi fate onore; così amo di essere trattato.

- Vedete- ripigliò la signora- abbiamo degli ospiti.Sono venuti per noilo ammettoma siete stato voil'introduttorel'anello dicongiunzione.

- È verissimo.

- Fate dunque il vostro ufficio di anello; - conchiuse ellaargutamente. - Non è neanche ben fatto lasciar così miss Lawson. -

In tutt'altra occasioneun simile accenno avrebbe destatal'ilarità di don Fernandoed egli avrebbe soggiunto che a miss Lawson nonmancavano certo i cavalieri. Ma appunto l'immagine dei cavalierie di certicavalieriaffacciandosi allo spirito di don Fernando gli fece balenare unsospetto. Che la signora vedesse di mal occhio l'assiduità di Guido presso missMaud? Don Fernando non istette a cercare più addentroe rispose con moltagravità:

- Avete ragionesignora. Do le mie istruzioni a Berar e sonoagli ordini di Vostra Mercede. -

Sapete già che il nostro spagnuolo amava tradurre così l'Usteddi uso tanto comune nella sua lingua natale

 

XI

 

Questo di abbracciare la causa delle mogli e di sposarne legelosieè un caso abbastanza naturale nei vaghegginianche quando sonoinnamorati per davveroo credono d'esserlo. Spesso il secondo fine non c'entra;ma il fatto sta che si accetta volentieri quella specie di complicità moraleche assume i caratteri della giustizia. Il cuore ha le sue brutte piegheel'amoreche ci mette casa per entrosi adatta più facilmente che non si credaalle viltà del cuore. Tutto sta a cominciare.

Ma veniamo a noi. Era proprio vero che la signora Luisapensasse a quel modo? A luisul momentobastava di crederlo. Non avete vedutocon che strana facilità il duca di Marana tirasse ogni frase a dire quel chefaceva comodo a lui?

E intantospiegate quest'altra novità. Non gli dispiacevapunto miss Maud. Quando si trattò di salire in groppa agli elefantiperritornare a Paravadytoccò a lui di tener compagnia alla bella inglesina. Conlei si sentiva più franco. Non gli pareva neanche di aver gli occhi rossionon se ne dava pensiero. Non gli tornava molesta neppure la compagnia diLionello Edgeworth; che anzigodeva di averlo al suo fianco per l'intierotragitto. Ed era naturale; stando con luiil vezzoso Lionello non era accantoalla signora Laurentie non lo seccava con le sue svenevolezze da bambino.

Ecco in che modo erano andate le cose. La signora Laurentinel muoversi da Karma Vridiaveva preso il braccio di sir Giorgio. Guidochestava appunto chiacchierando con sir Giorgiosi era trovato necessariamenteimpegnato nella compagnia di sua moglie. E il vezzoso Lionello era rimastofuorinon restandogli più altro che di adattarsi alla compagnia della biondacugina; alla qualeper quel principio di complicità che sapeteil duca diMarana si era affrettato ad offrire il suo braccio.

- Non ha voluto saperne del signor Edgeworth; - pensò eglinotando l'atto della signora Luisa; - segno evidente che era seccata dalle suesmancerie.

Altra osservazionenon meno profonda della primafu questa:

- Guido è in compagnia di sua moglie. C'è rimasto perobbligo. In veritàsarebbe stata grossase egli l'avesse piantata con sirGiorgioper correre al fianco di miss Maud. -

Il duca di Marana non pensava punto alla spiegazione piùnaturaleche un po' di corte a sir Giorgioun padrone di casa doveva anchefarglielain un momento della giornata; chequanto a miss Lawsonnonoccorreva andare a tenerle compagniamentre c'era già un altroconsiderato aragioneper rispetto ai nuovi venuticome uno della famiglia.

Veramentele due donne avrebbero potuto andare insiemecomeerano venutesul medesimo haoda. Ma d'altra partee appunto perchècosì erano venuteera proprio necessario che così dovessero ritornare? Einfinetutto ciò che a lui pareva così sottilmente architettatonon potevaesser l'opera del caso?

Notateinoltreche questa separazione delle due donne eraappena appena osservabile. Gli elefanti andavano l'un dopo l'altroa pochipassi di distanza. Sul primo era miss Maud e sul secondo la signora Laurenti;ordine di marcia che non faceva molto comodo a Lionello Edgeworth. Ma il vezzosogiovinotto seppe rimediare a quel piccolo guaiovoltandosi indietro più spessoche poteva e non occupandosi affatto della sua cuginetta.

Se ne occupò in quella vecee moltissimoil duca diMarana. Don Fernando non aveva mestieri lì per lì di mandare occhiatelanguidamente assassine alla signora Laurentipoichè immaginava di servirlaanzi di farle piacererivolgendo la sua attenzione a miss Lawson. Era uncomplicenon lo dimenticate; almenosi figurava d'esserloe operava inconseguenza di quella sua opinione. Se lo aveste vedutoche cavaliere di garbo!Era altrettanto amabile alloraquanto si era mostrato malinconico e scontrosoper una parte della giornata.

Cosìfacendo il debito suo di cavaliere con miss Maudgliparve di scorgere che la fanciulla era con lui nè più nè meno di quello cheera stata a Secanderabadanziper notare ogni cosadi quello che era stataquella mattina con Guido; cioè a dire molto schiettamolto ingenua nelle sueespansionirese più originali e più care da quella certa rigidezza che noivogliamo vedere qualche volta nelle giovani inglesi. Non si lagnino le inglesi;il duca di Maranauomo di buon gustorese loro giustizianella persona dimiss Maud.

- Sarebbe proprio un peccato- pensò egliche una ragazzacosì savia e gentile toccasse in sorte a questo sciocco di suo cugino! Perchèviabisogna esser giusti. Non esserne invaghitista benequando si hannoaltri pensieri pel capo; ma quel che ènon si deve sconoscere. -

Miss Lawson non ebbe nessun ritegno a parlare di Guidoe sirallegrava di averlo conosciuto finalmente da vicinoquel giovine signoredicui si ragionava tanto a Secanderabade il cui nome correva su pei giornalidell'India inglese; gli aveva finalmente parlatoa quell'uomoche era cosìdottosenza bisogno di prender tabacco; a quel viaggiatoreche spendeva cosìutilmente la vita. In questo miss Lawson aveva tutte le idee della sua razza;per leicome per ogni buon figlio d'Albionela vita doveva essere spesaoperandoemeglio che in ogni altra maniera d'operein quelle che vogliono ilmotostimolando tutte le energie della mente e del corpo. Una fanciulla diquella fatta non avrebbe amate le donne operose all'italianacioè a direpoetesse; al più al piùle avrebbe tollerate romanzierea patto che i lororomanzi mirassero ad un intento umanitariocome quelli della Beecher Stoweomoralecome quelli di miss Cumming. Ma più delle scrittrici di amenaletteraturale piacevano le scienziatecome Maria Somervillee leviaggiatricicome Ida Pfeiffer. C'era un briciolo d'uomoin quella giovinetempra di donnae le conferiva un certo garbo particolare. Vedete che elogioper gli uomini! Ma io l'ho fatto senza intenzione.

Il duca di Maranapreso l'aire dalle confessionidell'ingenua creaturasi abbandonò ad una di quelle corse matteche erano ilsuo forteo il suo debole; secondo vi piacerà di credere.

- Sicuramentemisssicuramente; - diceva egli; - cosìdovrebbero essere tuttiuomini e donneuna processione continua in questavalle di lagrime. Che cos'èpoiquesta fissazionedi volersi tappare in uncantuccio di mondo? La capireise si trattasse di viverci soli e malinconicicome i santi nella Tebaide. Ma noci si vuol vivere in compagnia di centomilapersone. Che gusto c'è? Intendo il filosofo Diogene che si ritirò in una bottevuotae il duca di Clarence che si affogò in una botte piena; ma anche questenon sono altro che conseguenze del vivere ristretto per anni ed anni in unapiccola parte del globo. E poi gli uomini si lagnano della prigione! Che cosa èuna cittàponiamo anche di cinquecentomila abitantise non una prigione piùvasta delle altre? Dopo un mese di soggiornosi conoscono tutti gli angoli etutti i bugigattolicome si conosce il fondo delle proprie tasche; si fa allegomitate con tutti i compagni di penae si patisce per avere un posto migliorein questa distribuzione non nuova nè piacevole di lavori forzati. Mettete gliaguzzini alle portein luogo dei gabellierie dichiaratela galera; è come dirzuppa e pan molle. -

Miss Maud diede in uno scoppio di risa a quella pittura dellecittà d'Europae mise in mostra i suoi trentadue denti. Aveva la bocca grandema bellae poteva ridere senza paura.

- Mentreinvecea girar sulla faccia del globo- proseguìdon Fernando- quest'aria di rinchiuso non c'è. Andar moltoposar pocoappena quel tanto che basti ad appagare le nobili curiosità dello spiritoèquesta la vita. Ogni figura nella sua lucedicono i pittori; ogni cosa sotto ilsuo cielodico io. Se fossi uno scrittorenon farei due libri in un luogopertutto l'oro del mondo. Ma pur troppo non sono che un viaggiatore sconclusionatoe porto il mio ozio attornocome il merciaiuolo le sue cianciafruscole allafiera.

- Scavate le rovine di Karma Vridi; - notò miss Maud; - edè già una bella cosa.

- Sì; e poi? Quando avrò rimessi in luce otto o dieciframmenti di scultura braminica?

- Farete dell'altro; andrete a cercare un altro monte dirovine. Ioper esempio….

- Ah sìsentiamo che cosa fareste voisignorina.

- Io cercherei una città a dirittura; - rispose miss Maud. -La vostra ripugnanza contro le città vive non giungeràio sperofino a farviodiare le morte.

- Nocertamente. Vi dirò anzi che di queste ultime io amoimmensamente gli abitanti. A Pompeiper esempiomi sono innamorato deipompeiani. Che brava gente! Non litinon discordieuna pace ammirabile! SePompei non fosse stata dissotterratavorrei disseppellirla io. Ci sarebbe lasua vicina Ercolanodi cui troppo poco è ritornato alla luce; ma la poverinaci ha un paese nuovo sullo stomacoe le case dei moderni guastano ogni disegnoa chi voglia rimettere in vista le antiche.

- Andate in Grecia; - osservò miss Maud. - Laggiù avrete lemani più libere.

- Per la solitudinecapisco; - ripigliò il duca di Marana.- Ma di graziasignorinavolete proprio mandarmi in Grecia?

- Io no; dicevo così per dire; - rispose la fanciullaridendo. - Mi avete chiesto: "E poi?" ed io vi ho detto: "fatedell'altroandate a cercare un nuovo monte di rovine". È una bella cosail cercarespecie quando si tratta di ricostruire il passato.

- Ciò consola del presente; - osservò don Fernando. - Anchequesta è una considerazione filosofica che ha la sua importanza. Nondimentichiamo neppure che la curiosità dell'archeologose per un verso riesceutile a pochiper l'altro non fa male a nessuno. Vi obbediròsignorinaandrò in Grecia; - proseguì il duca di Maranacontinuando una celia che loaiutava benissimo a tener vivo il discorso; - vedo già la mia vocazioneequesta di Karma Vridi è per me la via di Damasco. Sarò un archeologo coifiocchi; scaverò OlimpiaItacaTroiaPersepolifacendo in ogni stazione ilmio piccolo at homeda piantar lìa cose finite. La mia smaniagirovaga avrà in questo modo la sua utilità. E vi manderò da ogni stazioneuna memoria abbastanza noiosa delle mie scoperteva bene così?

- Ci conto; - disse miss Maudmostrando un'altra volta itrentadue denti che sapete.

La via di Damascofrattantoera stata corsa fino al suoterminee l'attico del Sahibgar appariva dal colmo delle magnoliedavanti agliocchi dei viaggiatori. Il duca di Marana ne fu quasi dolente. Quellaconversazioneintessuta di sciocchezzenon lo aveva punto annoiato.

- Ecco una donna che farebbe per me; - pensava eglimentrel'elefante si fermava davanti all'ingresso del ponte. - E mi capita quimentresono innamorato di un'altra! Giàsuccede sempre così. Vivete un anno nellapiù profonda tranquillità di cuore; ed eccoa mala pena vi siete invaghito diunasubito ve ne cascano due sulle braccia. È proprio vero che la poligamiamoralmente parlandosia lo stato naturale del cuore?

Fatta questa riflessionesi fermòcome stupito della suamedesima audacia.

- Ohèdove vado? Mi confesso di due amoricome se questaragazza mi avesse presa una parte di cuore. E sìdopo tuttomi piace. Chec'è di strano? Mi piacciono tutt'e due. Luisa ha la palmasi capisce;quest'altra ha un ramoscello di mirto. -

Quel riscontro d'immaginivenuto così naturalmentelo feceridere.

- Ben detto - esclamò dentro di sè. - Con una frasel'uomoaggiusta ogni cosa.

Intantomesso il piede sul ponticello di legno che pendevadal fianco dell'elefantesi calò a terra e offerse la mano alla sua compagnadi viaggio. Per quella volta Guido Laurenti non c'era a rubargli il mestiere.Quanto al signor Lionelloegli saltava dall'altra bandalesto come unoscoiattoloper andare ad aiutar la discesa della signora Laurenti. Ilgiovinotto aveva presa così poca parte alla conversazioneche il suo abbandononon fu neanche avvertito. E mentre lo scoiattolo scendeva da una partelagazzella (vedete che gentilezza di paragone!) la gazzella balzava allegramentedall'altra.

Quella medesima sera il residente britannico avrebbe volutoritornare a Secanderabad; ma i suoi ospiti lo trattennero con tanto amorevoliparoleche egli si lasciò persuadere. Era una visita in campagnala sua; delrestoniente obbligava sir Giorgio a riprendere la via della residenzadondenella mattina aveva ricevute notiziee dove poteva spedire un messaggeroconl'annunzio di quell'altra fermata.

- Resteremo- diss'egli- ma ad un patto; che la visitavostra a Secanderabad sia più lunga della nostra. AltrimentiEvelina non miperdonerebbe questa assenza prolungata. Faremo in modo che il tempo non abbia aparervi troppo lungoin riva all'Hussein Sagar. -

Non è da credere che Guido Laurenti accogliesse con giubilol'idea di passare due o tre giorni fuori del suo nido. Ma non si potevarispondere all'invito dei Lawson altrimenti che con una pronta accettazionespecie dopo che essi avevano mostrata tanta compiacenza coi padroni delSahibgar. E la risposta di Guido apparve l'espressione del più vivo desideriod'un maritoche coglie volentieri il destro di far divertire sua moglie.

Don Fernando pensò invece che al suo amico Laurenti fosserovenuti a noia i duetti e che un pezzo concertato gli paresse la man di Dio;tanto più se in quel pezzo avea parte miss Maud. Briccone d'un Laurenti! Epensare che cinque anni addietro!.. Mah! Mutano i saggi. E quel saggio gligirava maledettamente nel manico. Ne volete una provada aggiungere a tutte lealtre che don Fernando aveva raccolto? Miss Maudquella mattinaera andata invisibilio per la tigre uccisa da Guido Laurenti. Or benequella seramentre sifaceva il chilo nel boschetto delle magnolieGuido Laurenticacciatorefortunatoinvidiato e lodatooffriva la pelle della sua tigre a miss Maud.Gliel'avrebbe portata luia Secanderabaddebitamente conciata e foderata dirossocon le sue unghie in bella mostra sui margini.

Anche le unghie! Ma non era da piantargliele addosso a luile unghie? E la signora Luisa udiva e taceva! Anzi peggioudiva e sorrideva! Magiàche cosa ci possono fare le donnequando l'amore se ne va? Ed anche leinon doveva essersi raffreddata parecchio?

Per tutto il rimanente della giornatanon ci fu più versopel duca di occupare un posto presso le signore e di volgere a sè tutta la loroattenzione. Lionello Edgeworthper incominciare da luisi trovava sempredov'era la signora Luisaimportunoseccantemolestopeggio delle moschequando vi pigliano di mira un orecchioo la punta del naso. Le mosche sicacciano in cento modie almeno per qualche minuto riuscite a levarveled'attorno: gl'importuni no; specialmente in societàdove la buona creanza nonpermette di prenderli a scapaccionisono essi che vi mettono fuori.

Anche miss Maud era tornata a ragionare molto volentieri conGuidoda cui si faceva raccontare la storia dell'India braminicacome si puòricavarla dalle sacre leggende; storia idealesenza datee quasi senzadivisioni d'epochema abbastanza chiara nel suo complesso e grandiosa. Ifilosofi amano questo genere di storie anche più delle altrepoichè esselasciando da parte le preoccupazioni cronologichefatte solo per confondere lamemoria e fuorviare il giudizio nelle quistioncelle minutevi danno come unfilo conduttorein quel laberinto che è l'antichissima vita di un popolo.

Ma il duca di Marana non era un filosofonè per quel giornose la sentiva di fare il dilettante. Perciòimmaginate come si annoiasse aquella esposizionein cui il suo amico ed ospite mostrava di compiacersi tantoe di cui miss Lawson non perdeva una sillaba.

Dove si trovano solamente due donnestanno male tre uomini;meglio varrebbe per loro esser quattrodiecimagari anche una ventina. Ilnumero tre non è buono che per una conversazione di soli uominiquando uno diloro ama ascoltare gli altri dueoppurecome è più naturalenon ascoltarliaffatto.

Al duca di Marana toccò di bel nuovo la compagnia di sirGiorgio. Ed anche questodopo tuttopoteva parere un onore lasciato daipadroni di casa al primo dei loro ospiti. Don Fernando era il cosmopolita dellacompagniaperciò un quissimile di diplomatico; a luidunquespettava ilresidente britannico. Don Fernando si adattò a far la sua parteragionandomoltoed anche sragionandodelle varie nazioni e delle capitali d'Europachepel momento e pei bisogni della conversazione erano tornate a piacergli.Infattidove si poteva viver megliopiù intensamente e più prestoche nellegrandi capitali? La storia naturale dell'uomo non si studiava a fondo che là.

- Eppuredicevate oggi- osservò ad un certo punto missMaud- che le grandi città non sono altro che grandi prigioni.

- Ahnon mi cogliete in contraddizione; - rispose il duca. -Sono prigioni per chi ci si chiudeper chi si restringe a vivere in una diesse; non già per chi vedestudiae se ne va. A lungo andarelo capiscotutto annoiaanche una bella solitudine. Tutti gli angoli del mondo hanno leloro piccole commediei loro piccoli drammi e guai a chi si rinchiude in questepiccinerie.

Tirata così la sua bottata al Sahibgarche non ci avevacolpail duca di Marana tornò a ragionare con sir Giorgio e passò in rassegnatutti gli uomini politici dell'Inghilterra. Al residente britannico pareva diandare a nozzeed io vi lascio immaginare come gli tenesse bordone. Sir Giorgionon sperava più di far molto cammino in diplomazia. Si era impaludato laggiùfuori della correntee pensava di doverci aspettare la sua pensione di riposo.Ma laggiù si sentiva padrone; rendeva servizio al suo paese ed era contento delproprio stato. E poici aveva la sua casala sua famigliache è la forza ela consolazione dell'inglese; che cosa poteva egli desiderare di più?

- Avete anche il nepotecon voi; - gli aveva detto donFernando. - Rimarrà egli a Secanderabad?

- Noegli appartiene all'amministrazione centrale diCalcuttaed è qui per passare con sua zia due mesi di licenza.

- Vuol dire che lo godrete appena per questi due mesi; -osservò il ducapremendo involontariamente sul verbo.

- Per due mesicertamente- rispose sir Giorgio. - È unacompagnia eccellente per le signore. È di buon'indolee quantunque la sua etàsia fatta piuttosto per correre agli svaghiegli si adatta con molta buonavolontà alle nostre abitudini casalinghe.

- È tanto gentile! - esclamò a denti chiusi il duca.

E dentro di sè soggiungeva:

- Che il diavolo se lo porti; altrimentine abbiamo per duemesi. Vedetelo làil biondino! Pare un'ostrica appiccicata allo scoglio. -

Ad allargare un po' il cerchio e a togliere il vezzosoLionello dai fianchi della signora Luisacapitò quella sera il savio Lacmana.Era una figura stranaquel vecchio braminoe con la sua faccia di bronzocomecon la foggia del vestirefaceva un curioso contrasto in quella societàgiàtanto mescolatadi due italianiuno spagnuolo e tre inglesi.

Il discorsodopo le presentazioni d'usosi volse agli scavidi Karma Vridiche il duca di Marana aveva intrapresi e che questi e Guidoavevano inaugurati con una caccia notturna così fortunata. Guido Laurentimettendo in ottima luce il concetto che aveva governato il suo amico Fernandonel cominciare gli scavisi trattenne a mostrarne l'importanza archeologicalasciando così intendere al vecchio mahunt che la società non sapevanulla del tesorovero ed unico movente delle loro ricerche. Forse anche a Guidopareva che un accenno a tesori nascosti potesse spargere un'ombra di ridicolosugli esploratori delle rovine.

Don Fernandoche non aveva ragioni per essere di buon umorerovesciò la sua stizza su Karma Vridi e sulla lentezza con cui doveva procedereil lavoro.

- Cinquanta uomini son pochiper quella montagna di ruderi;- diss'egli. - Ne vorrei centoalmeno.

- Anche duecentose vi piace; - rispose Lacmana. - Tutti gliuomini di Paravady saranno lieti di aiutarvi.

- Beneriparleremo di ciò; - disse il duca. - Sonoimpaziente di scoprire i bassirilievi che dovevano ornare le pareti del tempio.Se trovo il terzo avatara di Visnù… fo voto di mandarlo in regalo al BritishMuseum.

- Ringrazio; - disse sir Giorgioinchinandosi.

- Sempre la vostra impazienza! - osservò la signoraLaurenti.

- Signorave l'ho detto; quando faccio una cosa… E poidebbo andare in Greciaa scoprire a dirittura una città.

- Dite dunque- ripigliò la signora- che siete impazientedi andarvene.

- Ohsignorache dite? Rimarrò sempre abbastanzaper avervarcati i limiti della discrezione;- replicò il duca di Maranache sentival'obbligo di temperare un pochino l'asprezza delle sue prime parole.

Ma il cattivo umore doveva riprendere ancora il vantaggio.

- Del resto- soggiunse- io sono come un uccello senzanido. Ho passato il mare per venire a salutare il vostro; sono rimasto qui untratto sull'ali; non è giusto che ripigli il mio volo? -

La signora Luisa non replicò più altro. Un bel silenzio èla migliore risposta che si possa dare alla gente scontrosa.

 

 

XII

 

Alla mattinaper tempoi Lawson partivano dal Sahibgaraccompagnati da Guido Laurenti per un buon tratto di strada oltre il villaggiodi Paravady. Il duca di Marana si dispensò dall'andare con Guidocol pretestoche la sua presenza doveva essere necessaria a Karma Vridi.

- Andate puresignor ducae spingete molto avanti i vostriscavi; - gli aveva detto sir Giorgio. - Presto verremo a vederli di nuovo.Consideratemi come il rappresentante ufficiale del British Museumche nonrinunzia all'idea di possedere il suo quarto avatara di Visnù.

- Il terzosir Giorgioil terzo.

- Ahscusatecon tutte queste incarnazioni indiane mi ciconfondo. L'essenziale per me è la vostra promessa. Maa proposito dipromesserammentate quell'altravi prego. Dovete venire anche voi aSecanderabadinsieme col signor Laurenti.

- Se la mia presenza non sarà troppo necessaria a KarmaVridi…

- Nonon ammetto scuse; - interruppe sir Giorgio. - O voi cionorate della vostra visitao noi dovremo credere che la residenza britannicadi Secanderabad vi ha lasciata una poco buona memoria di sè.

- Tolga il cielo che io porga appiglio a così bruttisospetti; - gridò il duca di Maranache in mezzo al suo cattivo umore siricordava d'essere un gentiluomo; - lascierei anche in sospeso il terzo avataradi Visnùper venire ad ossequiare lady Evelina. -

Liberato da quella accompagnaturadon Fernando ritornòverso Paravadye di làpresa la squadra d'indiani che lo aspettavase neandò alle sue predilette rovine. Quello era un luogo di rifugio per lui.Lontano dai Lionelli e dalle Luisedai Guidi e dalle Maddalenedon Fernandopoteva recitare a sua posta il paternostro della bertuccia. Ed anche non recitarnullaanzi non pensare affatto. Perchè questanon lo ignorateè la chiusanaturale di tutti i contrasti del cuoredi tutte le contraddizioni dellospirito.

Quando giunse a Karma Vridi trovò la sua casa alzata di duemetriparte per un'aggiunta alle mura maestreparte per uno scavo piùdiligente del terrapieno su cui era fondata. Grossi tronchi di bambùtagliatinelle vicinanzefacevano da correnti al tetto e da sostegno ad un fittofrascame.

Niente di nuovo era occorso durante la notte. I suoi uominiavevano udito bensì ad intervalli il rugghìo delle fierelà dalla parte deltorrente; ma nessuna tigre era venuta a ronzare nei pressi del terrapieno. Ilsillogismo è una forma di ragionamento che troppe testimonianze dimostrano nonessere privilegio esclusivo dei bipedi. Ed è lecito il credere che leschioppettate della notte antecedentemesse a riscontro di ciò che era toccatoa due compagni più audaciavessero condotta la famiglia felina ad unaillazione abbastanza prudenziale. Passatemi le voci sgarbate; è il linguaggiofilosofie o che le richiede.

Intantoquegli scavi archeologicicondotti innanzi con unasquadra così numerosa di bracciantidavano a Karma Vridi l'aspetto d'unvillaggio nascente. Le bestie feroci dovevano retrocedere per necessità; dareil luogo ad una specie rivalenon meno feroce e carnivorasebbene in apparenzapiù mite.

Al quarto giorno di lavorotutta la distesa delle rovine sivedeva scopertadirò quasi scorticata; ma gli scavi non erano profondi che inuna parte solacioè in quella di destradove il nobile soprastante cercava lasua quarta colonna. Capirete cheper azzeccare la quartabisognava trovare laprimae misurare le distanze da questa. Oraal quarto giorno di faticalaprima colonna non era ancora trovata. Ma gli architravii massii frammenti divoltasi andavano smuovendo a mano a manoe don Fernando poteva speraredall'oggi al domani di raggiungere l'intento.

Così fosse stato sicuro di raggiungere quell'altro! Ma lecose sue non andavano bene; cioèspieghiamocinon andavano punto. Si eraficcato in un ronco; perdeva la memoria dell'entrata e non vedeva altrimentil'uscita.

Vi ho detto che la signora Luisa non gli aveva più replicatoaltrodopo quella sua scappata bisbetica. Aggiungo adesso che era rimasta incontegnonon già come chi trattiene la collerama piuttosto come chi cominciaad impensierirsi. Da quella medesima sera la donna gentile si mutòinsensibilmente con lui; era sempre cortesema molto più riguardosa. Un altronon si sarebbe accorto di nulla; ma il duca di Marana potè avvedersial suoritorno da Karma Vridicom'ella non fosse più per lui quella gaia espensierata amica che gli faceva festa al suo apparire e lo bersagliava conlibera confidenza di motti arguti e di facete allusioni.

Donna pensierosadonna innamoratadice il proverbio. Mainnamorata di chi? Non certo di Lionello Edgeworthdi quel ragazzo imprudenteche le aveva fatta per due giorni di seguito una corte spietata. Quanto aLionelloil duca di Marana non poteva ingannarsi. La sua esperienza gli dicevache al vezzoso inglese doveva toccare presso la signora Luisa quella medesimasorte che hanno presso le dame tutti i giovani di primo pelo. Servono qualchevolta di contornoquei benedetti ragazzi; più spesso di pietra di paragone. Leloro tenerezze che sanno di lattei loro ardori freschi di memoriepetrarcheschedicono chiaramente ad una donna che essa è bella… per unaltroe che può fidarsi di piacere grandemente a quest'altro. Ma chi eral'altro della signora Laurenti? D'altrial Sahibgarnon c'era che lui. Dunquelui? proprio lui? Don Fernando Solisduca di Marana y Cuevanon ci si fermavaneanchein quella delicata quistione. Sentiva molleggiare il terrenotemevad'ingannarsie questo dubbio lo consigliava a sfuggire ogni esame del caso.Scivolarenon premere; è il consiglio dei prudentivale a dire degli incertie dei timidi.

E frattantoil suo animo andava allontanandosi sempre piùda Guido Laurentida quell'ospite così buono e così compiacenteche nonsembrava avvedersi di nulla. Mariti! esclamava don Fernando tra sè. Per lastima che ne facevalo avrebbe voluto qualche volta più sagaceanche a pattodi doverla dire con lui. Ma infineera colpa di don Fernandose Guido vigilavacosì poco? E d'altra partese Guido si era disamoratodoveva egli dolersene?Non doveva piuttosto cogliere un'occasioneapprofittare di una libertàchegli era così facilmente offerta? Il mondo non era forse pieno di questeconcessioni? Ma che concessioni d'Egitto! Nelle faccende del cuore non c'èlegittimità di possesso che tenga. La legge non è il diritto; al più al piùuna finzione di dirittoche si può rispettare in apparenzae violare in tuttacoscienza nel fatto.

Belle ragionieccellenti sofismi; ma intanto il duca diMarana era scontento di sèe quel terzetto di Paravady gli pareva la cosa piùfastidiosa del mondo. Le serate più belle erano quelle in cui veniva ospite alSahibgar il vecchio Lacmana. La conversazione in tre spesse volte languiva;c'era un senso di freddonel boschetto delle magnolie.

Per vivere a lungo con qualcheduno nella solitudine deicampici vuole non solamente comunanza di gusti e conformità di pensiericivuole altresì la fusione dei cuori in un medesimo sentimento. Oraqual fusionedi cuori è possibile in trequando il sentimento comune non sia l'amiciziaeschiettacioè senza gelosie da una partesenza secondi fini dall'altra?

- Son mattoo poco ci manca; - disse un giorno tra sè ilduca di Marana. - Questa condizione è veramente intollerabile. Mi sonoinnamoratomi sono buttato avantia capo fittocontro ogni regola d'arte ed'esperienzanon sapendo prima se sarei cascato sul soffice. E adesso eccomi inarianon più poggiato sul saldo terrenonon ancora giunto a dar del capo nelmuroma molto vicino a darcioh molto vicino! Vedete che sciocco! E atrentadue anniquasi "nel mezzo del cammin di nostra vita"! Inveritàmi trovo in una selva oscuracome il poetaed ho smarrita la strada.-

A recare un pochino di varietà nelle uniformi alternative diKarma Vridi e di Paravadycapitò l'occasione di una visita a Secanderabad.Sapete che i Laurenti avevano promessa quella visita ai Lawsone immaginate chela gita non potesse rimandarsi più in là dagli otto giorni. Andarono dunqueeil duca di Marana li accompagnòcome aveva promesso per suo conto a sirGiorgio. Furono tre giorni di festeche non istarò a descrivervicon lapresentazione formale di tutti i personaggi ragguardevoli della colonia inglesee con una regata di barche sul lago; nella quale occasione il premio fu vintodal vezzoso Lionelloe dato a lui dalle belle mani di Luisa Laurenti. Ma ilduca di Marana non vide il trionfo del suo giovine rivalepoichè la sera delsecondo giorno aveva abbandonata la residenza. L'archeologo non poteva lasciaretroppo a lungo i suoi scavi; quella gente zoticache lavorava a Karma Vridiavrebbe potuto rovinargli Dio sa quale prezioso cimelio; era dunque necessariala sua presenza lassù; e bisognò dargli commiato. La promessa di un'altravisita di compenso gli fece perdonare quella mezza diserzionedel restoabbastanza giustificata.

Domanderete qual fosse il contegno di miss Maudnei duegiorni passati dal duca a Secanderabad in compagnia dei signori Laurenti. MissMaud era sempre la stessa; gentilerigidaingenuacuriosa; insommaunaragazzacon tutte le qualità e i difetti dell'età sua. Volumi al primocapitolo; chi li capisce è bravo. Quanto al duca di Maranaegli rinunziòall'idea d'intenderci qualche cosa. - S'innamori pure di Guidoe Guido di lei- pensava don Fernando- io non ci ho da veder nulla.

Il nostro eroe se ne tornò a Paravady molto contento dellasua fuga. Respirava finalmentepoteva taroccare a sua posta. Giunto alSahibgartrovò la squadra di ritorno da Karma Vridied ebbe notizia del puntoa cui erano stati condotti nella sua assenza gli scavi. Un rocchio di colonnaera stato trovatoe Berarsapendo come il duca desse importanza alle colonnefaceva lavorare a gran furia per rintracciare gli altri pezzi del fusto.

- Ecco una notizia consolante; - esclamò don Fernando. - Nonva mica male ogni cosain questo mondo birbone. -

La mattinaper tempofu a Karma Vridi e trovò con grandesoddisfazione che Berar lo aveva servito a modo. Il fusto della colonna non siera trovato tutto; ma ciò poteva attribuirsi al fatto probabilissimo chenelcader della voltala parte superiore fosse andata in frantumi. La stessafrattura irregolare del rocchio superstite poteva addursi come un argomentoplausibilea conforto di quella opinione. Del restoun gran punto eraassodato. Se la colonna mancavasi era pur ritrovata la basee la distanza checorreva dal muro di prospetto a quella base di colonna doveva essere una guidasicura per ritrovar la secondaanziavendo frettaper andar difilati allaquarta.

Tutto quel giorno e l'altro che venne dopofu un lavoroindefessoarrangolatofebbrilesu tutta la linea del colonnato. Ma più siandava innanziverso il centro delle rovinepiù era fitta la catasta deiruderi e più malagevole l'impresa. Certoil tempio di Karma Vridi era fatto apiramidecome tanti altri della sua speciee l'immane cappello di pietrarovinando sulle navate interneaveva fatta una grossa colmata. Ma don Fernandonon conosceva più ostacolialmeno tra i sassie il suo ardore si comunicava aquella squadra di lavoratori. Eglidel restochiedeva una grande operositàma i suoi uomini si nutrivano laggiùmercè suapiù abbondantemente che nonfacessero a Paravady. Avevano il riso bollitole focacce di farinacotte condue voltate sotto la braceil betel da masticare di tanto in tantoe daultimo il bangil liquore prediletto dagli indianicomposto di oppio edi hascisce.

Quando ridiscese al Sahibgarper prendere il suo turno diriposotrovò i suoi ospiti nella solita calma. La signora Luisa stava ancorasotto l'atriolavorandoin attesa del pranzoagli ultimi raggi del tramonto.Guido era sunel suo studio; macome intese la voce di don Fernando nel vialecalò prontamente nel vestibolo.

- Ebbene? - gli chiese.

- Si vasi va! - rispose il duca. - E non potrebb'esserediversolavorando nelle rovine d'un tempio di Siva.

- Anche un bisticcio; buon segno! - gridò Laurenti. -Eravate così ingrugnatoieri l'altro!

- Io? vi pare? Avevo proprio un'aria…

- Ma sìper baccoun'aria di temporale; - interruppeGuido. - E ho detto tra me: questo va a scaricarsi su Karma Vridi. -

Il duca pensò che Guido Laurenti aveva un coraggio da leone.

- Vedete come scherza col fuoco! - diss'egli fra sè. - E suamoglie non ci abbada! Un po' di risveglio l'altro giorno; e poi s'è rimessa adormire. -

Intantobisognava rispondere qualche cosa alla celia diGuido.

- Dio buono! - esclamò. - Lo sapete pureche io son cosìfatto. Quando ho una cosa in mentenon c'è più luogo per un'altra. E adessonon penso che al tesoro; voglio il tesoro ad ogni costo. -

La prima parte del discorso aveva un senso particolare per lasignora Luisa; la seconda veniva in buon punto a mascherare la prima. E lasignorache fors'anche non ci aveva avuto tempo ad intendere pel suo verso laprimasorrise alla secondache mostrava il duca di Marana così infatuatodelle sue ricerche archeologiche e del premio assai problematico che v'era statoappiccicato dalla leggenda di Lacmana.

- Ne dubitate? - ripigliò don Fernando. - Non dubiteretepiù fra otto o dieci giorniquando io verrò da Vostra Mercede con un belcofanetto di teckfantasticamente intagliato da un artista di dugent'anni faedeporrò ai vostri piedi il più grosso diamante della mia collezione.

- Ah sìil famoso diamante da fare il paio con la montagnadi luce! Ma di graziadon Fernandoche cosa ne farò ioche vivo inquesta solitudinee senza desiderio di uscirne? Il vostro diamante nonbrilleràve ne avvertonon brillerà.

- Signora mia- replicò il duca con aria grave- questonon mi riguarda. Lo avete accettato; io non sono punto disposto a ripigliare imiei doni. -

Lo scherzo era buonoe l'idea di quel diamanteancora dilà da venirema promesso da una parte e accettato dall'altradiffuse un pocodi buon umore nel terzetto del Sahibgar. La signora Luisa aveva accolto donFernando col più amabile de' suoi sorrisimentre egli si aspettava di vederlain contegno. Dunqueallegria nel cuore di don Fernando. E perchè il cuore didon Fernando era un vaso slabbratol'allegria doveva traboccarespandersiinondare senz'altro.

- Parlerò! - diss'egliin uno di quei soliloquii che eranoil suo forte. - Parlerò di sicuro. Tutto sta a trovare il momento. -

Ma il momento non era da cercarsi quella sera. Il padrone dicasa non lavorava di serae la signora Luisa non restava mai sola. Si parlòinvece e lungamente delle rovine e degli scavi. La prima colonnala famosaprima colonnache doveva condurre allo scoprimento della quartaeperconseguenzadel famosissimo terzo avataratornò in ballo un centinaio divolte.

- Un giorno o l'altro verrò a darvi una mano- disse Guido.

- Grazie; - rispose don Fernando. - Sarete anzi necessarioquando avrò scoperto l'ingresso del sotterraneoperchè allorami capiretebisognerà deludere l'attenzione degli indiani; se noaddio segreto.

- Chiameremo in aiuto il Giacomo. - replicò Laurenti. -quello è un uomo fidato.

- Benissimo. E voisignoranon verrete ad assisterci? Idiamanti sono stati creati a bella posta pel sesso gentilee il tesoro sentiràl'attrazione magnetica.

- Lo credete? - disse la donna gentilesorridendo. - Io nonsono della vostra opinione. I genii che custodiscono i tesori non amano ilnostro sesso.

- Hanno tortoi genii! - osservò don Fernandoche coglievatutte le occasioni per fare un complimento.

Tra quelle chiacchiere vanea cui solamente dava importanzail tono amichevole degli interlocutorifinì allegramente la serata. Il duca diMarana si trovava meglio alloraanche con la presenza di Guidoche non le sereantecedenticon la giunta degli ospiti di Secanderabad. Se non si fossetrattato che di averci miss Lawsonmanco male; una bella ragazza non guastamaie forse don Fernando non avrebbe neanche sgradito che il suo amico Laurentisi occupasse un pochino di lei. Ma quel Lionello Edgeworthche gli usurpava ilposto presso la signora Luisae quel sir Giorgioa cui bisognava tenerbordonegli erano venuti in uggia; respiravadi non averli sugli occhi.

Poiquella seraLuisa era stata così gentile con lui!Certamente anche a lei tornava molesta la compagnia chiassosa di Secanderabad ela persecuzione del vezzoso Lionello. Tornata nella quiete del Sahibgarlasignora Luisa sembrava più ilare. Come luicome lui; vedete che conformità dipensieri e di gusti!

Insommail duca di Marana imitava senza volerlo quei fratidi cartoneche ci hanno nella testa un apparecchio igrometricoe prendono olasciano ricadere il cappuccio ad ogni più leggiera variazione atmosferica.Quella sera il tempo volgeva al buonoe il duca di Marana aveva smesso ilbroncio anche lui.

Il giorno seguente si alzò di buon'ora. Stava alla finestrarespirando con voluttà l'aria balsamica del mattinoquando vide uscir Guidodall'atrio.

- Dove andate? - gli chiese.

- Ohbuon giorno; vo a Paravady. Non ridete dei fatti miei;Lacmana mi aspettaper decifrare insieme un manoscritto in lingua pracrita. Evoinon andate a cercare il terzo avatara?

- Un'oretta di riposoe mi pongo in cammino.

- Buona fortunadunquee a rivederci. -

Il duca di Marana gli rese il salutoecome l'ebbe vedutouscire dal pontediscese a sua volta in giardino.

- Ella dormirà ancora; - pensòmentre andava rasente ilmurosotto le finestre della camera di Luisa. - Se fossi un raggio di sole!

Ma ella non dormivaanzi era già alzata. Il rumore deipassi di Fernando sulla ghiaia del sentiero la fece apparire al davanzale. Loera leiil raggio di solee Fernandoche andava cogli occhi in ariane fuinvestito dal capo alle piante.

- Ah siete voidon Fernando? - esclamò essacon la suavoce argentina. - Buon giorno!

- Lo sarà davverose incomincia così; - rispose egliinchinandosi.

Per complimentopoteva passaree la signora Luisache eraavvezza alle galanterie del ducanon ci trovò nulla a ridire.

- Vi credevo ancora nel sonnellino d'oro; - continuò donFernando.

- Ohda un pezzo è finito. Stavo appunto per scendere ingiardino. -

Il cuore di don Fernando diede le battute doppie.

- Mi faccio volentieri interprete dei sentimenti di tuttiquesti fiorie vi porto i loro ringraziamenti sull'atrio- rispose egliritornando sopra i suoi passi.

La signora Luisa non tardò molto a comparir dalle scale.

- Davvero siete galantestamane; - diss'ellaporgendogli lamano. - E non siete andato a Karma Vridi? Sia lodato il cieloecco un miracolo.-

Parlava per celiao da sennola signora Laurenti? E separlava da sennofino a che punto voleva giungere? Don Fernando non potendo lìper lì trovare una risposta convenienterimase perplesso; anzipiù cheperplessoconfuso.

- Signora mia- diss'eglicosì per dire qualche cosa -Faccio poi tanto male ad andare a Karma Vridi?

- Non ho detto che facciate male; - rispose la signora. -Pensavo che con questa vostra furia archeologica potreste anche guastarvi lasalute. Lo dicevo appunto a Guidol'altro dì. Il sole indiano è traditore; el'ombra della notte non è meno pericolosa del sole di mezzogiorno. -

Al duca di Marana cascarono le braccia. Non si trattavad'altro che della sua salute! Ed era naturale. I padroni di casa dovevanoprendersi cura dell'ospite. La signora Laurenti ne aveva perfino ragionato consuo marito. Non si poteva essere più gentili di così.

- Potreste almeno venire ogni sera a casae dormire nellavostra camera; - proseguì la signora.

- Obbedirò; - disse il ducacon aria rassegnata. - Mapurtroppo si andrà più lentamente negli scavi.

- Che importa? La salute prima di tutto.

- La salute? A che serve darsene tanto pensiero?

- Bella domanda! Sareste scetticoper avventura?

- Ehqualche volta sì; per esempioquando penso alla miavitache non ha scopo per sèe che non ha da premere a nessuno.

- Se non preme a voipremerà ai vostri amici. Ed io conoscoqualche persona…

La reticenzaappoggiata da un sorrisetto maliziosovolevauna domanda. E il duca di Marana non si fece pregare.

- Qualche persona? E chi mai?

- Gli scettici non debbono esser curiosi; - diss'ella.

 

 

XIII

 

Quel piccolo dispetto gli piacquesto per direcome glisarebbe piaciuta una carezza. E si guardò bene d'insistere nella sua domandapoichè il silenzio di lei gli permetteva di credere tutto ciò che gli piacessemeglio.

La signora Luisa si era mossaper fare la sua passeggiatamattutina nel parcolungo i viali fiancheggiati d'aiuole. Erano làdisposti acanestri e a piccole macchiei fiori più appariscenti e più stranidell'Indiai più belli e i più noti dell'Italiache diventavano rarilaggiùea farla brevei rappresentanti di tutte le flore del mondo. Moltidi essi ebbero uno sguardo amorevole della signora Luisama più lungo e piùaffettuoso certe eriche del capo di Buona Speranzache formavano l'orgoglio diGiacomoil suo giardinierecoi loro fiorellini foggiati a campanellecomequei del mughettoe raccolti a rappe sulle vette dei rami.

Don Fernando non guardava i fioripotete immaginarvelo;guardava la signoravestita con semplicità mattutinad'una veste di setacrudail cui taglio garbato accompagnava le armoniche curve della persona. Ilgiovinotto pensò involontariamente ad Evama ad Eva che fosse tornata nelparadiso terrestredopo l'invenzione delle vesti di seta e delle lattughe dimerletto e di mussolina. Quando la signora si voltava a mezzoper indicargliuna pianta rarao una forma strana di fioreegli si beava nella vista di quelprofilo corretto e soavedi quelle ciglia lunghe calate sugli occhi azzurriscurie di quelle chiome corvine che scendevano ad accarezzare l'orecchioperrigirarsi in lucide anella su d'un collo d'alabastro. Eterni numiquel collo!Come lo avrebbe baciato volentieri! Ma confessate che sarebbe stato un cattivomodo di cominciare una dichiarazioneche da un pezzo gli tremava sulle labbra.

Oramentre egli ammirava quel collo e moriva dal desideriodi farglielo saperegli venne veduto…inorridite! gli venne veduto un piccolocoleotterooa dirvela con nome più cristianoun insetto nerastrocon leali nascoste sotto due elitre corneedal riflesso verdognoloche andavatranquillamente passeggiando sull'omero della signora Laurenti.

Se ci fosse stato Guidoavrebbe subito indovinata lafamigliail genereil sottogenere e la specie di quel piccolo animale; loavrebbe anche trovato graziosoe salutato d'un bel nome greco-latinoaggiungendovi il casato del naturalista che lo aveva tenuto a battesimo. DonFernando si contentò di gridare:

- Fermatevisignora; avete qui sulla spalla un insetto.

- Credete che mi mangerà? - diss'ellaridendoma anchefermandosiper contentare il suo cavaliere.

- Ohnon credo; è troppo piccolo. Aspettategli dò lacaccia. -

E stese la manocol pollice e l'indice apertiper afferrarequella negra bestiuola.

Ma il coleottero deluse la speranza del cacciatoreficcandosi tra i cannoncini d'una gorgieretta di tulleche usciva fuori dalloscollo della veste. Maledetto! non si poteva prenderlosenza acciaccare iltullee col pericolo per giuntadi macchiarne il candore col sangue dellavittima.

Intantoil duca di Marana contemplava quella pelle d'unbianco mutomorbida e liscia come la superficie del raso. E mentre egli stavaassorto in quella contemplazionea cui la caccia del coleottero sembrava esserdiventata un pretestol'insetto giungeva con le sue zampine filiformi efrettolose sull'orlo del cannoncinogirava abilmente lo scrimolo e si calavagiùtra la gorgiera e la radice del collo.

- È fatta! - esclamò don Fernando.

- Che cosa?

- Lo avete sul collo.

- Infattimi par di sentirlo. -

Don Fernando pensò con raccapriccio che quel l'animaletto danulla poteva darle un morso. Non si sa mai; ci sono anche degli insettivelenosi.

- Se non potete prenderlodategli un colpo col dito; -proseguiva la signora.

- Notemo di farvi male.

- Che! non sono una bambina. Schiacciatelovia; oppuredategli un soffiose ne andrà. -

Aspiraremanco male; ma soffiarci su? Noquesto non mettevaconto al duca di Marana.

- Permettete; - diss'egli; - fo un colpo ardito. Gli tagliola strada.

Il coleottero sfuggito miracolosamente a quelle due tanagliegigantesche (almenocosì dovevano parerglimentre correva a rifugio neltulle)dimenticava il pericolosul nuovo terreno in cui era disceso. Annibalecosì destro e fiero sulle Alpisi rammorbidiva negli ozi di Capua. Era rimastocome irresoluto a mezza la salita del colloforse (e questo fu un pensiero didon Fernando) per metter fuori la sua tromba e far provvista di nettare inalcuna tra tante coppe naturali che gli apprestavano i pori di quella pellealabastrina. Ed anche a don Fernando metteva conto l'indugio di pochi secondiper premere leggermente col dito su quella morbida superficiea poca distanzadall'insetto. Questo era il suo colpo arditoil suo stratagemma. E ilcoleotterocome ebbe risoluto di muoversi da capotrovò l'ostacolo del ditolo tastò con le antenne e vi appoggiò fiducioso le zampe.

- Che sciocco! - mormorò eglitirando su il ditocol suoprigioniero sul polpastrello.

- Sciocco! perchè? - domandò ingenuamente la signora.

- Perchè è venuto sul mio ditolasciando… -

La signora Luisa gli mozzò le parole con una sonora risata.

- La vostra galanteria abituale - diss'ella - vi porta adessoa pretendere l'ingegno e la malizia anche da un povero insetto.

- Almeno l'istinto! - gridò il duca di Marana.- Non ci hannol'istintole bestie? Almeno questo avrebbe dovuto guidarlo nella scelta. -

Dio sa dove sarebbe andato a finireil signor ducaavviatoa quel modo pei sentieri del tenero. Ma proprio in quel puntoda un altrosentiero men tenerosi udì un passoche faceva scricchiolare la ghiaia.

Non vi spaventateera il passo del giardiniere. Giacomoilfido Giacomoveniva per dare il buon dì alla sua signora e per ricevere i suoicomplimenti. Non c'è uomo perfettoa questo mondoe Giacomo ci aveva il suodifetto anche luila vanità. Quel giornopoivoleva far vedere alla signorauna bella novità; certe pianticelle d'abetelunghe come il dito mignoloeducate in un viluppo di borracinasenza ombra di terriccio.

- Le crittogame- voleva dir luicon aria di trionfogiustificata dall'esempio- sono state le prime piante del globoe hanno datoprincipio alla terra vegetale. I muschicon la loro porositàassorbonol'umidità dell'aria; hanno dunque in sè stessi tutto quel che bisognapernutrire a lor volta una pianta di grado superiore nella scala organica. Vedaquesti piccoli abeti; non hanno terriccio intorno alle barbenon sonoinnaffiatie prosperano qui dentrocome se fossero in piena terra e vicino adun corso d'acqua. -

Così dicendovoleva acciuffare d'un colpo otto o dieci diquei piccoli abetialzare il braccio e sospendere tutta quella crosta di muscoe di radici intrecciateper far vedere che non c'era nessuna aderenza colsuolo. La signora Luisache non aveva studiata la botanica come scienzama chene intendeva benissimo e ne amava le applicazioniavrebbe fatte le meravigliedi quella novitàveduta la prima volta dal Giacomo nell'orto botanico diquella stessa università in cui il signor Guido si era addottorato in medicinae chirurgia. Il Giacomo non aveva studiatoma possedeva un discreto ingegnonaturale; quell'esperimento curioso gli era rimasto impresso nella mente; ciaveva pensato parecchie voltee il pensarci su (che era il segreto artistico diAlessandro Manzoni) lo aveva condotto a capire le ragioni del fattoinapparenza così strano. E così avvenne che la bella trovata del mio amicoGiovanni Buccol'esperto giardiniere dell'orto botanico di Genovaavesse unriscontroper opera di Giacomo Vernazzanel Sahibgar di Paravady.

Il nostro Giacomo andava con profonda compiacenza incontroalle meraviglie della signora Laurenti. Era così contentoil bravogiardinierequando la sua padrona gli sorrideva! Era un uomo raroil Giacomouno di quegli uomini miracolosiche vivono per noi senza chiedere nulla inricambioma che ottengono facilmente da noi quel medesimo affetto che essi cidànnoe ci confortanonei brutti momentia non disperare della natura umana.

Io lodo il Giacomo; ma non doveva altrimenti lodarlo il ducadi Maranaquando lo vide comparire in fondo al viale.

- Che noia! - borbottò egli tra i denti. - Proprio io questomomentoche stavo per dirle ogni cosa! Un'occasione così bellapercominciarenon mi capita più. -

Il giardinierevenuto presso alla signora e accolto conquella benevolenza che si meritava da leiprese a ragionarle di fioridell'azalea che provava benissimodelle margotte di gardenia che erano tutteriuscitedall'ortensia azzurra che tornava al color di rosa primitivoinsommadi tutte le piccole faccende e di tutti i casi minuti della variopinta famigliaaffidata alle sue cure. Il momento di parlare della piantagione degli abetinella borraccina non era anche venuto. Giacomo Vernazza serbava quella novitàper la chiusacome si serba il colpo di scena per la fine di un atto.

Don Fernando non stette ad aspettarloea mezza la rassegnabotanica del giardiniereprese commiato dalla signora Laurenti.

- Vado a Karma Vridi; - le disse; - ci rivedremo domaniall'ora solita.

- Bene- rispose la signora- a rivederci. -

E lo lasciò andare cosìsenza trovarci nulla a ridiresenza soggiungere una fraseuna parolache sentisse nulla di più intimamenteaffettuoso. Dov'era andata quella complicità che egli incominciava araffigurarsimentre faceva un lavoro così fine e così lento per cacciare uncoleottero impertinentema non privo di buon gusto? Madonna era rimastatranquillamentre a lui bruciava il sangue nelle vene; madonna si era mostratagentilema non si era avveduta di nullanon aveva partecipato affatto al suoturbamentoe lo lasciava partire senza dargli un'occhiatache gli permettessedi sperarealmeno almeno di fantasticare un seguito a quella scenetta d'idilio.Ahimè! Non c'era neanche stato l'idilioera un episodio senza importanzainun colloquio casualesenza secondi fininè altro.

Il duca di Marana se ne andòquasi seccato di quellamezz'ora che aveva passata in giardino.

- Potevo parlare; - pensò eglimentre si avviava allerovine; - sicurolo potevose non capitava quell'altro. Ma vediamola sino infondo; avrei fatto benea parlare? Che fondamento avevoper spingermi avanti?Mi ha ella mai dato un barlume di speranza? Mi ha ella mai lasciato intravvederedi essersi accorta di qualche cosa? Siamo giustiio fin qui non ho fatto altroche dare importanza a certi nonnullagentilezzeamabilitàcomplimentichel'amicizia giustifica… e da una parte e dall'altra. Mi ha detto di conoscerequalcheduno a cui dovesse premere la mia vita… Sìme lo ha detto; ma che perciò? Scherzavaforse…alludeva a miss Maud. E questo senza il forse. Nonpoteva mica parlar d'altri! Sarebbe stato troppo ardimentose avesse volutoparlare di sè. In veritànoi non sappiamo far altro che andare agli eccessi.Ci figuriamo le donne o troppo austereo troppo sfacciate. Ella è freddanient'altroo ch'io non ci capisco nulla.. Eccovi quadon Fernando mioriveritoalla famosa conclusione di sant'Agostino. Questo siete giunto asaperedi non saperne una maledetta! Vediamo un po': è gelosao non lo è?Ama suo maritoo non lo ama? Se lo amadeve essersi accorta delle tenerezze diGuido per miss Lawsone soffrirne in silenziofinora; se non lo amapuòessersi accorta e non farne caso. Torniamo alla freddezza; ma questa puòesserci per mecome per luicome per un altro. Infattiil vezzoso Lionello…Ohal diavolo queste indagini! Lei è freddaè gelosaè quello che vuole;Lionello è uno scemoGuido è uno stravaganteed io sono… che cosa sono io?un matto da legare. -

Tra questi pensieri; il signor duca di Marana giunse allerovine di Karma Vridi. A consolarlo del tempo perduto in giardino e della logicaandata a quel paesegiunse in buon punto la scoperta della quarta colonna.Senza badare al soleche scottava senza misericordiadon Fernando si piantòlà sugli scaviper dirigere gli sforzi della squadra in quel tratto di ruderiche si stendeva dalla quarta colonna al muro. Se la leggenda di Lacmana dicevail vero il terzo avatara di Visnù doveva trovarsi in quella direzione.

Del restoegli voleva finirla con quella curiositàcheincominciava a parergli malsana.

- Che sciocco! - borbottava il duca tra i denti.- Vedrai cheanche questo sarà un disinganno. -

 

 

XIV

 

Tornano in scena i Lawson. Sapetelettori umanissimiche èvenuta la loro voltanella alternativa delle visite tra il Sahibgar e laresidenza britannicacome era stata felicemente combinata tra Guido Laurenti esir Giorgio.

Questa voltainsieme col residente e con sua figliaeravenuta anche lady Evelina. Del vezzoso Lionello non occorre neanche parlare; ilgiovinotto era in vacanze e si trovava a tutte le festea tutti gli spassidella famiglia.

Lady Evelina non conosceva ancora il Sahibgar che di fama. Sene invaghìa mala pena lo ebbe veduto. Inglese nell'animala signora Lawsonamava sopra ogni altra cosa al mondo una bella casaben dispostafornita ditutto il necessario e di tutto il superfluoche è davvero il nec plus ultranell'ordine dei desiderii ragionevoli. Fare la casacome una coppia d'uccellifa il nidofarla beneche non gli manchi nullache abbia del palazzo inpiccole proporzionidel giardino e del parco anche in pochi metri quadratipossibilmente dell'ortoper gli usi della famigliaè l'ideale dellafelicità; ideale che noifigli degeneri del ceppo latinointendiamo cosìpocomentre pure abbiamo tutto l'occorrente per raggiungerlo più presto emeglio di chi si sia.

Ho detto figli degeneri e mi spiego. I latini amavano lacasacome l'amano gli inglesie suppergiù tutti i popoli nordici. Orazio eVirgilio ne fanno testimonianza più voltesbugiardando gli osservatorisuperficialia cui sembra di poter direper certi edifizi di pubblico ritrovocostruiti dagli imperatori di Romache i signori Quiriti vivessero molto fuoridi casa. Ciò si capisce pei poveriche avevano case piccole e senz'ariarespirabile; non già pei ricchio semplicemente per gli agiatiche vivevanoal largoed anche in piccolo spazio sapevano foggiarsi un'abitazionerispondente a tutte le comodità desiderabili nella vita domestica.

Vedete le loro case; hanno l'atrioaperto all'aria e allalucee sempre più vastosempre più apertoa mano a mano che l'architetturasi allontana dal vecchio tipo toscanico; io fondo all'atrio è il salottoconla parete di legnoche si toglie col bel tempomettendo in comunicazione diluce l'atrio col peristilio. Che cos'è il peristilio? Un ortoun giardinocolsuo porticato in girola sua fontana nel mezzole aiuole fioritegli ortiniverdeggianti di erbaggi. Utile dulci. Poche finestre sulla stradapiùper dar luce alle camereche per uso di vedere ciò che avviene di fuorio disbirciare nelle case dei vicini. Che importa di ciò che fanno gli altri? Lacasacome la famigliabasta a sè stessa. Ci ha perfino la sua cappella el'ara pei sacrifizi agli dei Lari e ai Penati. La matrona non ha bisogno diusciregoverna la casa e vi regnain mezzo a tutte le agiatezzechemancheranno pur troppo a molte dame del secolo decimononocostrette davvero aviver fuori delle mura domestiche i due terzi della giornatae finalmente acercar l'aria e la luce in campagnaper un terzo dell'anno. La campagna…parliamone.È il luogo in cui si vive peggioin cui bisogna adattarsiperchèsicapiscenon ci possono essere i comodi della casa di città; di quella casastrettabuiamalinconicache par fatta solamente a benefizio d'una sala diricevimentoper dare un buon concetto dei padroni di casa ad una mezza dozzinadi conoscenze. Alla largada queste case; viva la domus dei nostripadri; e poichè la domus non c'è piùviva almeno l'at home dellasavia Inghilterra.

La casa dei signori Laurentifabbricata con una perfettaintelligenza di tutti gli agi della vitapiacque immensamente a lady Evelinache non rifiniva di lodarla. Miss Maudche la conosceva giàpregiava assaipiù i meriti del giardino e del parcoaliando tutto il giorno qua e làcomele farfalleose vi piace megliocome una bella ninfa anticaa cui lasnellezza delle forme giovanili la faceva rassomigliare abbastanza.

Guido Laurenti aveva abbandonato il suo studioil predilettosuo studioper tener compagnia alle signorema più particolarmente a quellagirandolona di miss Maudpoichè lady Evelina si muoveva pocola signora Luisanon si staccava da lady Evelinae sir Giorgio e Lionello Edgeworthognuno perragioni diversenon si staccavano dalla signora Laurenti.

E il duca di Marana? Il duca di Marana non si trovava alSahibgarquando ci giunsero i Lawson. Il nostro archeologo malcontento lavoravaa gran furia tra i suoi ruderi. Mezza navata di destra era già tornata allaluce del sole; nella sua parte più umiles'intendepoichè la volta e ilcolonnato erano caduti in rovina. Restava un cumulo di frantumiche potevaessere spazzato prima di sera; ma don Fernando voleva ancora abbreviare iltermineper recare al Sahibgar la notizia d'una grande scoperta. Ilbassorilievo del terzo avatara doveva trovarsi appunto làsotto a quel cumulo.

Ahimè! Era destinato che il British Museum nonpossedesse il bassorilievo di don Fernando. Si trovò contro il muro una pietraun lastroneche certamente era istoriato nei tempi trascorsima che per alloranon recava più tracce di scalpello. La pietra appariva sfaldatae solamente unocchio espertoaiutato da una buona volontà singolarepoteva scorgere nelleirregolarità della sfaldatura le forme d'un leonecon qualche cosa d'incertosulla groppa; ma neanche un occhio esperto e una buona volontà singolareavrebbero potuto vedere un avanzo d'uomo supinosotto le unghie del sacroanimale.

- Che importa? - disse tra sè il duca di Maranapoichèebbe fatto ogni sforzo immaginabile per vedere sulla pietra quel che non c'era.- Un bassorilievo ci dovevaesseree non si può supporre che quel lastronefosse murato làsenza uno straccio di scultura. Del restosiamo proprio dirimpetto alla quarta colonna. Fin qui la leggenda di Lacmana non mi haingannato. Bisogna scavare; l'ingresso del sotterraneose lo trovoconfermeràil resto della leggenda. -

Indirivolto alle squadre dei manovaliproseguì:

- Voi lavorate quest'oggi a ripulirmi questo tratto dipavimentomettendo da parte i rottami che portassero tracce di scultura.Domattina ritornerò e vedremo quello che ci sarà da fare. -

E mentalmente soggiungeva:

- Domattina verrò col Giacomoe con Guido Laurentisevorrà darmi una manocome ha promesso di fare. Si mandano gli indiani alavorare in un'altra parte delle rovinee noi si vede di entrare in questosotterraneose c'è.

Ma giungendo al Sahibgaraveva trovata la colonia inglesearrivato colà dal mattino. Naturalmentesarebbe rimasta due giornie per queltempo non si poteva più fare assegnamento sui rinforzi sperati.

Sir Giorgio Lawson accolse con grande allegrezza l'arrivo delsuo archeologoquesto s'immagina. E l'archeologo credette di dargli una bruttanuovaannunziandogli che il terzo avatara di Visnùdestinato al BritishMuseumera andato in frantumi.

- Che importa? ne troverete un altro; - rispose sir Giorgio.

- Ah sìun altro; ma quello mi premeva; il più raro e ilpiù prezioso di tutti. -

Guido capì che il suo amico Marana era giunto al terminedelle sue ricerche. E trovato il momento buono per parlargli da solo a sologlichiese:

- Il bassorilievo non si è dunque trovato?

- S'è trovata la pietra su cui doveva essere scolpito. Nonc'è dunque da disperare. Piuttostoci sarà un ritardo nell'ultima partedell'operaperchè capisco che voi non potrete muovervi di quie forse nemmenoil vostro giardiniere.

- Che farci? Del restoun giorno piùun giorno menononconta. Andremoquando i nostri ospiti saranno partiti. Neanche voim'immaginoe speronon vorrete piantarci a mezzoper ritornare alle vostre rovine.

- Mah… non saprei; - disse il ducache prevedeva didoversi seccarecoi soliti duettiniin cui egli non aveva mai parte.

Don Fernando aveva salutata con un certo sussiego miss Maudche gli aveva reso il saluto con la sua rigidità impacciata; quindinonvenendogli fatto d'intrattenere la signora Luisa neanche un minuto aquattr'occhiper saettarle una delle sue giaculatorie amorose in forma dicomplimentosi rivolse a lady Evelina. Era un mezzo eccellente per non esserelontano dalla signora Luisache doveva star molto con lei. Presa quellarisoluzioneil duca di Marana si diede a fare la sua corte alla signora Lawsonuna corte seriapiena di galanteria all'anticacome si fa per solito allemamme e generalmente alle vecchie damecon tanto onore per chi ricevee contanto merito per chi rende l'omaggio.

Miss Maud era sempre in moto; la farfalla svolazzavalaninfa folleggiava pei vialie quasi sempre con Guido. Si vedevano sparire dauna parte e ricomparire dall'altralei franca e pronta alle risalui gravenella sua gentilezzacome uno scienziato in vacanze. Parlava adagioil signorGuidoe con un tono di voce che non si udiva a cinque passi di distanza; leichinava la testacoglieva un fiorearrossiva e rideva. Una confidenzavi dicoiouna confidenza che sapeva di sfacciataggine. Quella ragazza! Chi l'avrebbemai immaginatoche potesse perdere la testa a quel modo?

E il duca di Marana si stizzivaci aveva un diavolo perocchio. Meglio cosìdopo tuttoche averli nella nucao foderati di nuvolecome la signora Luisa. Infattio come andavache ella non se ne dèsse perintesadi tutti quei maneggi del suo consorte degnissimo? Ma giàtra lei elui si faceva a buon rendere. Vedeva egli forsesi dava egli per inteso dellacorte spietata del vezzoso Lionello?

Col duca di Marana la signorina Lawson ci parlava poco. Anchequandoper una ragione o per l'altra doveva accostarsi al crocchio in cui sitrovava luiaccanto a lady Evelinala bionda fanciulla cansava perfino diguardarlo; ose pure doveva rispondergli qualche cosalo faceva a monosillabii quali sembravano anche più asciutti di quello che comportasse la linguainglesegià tanto monosillabica di per sè.

Che cosa aveva egli fatto a quella ragazzada esser trattatocon tanto riserbo? peggio ancoracon tanta severità? Che la si fosse accortadelle sue tenerezze per la signora Laurenti? Veramenteegli non aveva avutemaipresente la fanciullavere occasioni di scoprirsi. Ma chi nol sache lefanciulle vedono lontanoe molto addentronei segreti del prossimo? Sottoquelle ciglia abbassate dalla modestiasi fa spesso un lavoro di osservazioneda disgradarne quello di dieci padri inquisitori.

Del restoanche quella spiegazionetrovata lì per lì dalduca di Maranapoteva esser giusta; aveva una specie di riprova nel fattocheanche il vezzoso Lionello era molto trascurato dalla sua bionda cugina. Ancheluie più sfacciatamente di ogni altronon faceva il cascamorto presso lasignora Laurenti?

Il belloanzi lo strano della commediaera questoche lasignorinaaccostandosi a Luisaassumeva un'aria di colombella amorosaesembrava voler cadere ad ogni tratto in ginocchio davanti a leicome peradorarla. Non le era occorso perfino di abbracciarla e di baciarladavanti atutta la compagniacome una figliuolatornando dalle sue scorribande sulpratoavrebbe abbracciata e baciata la mamma?

- Che bugiarda! - pensò il ducache notava ogni cosa. -Vedete come cerca di addormentarne la vigilanza! e fors'anche di farsi perdonarecerte libertà!.. Ma che cosa intende di faredico ioche cosa spera diottenereda questa indegna flirtation? -

Disse indegnasìproprio indegna; tanto era fuori deigangheriquel povero duca!

Anche Lionello seguitava a flirtarese mi passate lanovità del vocabolo. La flirtation (pronunziate flirtèscion) èun amoreggiamento sui generistra la passione e la civetteria; ma non èveramente nè una cosa nè l'altrae tiene in sè qualche cosa di riguardosodirei quasi di metodicoforse derivato dalle pratiche religiose della nazione.

- Ed anche costuiche cosa spera? - domandava fra sè ilduca di Marana. - E a che punto si crede di essere? Questobisognerebbe sapere.Io fo l'osservatore a distanzacol telescopiocome se si trattasse d'unanebulosae mi vado alienando a mano a mano da questo piccolo mondo in cuivivo.-

L'osservazione era giustama il fatto non era particolare alduca di Marana. Tuttiqual piùqual menoci siamo trovati nel caso suo. Cisi apparta a grado a gradoinsensibilmenteseguendo un dirizzone dellospiritoe ci si trova alla finein mezzo ai nostri amici e conoscenticome ilforestiero in una città nuovadi cui vede ed ammira gli abitantima non neintende e quasi non ne sospetta gli umorile guerricciolei pettegolezzi e viadiscorrendo. Beato chi gode i benefizi di questa solitudinedirò cosìpsicologica; ma allora non bisogna cercare di saper nullaproprio nulla"di ciò che quivi si bisbiglia"perchè il metodo seguito non èadatto alla soddisfazione di certe curiosità. Chi vuol saperechi vuol capireessere al fattonon deve appartarsi in nessun mododee farsi avantificcarsinella baraondavivere insieme con gli altri e per gli altrianche a risico dinon vivere più affatto per sè.

Il duca di Marana si armò di coraggiovolle di schiantomutar vita e costumi. - Appunto a quello sbarbatello mi attaccherò: - diss'egliin cuor suo;- egli ha da rimettermi sull'ormache avevo scioccamente smarrita.-

 

 

XV

 

Tra lui e Lionello Edgeworth non c'era stata fino allora cheuna relazione di cortesiamolto riguardosa e molto compassatala quale potevaanche e facilmente diventare avversione bella e buona Ma il duca era accortoquando gli metteva conto di esserlo; efatto appena il suo nuovo propositolavorò d'accortezza ad entrar nelle grazie di quel caro ragazzo. A tavola glirivolse cinque o sei volte la parola; sorrise amabilmente a qualche sua fraseche poteva parere spiritosa; gli diede ragionefacendogli dire quel che nonaveva mai dettoe scoprendo nelle sue osservazioni una profonditàche quelragazzo non s'era neanche sognata. Lionello era ingenuocon tutta la suaaudacia giovanilee cascò nella pania.

Sul finire del pranzosecondo la moda inglesele signore sierano alzate da tavolanon rimanendo a chiacchiera che gli uomini. Eranoquattroe potevano farne di molteaiutando la cantinella dei liquoripiccoloarmadio d'ebanodalle pareti mobiliche conteneva i liquidi e spiritosi aiutidello stomaco.

- Eccellentequesto ginnon è vero? - chiedeva donFernando al vezzoso Lionello. - Un altro bicchierinovi prego. -

E il vezzoso Lionello non si faceva pregare due volte. Qualè il figlio d'Albione che non ami il gin? Se ci fossesi potrebbechiamarlo un figlio degenere.

Aggiungete che il gin è un ottimo conduttoredell'amiciziacome l'acqua lo è dell'elettrico.

Ridotto a buon segno il suo uomodon Fernando lo prese abraccetto e lo condusse bel bello a dare una giratina nel parco. Immaginateanche su quale argomento egli conducesse il discorso.

- Com'è bella! - gli disse.

- È un angelo; - rispose Lionello.

- Ahse io fossi più giovanenon so davvero quel chefareiper una donna simile.

- Confessateducache ne siete cotto.

- Io? chevi pare? Finisco di dirvi che alla mia età non sifanno più certe pazzie.

- Infattinon siete più giovane. Trentaquattro anninon èvero?

- Pur troppo; - rispose il ducatraendo un sospiro.

E dentro di sèsoggiungeva:

- Caro ragazzo! Vedete come mi butta a mare! Ma giàanch'ioquando avevo vent'annicredevo poco alla gioventù degli uomini ditrenta. -

Intantoil vezzoso Lionello proseguiva:

- Quantunque mia cugina pretenda che si sia giovane aquarantaed anche più in là.

- Ahpretende questomiss Lawson? E a che proposito lo hadetto?

- Appunto per voi. Gli avevo dettofin dalla prima volta chesiamo venuti qua: il duca di Marana non è insensibile alle bellezze dellasignora.

- E lei?

- Rispose che non ci credeva affatto.

- Miss Lawson vede giusto; - sentenziò don Fernando.

- Giànon credeva possibile che voi foste innamorato; masapete perchè? Perchè la cosa le sembrava esorbitante. Capiretemia cugina hale idee d'una ragazza. E quando io le dissi chedopo tuttola vostra età…Non vi offendetem'immagino?

- Niente affattocontinuate. Che cosa vi disse miss Lawson?

- Che siete giovane. E infattivecchio non lo siete dicerto. Ma pretender poi che si sia giovani anche a quaranta e più in làvia!mi pare un po' grossa.

- Pare anche a me; quantunquese lo dice miss Lawson… Mapoichè parliamo d'etàquanti anni credete che abbia la signora Laurenti?

- Non saprei; - disse Lionelloche era colto allasprovveduta. - Ventitrè?

- Aggiungete.

- Venti…cinque?

- Aggiungete ancora. La signora Luisa deve averne trentaogiù di lì.

- Ahah! mi fate ridere! - esclamò Lionelloun po' confusoda quella enumerazione. - Ma infine che importa? Dicono i francesi: une femmen'a que l'age qu'elle parait

- Questopoiè verissimo; - osservò don Fernando. - Lasignora Luisa non dimostra neanche venticinque che voi le avete regalati. Ècosì fresca! così bella!

- Dite divina. Io non ho mai veduta una donna cosìadorabile.

- Bravomi piace il vostro ardore. E lo avete detto anche avostra cugina?

- S'intende.

- E lei?

- S'è messa a ridere. Del resto mia cugina non è invidiosa.

- Et pour cause! - aggiunse mentalmente il duca diMaranache aveva sempre negli occhi le tenerezze di Guido per la signorinaLawsone il buon viso con cui essa mostrava di accoglierle.

La conversazionecome vedeteera bene avviata. Lionelloaveva trovato un cuore amicoin cui versare la piena de' suoi giovani affetti.Sono così confidentie così chiacchierinii vent'anni!

- Miss Maud è molto bella anche lei; - disse il duca. -Avevo creduto da principio che voi foste il suo fidanzato.

- Ah sìper celiafin da quando avevamo dieci anni; -gridò Lionellodando in uno scoppio di risa. - Ma come volete che io sposi unafanciullache ha quasi la mia età? Ci sono appena due mesi di differenza. Delrestomia cugina ha un umore troppo diverso dal mio. È una cosa che abbiamoriconosciuta sinceramente ambedue.

Al duca di Marana non dispiacque la notizia. Anche senzaaverci un interesse particolarecerte cose si ascoltano sempre volentieri. Quelvezzoso biondinomesso cosìsenza complimentifuor dalle grazie di una bellaragazzacominciava ad entrare in quelle di don Fernando. Per una parteintendiamoci; ne restava sempre un'altraper cui don Fernando non lo potevasoffrire.

- Ah! - esclamò eglicol tono sospensivo di chi vorrebbesapere e non parer di volerlo. - Siete venuti già a questo punto? Ella sadunque che il vostro cuore è impegnato fuori di casa?

- Non so; io certamente non gliel'ho detto. Siete voi ilprimo con cui ne faccio parola. Ma a voisignor ducanon si potrebbe nascondernulla; siete un uomo di mondoe di queste avventure dovete averne avuteparecchie.

- Eh! temporibus illis! Oramai sono da mettere fra igiubilati. Godo della fortuna degli altrie a voi ne desidero un centinaio. Vibastano?

- Ahme ne basterebbe unauna sola- disse Lionello tradue sospironi.

- Che c'è? Le faccende camminano male?

- Non dico questo; penso che vederla una volta sola persettimana è troppo poco.

- Lo credomio giovine amicolo credo. Se potessi darvi ilmio posto! Ma la distanza non è poi molta; le occasioni si possono far nasceree l'amorequando sia aiutato dal coraggiovince ogni ostacolo.

- Se non si trattasse d'altro! - esclamava Lionello. - L'amogià tantoche non si può dire di più. Mi ha inebriatoche volete? mi hainebriatocome inebria il profumo d'un fiore. Ma il fiore perde il profumoella noe lo comunica anche ai fiori avvizziti.

- Che cos'è questa sciarrada? - chiese don Fernando tra sè.

E guardando il suo giovine compagno gli parve scorgere chemettesse le palme contro il pettoall'altezza di quella tascain cui persolito si tiene il portafoglioo l'astuccio dei sigari.

- Ai fiori avvizziti! - ripetè don Fernando. - Ahcapisco;abbiamo già un piccolo ricordo.

- Sìamico mio; vedete qua! -

Così dicendoil vezzoso Lionello aprivasotto il naso delsuo interlocutore un portafoglio di cuoio di Russia. Ci si vedeva pocoin mezzoagli alberi del parcoma quanto bastava al duca di Marana per distinguerel'oggettoe alcuni fiorami ricamati in seta sulle facce interne del maledettoportafoglio.

- Ahle sue dita d'oro hanno fatto il ricamo? - chiese eglistringendo i denti dalla stizza.

- Noquesto ricamo lo ha fatto mia cugina. È stato il suodono pel mio giorno natalizio. -

Il duca di Marana respirò; ma per poco.

- Vedete piuttosto qua dentro; - continuava Lionello; - c'èun fiore naturaleun fior di gardenia. Non sentite la fragranza?

- Comunicata da lei; - notò il duca; - perchè l'altra…deve già averla perduta.

- Infatti- ripigliò Lionello- è dell'altra settimana.

- Quando siete venuto la prima volta? Ma bene! Proprio alpasso di carica! E ve lo ha dato lì per lì…

- Nole è caduto. Lo aveva in senonello scollo dellavita; ma capirete che non poteva cadere da sè.

- Giustissimo; non poteva cadere. Ma voida cavaliereaccortoavrete almeno messo i puntini sugli i.

- In che modo?

- Facendole capire che lo avevate raccolto da terrae cheavevate indovinata la sua gentile intenzione.

- Ohquesto si sa.

- Ed ha capito?

- Ma… credo; una donna non capisce sempre ogni cosa? -

Il duca di Marana era su tutte le furie. Avrebbe data l'animaal diavolose quel grazioso personaggio gli fosse lì per lì capitato tra'piedi. Ma anche il diavolo invecchiae non è più così lesto come una voltaad acciuffar le occasioni.

- A che pensate? - gli chiese il giovine innamorato.

Don Fernando non volle tradirsi sul più belloedata unascossa di testacome per rimetterla a segnorispose:

- Pensomio giovane amicoche si potrebbe fare un bel passodi contraddanza. Voi innamorato della signora Laurenti; Guido innamorato divostra cugina…

- Ahcredete davvero? Ma sìma sì- gridò Lionelloridendo; - ella è sempre a passeggio con lui. Voglio canzonarla quel pocolamia cara cugina!

- Non andrete già a dirle chi vi ha messo sull'orma!

- Non dubitate; sono un uomonon già un ragazzo. -

La conversazione avea dato al duca di Marana tutto quel sugoche egli voleva; era dunque da farla finitae don Fernandopreso a braccettoil suo giovane amicolo ricondusse verso la casa.

Sentiva un po' di vergognail nostro duca. Non giàdell'artifizio con cui aveva cavati i segreti di bocca allo sbarbatello; ma diaver dovuto fingere una specie di complicità in quella sua ragazzata. Peraverne l'intieronon aveva forse solleticato un po' troppo il vezzoso Lionello?E non era quello un piccolo tradimento verso il suo ospite?

Tradimento! Ci pensò tutta la nottea quel caso dicoscienza. Ma non tradivaluiper suo contoe da un pezzo? ci voleva propriolo aver tenuto bordone alle chiacchiere d'un adolescenteper fargli sentire unrimorso?

Povera natura umana! Vede soltanto quel che le comoda equando le comodasoprattutto!

Ma appunto allorache egli vedeva meglio dall'esempio di unaltro la sua condizione di tentatoreappunto allorache leggeva nel cuore diquel piccolo rivalela cui baldanza giovanile gli pungeva il cuore di sospettinuoviappunto allora il duca di Marana prese una grande risoluzione. Vorreichiamarla eroicase non sapessi che c'entrava un pochino di sfiducia per sèedi malumore verso quel l'altroche era venuto a vogargli sul remo.

Don Fernando passeggiò lungamente per la sua camerameditando il pro e il contro dell'impresa che gli girava per la fantasia;finalmente la ruppe coi dubbi della sua logichettama più ancora con letortuosità di una strada falsache non gli prometteva niente di buono.

- Oramai sono al termine degli scavi; - diss'egli. - Non c'èpiù tempo da perdere. Se questi Lawsonche Iddio li benedicason capitati alSahibgarla colpa è un po' mia; tocca a me di rimetter la pace qua dentro.

Troppo generosità! direte voi. Ma che ne posso iose quelmagnifico uomo era fatto così?

 

 

XVI

 

Il duca di Marana ha dunque un segretoe i miei lettorivorranno saperlo. Stiano tranquillisaranno i primi a cui lo diròma un po'di pazienzaper ora. Lo stesso don Fernando ci vedeva ancora poco chiaroinquello che contava di fare; e perchè tra il pensiero e l'azione c'è semprepiù distanza che non dalla coppa alle labbrae perchè nel frattempo il signorduca poteva anche cangiar d'opinionenon bisogna dare intorno ai suoiproponimenti un cenno prematuroche potrebbe essere chiarito inutile dallostesso andamento delle cose.

Per intantoil nostro eroe sentiva il bisogno di esser solo.I grandi pensierilo sapetevogliono la solitudine. Tutti gli eccelsiriformatorisia che mirassero a riformare il proprio simileo solamente sèstessihanno sempre incominciato con una fermata più o meno lunga al deserto.

Di graziacome si possono meditare efficacemente le novitànell'ordine psicologico e moralese non si rompono prima di tutto quei millevincoli che ci legano al vecchio mondo delle nostre abitudini? Farsi lasolitudine in un angolo di cittàin una stradain un quartierino modesto! Diobuonoma come è possibile ciò? Anche quando centinaia di importuni nonvenissero per bussare al vostro usciole centomila voci della vita quotidianasalirebbero alle vostre finestre. E quando non ci fossero altre attaccature fravoi e il mondonon ci sarebbero ancora la serva e la portinaia?

Senza dover cercare fin là i suoi vincoli col mondoesterioredon Fernando ci aveva intorno tutta quella piccola colonia delSahibgarche era per l'appunto la cagione de' suoi grattacapi. Ad ogni costose voleva vedere un po' chiaro ne' fatti suoi e prendere una risoluzioneenergicaad ogni costo doveva piantar lì uomini e donnecoi loro idilii e iloro romanzettiper andarsene a rifugio tra le rovine di Karma Vridi; cheforsedopo tuttoavevano bisogno di lui.

Ma l'uomo propone e la donna dispone. Il mattino seguentementre egli si preparava alla partenzala signora Laurenti lo pregò di fareuna piccola variante nelle sue abitudini. I Lawson rimanevano ancora per tuttala giornata; non era bene che egli se ne andasse così.

- Capisco- diss'egliguardandola perplesso- capisco;potrei mandare a dire lassù che oggi non vado. Quantunquei lavori sono giàad un certo punto…

- Ohnon ci sono scuse che tengano; - interruppe la signoraLuisa con piglio autorevole; - la vostra assenza dispiacerebbe troppo allesignore.

- Perchè non dire "a me?" - chiese in cuor suo ilduca di Marana. - A leiveramentegliene importa poco. -

E in quel puntomentre s'inchinava in atto d'obbedienzadaquel buon cavaliere ch'egli erain quel punto vide con gli occhidell'immaginazione un fior di gardeniache cadeva dallo scollo della veste diquella graziosa signoracosì serenamente lieta davanti a luiun fior digardenia che altri era pronto a raccogliereper recarselo alle labbra.

- Non andrò; - rispose egli brevementein appoggio aquell'inchino che ho detto.

E dentro di sè soggiungeva:

- O quel ragazzo è mattoo questa donna… E perchèpoi?Non fa nulla di nuovonè di diverso dalle altre. Si tratta d'una galanteriafinalmente! Che cos'è una galanteria? Uno scherzo innocente e le signore liamanogli scherzi innocenti. Si può benissimo passeggiare sull'orlo di unprecipizioquando non si ha paura delle vertigini. L'essenziale è di noncascarci dentro. Già!..-

L'ironico monosillabo vi dica con che animo si disponesse donFernando a proseguire la conversazione. Essa del resto fu breveperchèLionello non tardò molto a giungereper fare il terzo; e don Fernandopercontentar la signoradoveva andar e di là dal pontead avvisare i suoiuominiche non lo aspettassero più oltre.

La giornata fu mediocrecioè a dire non bella nè brutta.Don Fernando stava grossoeper dissimulare il suo pessimo umoreragionava dicose serie. Indizio gravecome vedete. Quando un giovanotto (e il duca diMarana lo erachecchè ne pensasse il biondo Edgeworthche aveva il lattesulle labbra) quando un giovanotto si dà al serioin una società dove ci sonosignoree tende a far crocchio in disparteper ragionare verbigrazia dieconomia politicadite pure liberamente che quel giovinotto è fuori deigangheri e che le signore presenti ci hanno la parte loro nel suo umorebisbetico. È infatti naturale che le donne attraggano i giovani nel giro delleloro conversazionianche frivolecome il sole attrae nella sua orbita ipianetio un pianeta i proprii satelliti; chi si appartao altrimenti resisteall'attrazione delle dameè sdegnato di sicuro. Non vuol parerecerca ipretestimette mano ai discorsi più noiosida far dormire la gente in piedi;ma non c'è dubbiol'amico ha le lune; e che lune!

Dunqueil signor duca ai Marana si era dato ai discorsiserii. Per quella mattina egli non fece altro che ragionare di scienze socialicon sir Giorgio; il qualecome potete figurarviera invitato al suo giuoco. Ele signore lasciarono che il duca si sfogasse a sua posta. Per un uomotrattenuto al Sahibgar dal desiderio delle signorenon c'era male; che ne dite?

Nelle prime ore del pomeriggio capitò un messo da KarmaVridi. Il duca lasciò la brigata per andarlo a sentire. Si era fatta unascoperta importante; almenocosì pareva a Berarche aveva creduto di dovernemandare l'annunzio al Sahib Marana. Smuovendo i rottamii manovali avevanotrovata una buca nel pavimento. Sgomberata l'apertura per alcuni palmi diprofonditàavevano veduto che non si trattava d'un avvallamento del terrenoperchè v'erano tracce di pareti regolarmente condotte; e nemmeno di un pozzoperchè quelle stesse paretidopo un certo tratto a piomboaccennavano apiegare da un lato.

- Che c'è di nuovo? - chiese Guido Laurentiavvicinandosi.

- C'è che laggiù hanno trovato il sotterraneo - disse ilduca di Marana. - Se permetteteio vado. Una scusa con questi signori non saràdifficile trovarla.

- Inventeremo un quarto avatara; - ripigliò Guidoridendo.- Vi accompagnereise non fossimo troppo vicini all'ora del pranzoe se inostri ospiti non partissero appunto stasera.

- Avete ragione; restate.

- Verrò domattina per tempo; - soggiunse - Guido.

- Venite. -

Così laconicamente il duca di Maranafelicissimo in cuorsuo di sottrarsi alla compagniadi avviarsi al deserto. Spacciata la suafrottola per iscusarsi con la brigataindossò in fretta i suoi abiti dacacciatoreprese la sua carabinae si avviò lestamentein compagnia delmessaggiero.

Lady Evelina era stata molto graziosa con luie sir Giorgioquasi non occorrerebbe il dirloespansivo come al solito; miss Maudpercontromolto impacciataquasi freddae Lionello un pochettino confuso. Ilbiondo adolescente sentiva forse un certo rimorsoper tutte le confidenze chegli aveva fatteose voleteper tutte le illustrazioni a cui aveva dato ilcarattere di confidenze.

La gita del duca fu tutta un monologobrontolato tra identi. Ve ne ho già fatto gustare unoa pari condizioni di moto in luogoenon mi dà l'animo di farvi sorbire quest'altro. Questo è certoe può dirsidelle sue meditazioniche egli pensava al sotterraneo di Karma Vridimeta delsuo viaggioe al tesoro di Golcondaargomento delle sue ricerchecome al GranTurco e alle casse di risparmioquei due temi così felicemente maritati nella"bellissima giornata del cavaliere" in un sonetto del Belli.

- Metterò ognuno a suo posto; - conchiudeva il ducagiungendo in vista delle sue rovine; - non son più iose non metto ognuno asuo posto. -

Karma Vridi lo distrasse un pochino da quei disegniautoritarii. L'archeologia riacquistava i suoi diritti nell'animo di donFernando.

- Dov'è questa buca? - chiese egli a Berarcome fu giuntolà dentro.

- Eccola; - rispose Berar.

E gli fece vedere un'aperturaabbastanza larga sui marginiproprio davanti a quello zoccolo di pietrasulla cui superficie sfaldata ilduca aveva creduto di riconoscer le tracce del terzo avatara di Visnù.

Fin qui la leggenda di Lacmana appariva conforme al fatto; omeglioil fatto appariva conforme alla leggenda. Per altrodov'era andato illastrone che doveva coprire la buca? E perchè tutto quel l'ammasso di rottamiche ingombrava il pozzo? Non poteva nascere il dubbio che quel sotterraneo fossestato visitato?

Per far le cose in ordineil duca di Marana chiese conto aBerar della pietra che avrebbe dovuto coprire l'apertura.

- Non abbiamo trovato che dei frantumi; - disse Berar.

Era il caso di mettere a raffronto quei rottami con gli altripezzi di cui si vedeva lastricato quell'angolo del pavimento. Ma tutte leschegge erano state spazzate viaammonticchiate a rinfusa sui latie riuscivaimpossibile di riconoscerne l'identità. Il dubbio che la buca fosse stataaperta in altri tempi non poteva chiarirsineanche ammettendo la mancanza diuna lastra solaperchècome si è dettol'affondamento aveva i margini piùlarghi che non bisognasseper corrispondere all'ampiezza della buca. Moltoprobabilmentela lastra si era sfondata sotto l'urto della parte superiore deltempio; il quale urto aveva sfracellati anche i margini delle lastrecircostantima senza poter fare di piùstante la resistenza del terreno. Chec'era egli di stranosedove il terreno mancavala lastra era sparita e lemacerie si erano precipitate nel vuotochiudendo l'imboccatura del sotterraneo?

Queste osservazioniche avevano pure la loro gravitàchetarono un poco lo spirito del ducacosì pronto ai sospetti.

Berarche non poteva immaginarsi il vero scopo dellericerche del Sahib Maranacredette di aiutarlomettendo fuori l'idea che sitrattasse di un'uscita del munder a qualche punto non lontano dellacampagnaod anche di una via di comunicazione sotterranea con una vecchiafortezzadi cui si vedevano gli avanzia due miglia più oltresulla collinadi Pandia.

- Potrebbe darsi; - rispose don Fernandoche sapevabenissimo la cosaper le notizie avute dal mahunt di Paravady. - Ma ache ci servirebbe la congettura? Qui c'è il principio del sotterraneo; di quibisogna cominciare lo sgomberoper vedere di esplorarne almeno una parte.Continua dunque a far togliere queste maceriee ci lavorino quanti uominipossonosenza impacciarsi l'un l'altro.

Dentro la bucafin dove era già state sgomberatanon ce necapivano più di due; ma tutto intorno ai margini ce n'erano otto o dieciattenti a levare le ceste piene e a restituire le vuote a quei due.

Il pozzocome sapetedopo essere andato un tratto a piombopiegava da un lato e al di fuoridando ragione alla congettura di Berar. Taleessendo l'andamento della bucanon si doveva faticar molto a trovare il passoliberoparendo naturale che la rovina delle macerie non fosse andata troppooltreanche in linea orizzontale. Ma poteva darsialtresìche il camminoandasse per un tratto in discesae che quella gola a piano inclinato si fossecolmata anch'essa; donde la prospettiva di un lavoro più lungo.

Ad ogni modoper quella sera bisognava rinunziare allasperanza di penetrare nel sotterraneo. E la notte sopraggiunsecon la suarapidità tutta indianasenza che don Fernando potesse argomentar nulla dicertointorno alla durata di quel nuovo lavoro. Fortunatamentedoveva esserl'ultimo.

Raccolto in un angolo della sua piccola fortezzae nonpotendo prender sonnoil duca di Marana si figurava l'opera compiutaentravanella via sotterraneacontava i cento cinquantadue passi necessari a trovare ilpunto giusto per la ricerca del tesorotastava il muro col suo mazzuolosentiva il vuotorompeva… e lìdiamanti a bizzeffe. Non per luilosapetema per gl’indiani di Paravady. A lui la gloria della scopertae ildiamante più grossoper metterlo ai piedi della signora. Ahquella benedettasignora! Quante volte ritornavanel soliloquio del duca! Quanti pensieridolorosi gli destava nel cuore la sua bellissima immagine! Ma già aveva fattoil proponimento… quel tale proponimento che sapeteo meglio che non sapeteancora! E il proponimento e il tesoro si avvicendavanosi confondevano nellasua testaper fargli perdere quell’oncia di cervelloche ancora glirimaneva.

Vi è mai occorso di stare con l’animo sospeso tra due curediversequasi d’indole oppostao di voler spedire due faccende ad un tempo?Se vi siete trovati in questo casorammenterete come quel doppio lavorodella mente vi rendesse torbidiintollerantiscontrosie con gli altri e convoi. Così il duca con sè medesimopoichè aveva fuggita la compagnia delSahibgardivenutaglisto per direantipatica. Nè la solitudine di KarmaVridinè il silenzio della nottevalevano a ridargli la quiete. La vinse lastanchezzapiù che le stellesecondo l’espressione virgiliananon lopersuadessero al sonno. Si addormentòma per sognare un mondo di stramberie;che il dio Visnùpresolo per manolo conduceva nel sotterraneo a prendere iltesoro; che egli s’impadroniva di un diamante di quattrocento caratie cosìsfavillante da abbarbagliare Lionello Edgeworth; che Guido Laurenti fuggiva conmiss Lawson attraverso le gole dell’Imalaialasciando a lui di consolare lasignora Luisa; che era feliceo megliolo sarebbe statose non capitavaGiacomo Vernazzail giardinierea rinfacciargli il suo tradimentoaccusandolodi aver favoriti gli amori e la fuga di Guido; che la signora Luisa glirivolgeva un’occhiata di sommo disprezzo e lo piantava lìper ritornarsenein Europa; che egli voleva seguirlama si trovava sbarrato il cammino da unenorme cobra capello; che la via si ristringevafino alle proporzioni di unastanzetta umida e buianel cui fondo vedeva fiammeggiargli occhi e dardeggiarela lingua del rettile immondo; che non aveva un’arma per difendersi e ilrettile gli si avventava controlo stringeva nelle sue spiregli piantava identi nel petto. Si svegliòcon quella sensazione di dolore; si tastò consollecitudine mista a ribrezzo il costatoe si avvide chevoltandosiinconsciamente dal suo giaciglio di strameaveva urtato contro uno stecco.

La luce del mattino trapelava dalle fessure del tetto. Nonera più il caso di dormiree il signor duca si alzò. I suoi uominigiàusciti all’apertosi disponevano a ritornare al lavoro. Nè la luce delmattinonè l’idea del lavorovalsero a schiarirgli la mente; era semprerannuvolato e di un umore pessimoche rasentava il feroce. Lacerò cinquefoglietti di cartaprima che gli venisse fatto di azzeccare una spagnolettaemandò a male tre fiammiferi per venire a capo di accenderla. Così pieno di maltalentose ne andò ad osservare gli scavi.

Era là a dir l’orazione della bertuccia su quella congeriedi sassiquando capitò Guido Laurentifresco come una rosabello a vedersicon quella sua faccia leggermente abbronzatala sguardo apertoi capeglibiondi svolazzanti sugli orecchiche pareva il dio Feboquando faceva ilpastore nella reggia di Admeto. Per altroil nuovo Feboinvece del vincastroportava la carabina.

- Buon giorno! - gridò allegramente Guidoapparendoimprovvisamente sul colmo del ciglione.

- Buon giorno! - rispose il duca di Maranacon vocesepolcrale.

E senza perdersi in dimostrazioni d’amiciziacondusse ildiscorso sulla bucache si apriva ai loro piedie in cui lavoravano gl’indiani.Guido Laurenti osservò minutamente ogni cosafece le sue riflessionile suecongettureindi passò ad un altro argomento.

- Bravo! Non mi chiedete nemmeno se i nostri ospiti sonopartiti.

- Me lo immaginavovedendovi capitare; - rispose il duca. -A propositovolevo parlarvi. -

Don Fernando non aveva trovato altro appiglio per entrare inmateria. Intantoil dado era trattoed egli si sentì sollevato. Certidiscorsi vogliono essere attaccati ex abrupto.

- Anch’io; - gli disse Guido. - Vedete come ci s'incontra!

- Voi ridete; ma si tratta di cose gravi; - rispose il duca.

- Che? - esclamo Guidocon accento mutato. - Vi sarebbeforse intervenuto qualche dispiacere? ParlateFernandoparlate.

- Nonon mi è intervenuto nulla; sebbeneper colpa vostrail dispiacere ci sia.

- Quand’è così- replicò Guidoun po’ sconcertato daquella botta improvvisa- son pronto a farvene ammenda. Mi è troppo cara lavostra amicizia.

- Grazie; - borbottò il duca.

Intanto si muovevaper condurre in disparte il suo ospite.

Giunti all’ultimo ciglio del poggiosedettero gravementesu due massi che sporgevano dalle macerie e sembravano piantati là a bellaposta per una conversazione. I manovalialzando gli occhi dal lavoropotevanovederlima non udirne i discorsi.

- Son qua e vi ascolto; - disse Guido Laurenti.

Il duca rimase per parecchi istanti in silenzio. Finalmentescappò fuori con questo esordio:

- Parliamoci schietto.

- Col cuor sulle labbra: - ribatte Guidoacconsentendo delcapo.

- Ottimamente; - replicò il duca di Marana- entro dunquein argomento. Voi… trascurate vostra moglie.-

 

XVII

 

A quella escita inattesaGuido Laurenti diede un sobbalzoepoco mancò non gli sfuggisse di mano la carabinasu cui si era appoggiatoaspettando le schiette parole del duca. Ma dopo quell'atto di stuporee nonsapendo spiegarsi lì per lì tanta tenerezza di don Fernando per la suafelicità coniugalerivolse all'amico un'occhiata curiosaquasi temendo cheegli avesse dato il cervello a pigione.

Ma il duca di Marana pareva molto in sèe la sua gravitàil piglio austero e lo sguardo inquisitoriofacevano pensare ad un moralistanel pieno esercizio della sua autorità.

- Oh diamine! - esclamò allora Guido Laurenti.

E senza volerloincrespò le labbra ad un mezzo sorrisochepoteva esprimere ugualmente la sua innocenza rispetto all'accusao la suaincertezza su ciò che doveva pensare del duca.

- Non c'è da ridere; - ripigliò don Fernandoche l'avevapresa su quel tonoe non poteva mutarla. - Trascurate vostra moglieperchèamate…miss Lawson.

Fu quelloper Guido Laurentiil caso d'inarcare le ciglia.

- Miss Lawson! - ripetè egli trasognato.

- Sìho detto miss Lawson; - replicò il ducamisurando lesillabe. - E che cosa ne sperate?

Guido era evidentemente rimasto atterrato da quell'attaccodel suo interlocutoreanzi megliodel suo giudice. Ma si riebbe prontamente ecomponendo il viso a quella gravità che la circostanza richiedeva così glirispose:

- Moltospecie adessodopo la vostra sfuriata.

- E perchèdi grazia? - chiese il duca di Maranarizzandofieramente la testa.

- Perchè essa mi conforta nel mio disegno; ecco tutto.

- Guido! - esclamò il ducacon un accento che nonprometteva niente di buono per la continuazione del colloquio.

- Fernando! - replicò Guidosul medesimo tono.

Don Fernando si contorse un pochino sul sedilebattè dellelabbrarotò gli occhifece insomma tutti i versi caratteristici dell'uomospazientito..

- Via- diss'egli posciascuotendo il capo- non faccianouna commedia.

- Sia purenon la facciamo. Ma avete torto; perchèin fedemiadovrebbe riuscire gustosa.

- Vi avverto che non sono disposto alla celia.

- Infattimi pare; avete un'aria così torbida! Se leSignore vi vedessero…

- M'importa delle signore… - gridò il duca di Marana.

Ma non gli diè l'animo di compiere la frase.

- Andrò via da Paravady- soggiunse in quella voce- dovemi pento di esser venuto.

Guido Laurenti si alzòe con accento di rimprovero glirispose:

- Ahquesto è più grave; e voiFernandonon sapeteadesso quello che dite.

- Mi pentosì- replicò don Fernando- e voi neintenderete la ragione. Ma prima di andarmeneho sentito l'obbligo diavvertirvi che così non va.

- Non va! che cosa?

- Quel che voi fate. Con una donna come quellabellissimaintelligenteaffettuosache vi ha seguitato fin qua…

- Proseguite- disse Guido Laurentivedendo che il duca diMarana si fermava ad appoggiare la frase con certi suoi tentennamenti di testa.

- Sìperchè infine- continuò don Fernando- non èdella donna di sacrificarsi in tal modo ai capricci di un uomo. La donna faviaggiarecorrere mezzo mondoe magari impazzire- e così dicendo il ducasospirava- ma non impazzisce leinon corre lei in capo al mondoper laconquista di un uomo. Questa è la regola; ma a voi è toccata l'eccezione. Ecome vi mostrate degno della vostra fortuna? Vedetevi parlo schiettamentecome vi ho promesso; perchè certe cose mi pesavano sul cuore e mi faceva maledi non darle fuori. State a sentirle; farete poi quel che vi tornerà meglio.Ripetocome vi siete mostrato degno di lei? Son capitato qua e vi ho veduto;freddomisuratocortese anche negli attima di quella cortesia che mascherala noncuranza e la noia. Giàso quello che potreste rispondermi; laconsuetudineil vedersi troppoil viver solied altre sciocchezze di questogenere. La sazietà trova molte scuseanche filosofichese occorrepercoprire i suoi torti. La beatitudine eterna non è per questo mondonè per lanatura umanache si compone di sorrisi e sbadigli; il bello è nel vario…Infattiera il vario che mancava a voi. E proprio in buon punto è capitata unacerta signorina bionda!.. Non ci avrei da veder nullase non l'avessi condottaio. Sono stato uno scioccoin verità; non si poteva essere più sciocco dicosì. Ma vivaddioamico Laurentiabbiatevela a maleo novi sentirete direla veritàe mi risponderete poisenza ambagisenza reticenzeche cosacontate di fare. Non sarebbe da gentiluomose… -

Guido Laurenti gli mozzò le parole con un gesto. Era statoad udirlo con aria abbastanza rassegnata; aveva lasciata andaresenzainterruzioniquella filippicamolto confusa e discretamente comicadel suonobile amico. Ma poichè lo vide uscir fuori dal seminatosi fece con gransollecitudine a dargli sulla vocetemendo che nel calore della improvvisazionegli scappasse detta qualche grossa corbelleriaper esempio una di quelle frasiche duole poi d'aver profferitema che rincresce anche più di dover ritirare.

- Bravo! - gli gridòper non dargli il tempo a ripigliare -Dopo avermi investito- con tanta furiaoffendetemi anche un pochino. E perchèpoi? Per miss Lawson che amatee che io consoloparlandole di voi!

- Che cosa dite voi ora? - esclamò il duca di Marana.

- Che da parecchi giorni io non fo altro che lavorare pervoi. Diventate così malinconico! Abbiamo indovinato il vostro segretoe viabbiamo data una mano. Così ci ricompensate! -

Il duca di Marana era rimasto lì come Teneteil personaggioproverbiale della bocca aperta.

- Perchè parlate in plurale? - gli chiesedopo un istantedi pausa.

- Perchè… oh bella! Perchè eravamo in due ad aiutarvi.Avevo accennato il mio disegno a Luisaed essa lo ha approvato.

- Lei!

- Sìlei.

- Scusate- osservo il duca di Marana- ma non locredo.

- Dovrei andare in collera; - notò Guidocon ariaperplessa.

Ho detto ariabadate; nel fatto non ci pensava neancheel'intonazione della voce era quasi di celia.

Il principio di quel dialogo lo aveva un po' sconcertato; mapoivedendo di che si trattasse e intendendo lo stato d'animo del ducasi eraprontamente rimesso. Quelle furie del suo nobile amico non lo turbavano punto;quasi quasi si sarebbe detto che gli facessero piacere.

Don Fernando tentennò un poco la testacome aveva giàfatto una voltae si morse le labbraquasi volesse punirle di aver lasciatapassare quella parola scorteseche dopo tutto non aveva avuto neanche il meritodi far perdere la pazienza al suo interlocutore

- Cioè… volevo dire… - soggiunse annaspando.- Insommavoi m'intendete; questo non è uno di quei discorsi che si fanno tutti giorni.

- Vero- disse Guido.

- Nè tra ogni specie d'amici.

- Verissimo.

- E infinel'amicizia dà pure il diritto di fareun'osservazione.

- Chi ve lo negaFernando? -

Al duca di Marana tutte quelle frasi di assentimentopiacevano poco.

- Mi fate rabbiacol darmi sempre ragione; - gli disse.

Guido Laurenti allargò le braccia e chinò la testaconaria di rispondergli: starò zitto!

- Perchèinfine- soggiunse il duca- mi date ragioneenon mi dite nulla di nullaintorno all'argomento della nostra conversazione.

- Vi darò torto per la prima voltae sarete contento; -rispose Guido Laurenti. - Questa non è una conversazionee da parte vostrasomiglia piuttosto ad un alterco. Ma veniamo all'argomento che dite. In che cosavi ho risposto fuori di tono? Vi ho confessata candidamente la ragione dei mieicolloquii con miss Lawsondi quei colloquii che vi sono tanto spiaciuti.Capisco benissimo chegiudicando così a occhiosenza approfondir nullapotessero destare qualche sospetto. Ma ora che vi ho spiegata ogni cosami pareche potreste farmi la grazia di smettere. Quanto al trascurare mia mogliepoichè l'accusa era appoggiata alle mie pretese tenerezze per miss Lawsonchecosa ne rimaneditelo voiche cosa ne rimane orache queste tenerezzesvaniscono? Rimangono le vostre supposizionise pure volete mantenerle; ma lesupposizioni non hanno valore in nessun casoquando non sono confortate da unbriciolo di prova.-

Un risolino ironico increspò le labbra del duca.

- Giàmancano le prove! - diss'egli. - E quella vostrafreddezza… quell'aria d'idolo indiano annoiato?..

- Ecco le vostre esagerazioni - rispose Guido con calma. - Mivolete ardentechiassoso nelle mie dimostrazioni d'affetto. Vorrei contentarvianche in questo; ma vi avverto che la mia signora sarebbe la prima a dolersi diquesta pubblica espansione. -

Don Fernando non voleva darsi per vinto.

- Frattanto- gli scappò detto- la genteche non sanullae giudica da quel che vedesi fa animo e spera.

- Ah sìla gente si fa animo? Ma di chi intendete parlare?Al Sahibgarch'io sappianon ci praticano molte personeci siete voi… cheamate miss Lawsone ve ne faccio i miei complimentiperchè ella meritadavvero l'affetto di un gentiluomo. Ci viene sir Giorgio.- … a cui non vorreteattribuire idee di conquistasalvo nel campo diplomaticoe per conto della suanazione. Da ultimoLionello Edgeworth… -

Don Fernando si pentì di aver gittato là quel cennopericoloso; non già per sè che in quel punto non ci pensava neanche ma perquel ragazzo che egli mettevasenza volerloin mala vista presso un marito.

- È forse di lui che volevate parlare? - proseguiva GuidoLaurenti. - Infattici sta molto ai fianchiese debbo dirvi tutto quello chene pensopiù noioso che piacevole. Ma giàson ragazzie non badano a quelche fannonè al sentimento che destano.

- Lo farò correre io- disse il duca; - quel ragazzo ha datornare a Calcutta.

- Non ne farete nulla; - osservò Guido Laurenti. - E quiproprio vi parlo sul serioamico Fernando; perchè in tutto il resto io vi holasciato dire e non mi sono spazientitocome avreste fatto voi ne' miei panni.Credo infatti che l'amicizia abbia molti dirittianche a dannoanzispecialmente a danno del nostro amor propriodella nostra vanità. Ma non credo(ed e questo il gran punto) non credo che essa abbia il diritto di usurpare lanostra autorità per ciò che risguarda la casa nostrale nostre relazioni conaltra gentenè di usurpare il nostro posto in faccia alla gente sullodatanèdi chiedere o di far giustizia per noi. Se il signor Edgeworth mi dèsse noiadavveroci penserei ioprovvederei iocome soe come debbo sapere megliod'ogni altrofinche si tratta di me. Dunquevi pregoamico Fernandooccupatevi d'altro; per esempiodel modo in cui vi adoprerete a cacciargl'importuni dal salotto di vostra mogliequando avrete mogliee quandoperconseguenza necessariacapiteranno gli importuni anche a voi. Una bella donnaè come una bella giornata di soleche non viene mai senza moscerini.S'intendeche la presenza dei moscerini non esclude quella dei mosconideitafànidei calabronidelle zanzaree via via di tutte le generazionid'insetti. Comunque sianobisogna sopportarlifinchè si puòe cacciarliquando vi diventano troppo seccantisenza maledire per questo alle bellegiornate di solenè rinunziare alle belle donne. Parlo sui generali e perciòmi servo del plurale; - soggiunse Guido ridendo; - ma non vorrei esser credutoamante della pluralitàsalvo in materia di belle giornate. Quanto alle donnene amo unaiouna sola e l'amo oggi ancora come il primo giorno che ella haposta la sua mano nella miae mi ha dato liberamentema per sempreil suocuore. -

Parlando cosìed infervorandosi a grado a grado con le suestesse paroleGuido Laurenti appariva trasfigurato. Non era più il freddonaturalistail cavaliere gentile ma compassatol'uomo che pareva compiacersinel perfetto equilibrio delle sue facoltà; era un vulcanoun Mongibello; dalgrembo di quelle nevi sprizzavano le fiamme.

Il duca di Maranache due o tre voltecolpito da qualcheimmagine argutao da qualche accenno a luiaveva alzato gli occhi a guardarlocapì che diceva la verità. Ma vedete contraddizione! Non era quella la veritàche egli avrebbe voluta. Con quella veritàdon Fernando perdeva il meritodella sua ramanzinae si sentiva dire molto garbatamenteche egliper duesettimane alla filaaveva battuta una strada falsa. Poiin quell'accenno aimosceriniai mosconie a tante altre generazioni d'insettinon c'era anchequalche cosa per lui? Forse l'amico non aveva avuta intenzione di toccare piùquesto che quell'altro; ma la distribuzione era stata fattae in quelladistribuzione anch'egli poteva servirsipigliar la sua partesenza aver l'ariadi rubar niente a nessuno.

- Benebene- borbottò eglicome Guido ebbe finito- voisiete felice e non vi occorre più altro. Ma torniamo un po' indietrose non vispiace. Nelle vostre parole di poco fac'è un punto che non capisco. Lasignora sapeva… la signora ha approvato… Che cosa aveva da sapere e daapprovare la signora?

- Uomo di poca fede- gridò Guido Laurenti - anche diquesto dubitate? E sia. Andate da lei per notizie.

- Sicuramenteci andròe senza perder tempo.

- Ah bravo! Temete che io la prepari ad una piccola bugia? Dibene in meglio. Andate pure; io non mi muovo di qui. -

Era quella una prova di molta tranquillità di coscienzaeil duca di Marana non poteva sofisticarci sucome avrebbe volutoperdissimulare in qualche modo la sua confusione.

- Novenite anche voi- gli rispose; - tantoper ogginontorno più a Karma Vridi. Lo sgombero della buca vuole andar per le lunghe.

- Vi porterò le ultime notizie per l'ora del pranzo; -replicò Guido Laurenti. - AndateFernandoe non peccate più. -

Don Fernando rizzò la frontecome per domandargli che cosaintendesse di dire.

- Ma sì- ripigliò Guido Laurentiche aveva notato l'attodel duca- non siete cascato oggi in errore? Non avete peccato di falsogiudizioe di ostinazionedi compiacenza nel falso giudizio? -

Il duca di Marana non reputò conveniente di risponderglialtroe si avviò con lui verso la squadra dei manovali

Lo sgombero della bucacom'egli aveva prevedutononlasciava sperare un risultato finale in quel giorno. Più si scendevae più sirestringeva lo spazio; nè sotto l'arco della piccola vôltache si addentravasotto il muro maestro del tempioci poteva stare più d'uno.

- Qui ci ha da essere una scaletta; - osservò Guidoche nonpareva più rammentarsi del colloquio avuto poco prima col ducae si occupavadegli scavi con una calma ammirabile; - or ora si troveràil primo scalino.

- Lo credo anch'io; - disse il ducatanto per dire qualchecosa.

E non trovava il verso di andarsene. Mapoco stanteGuidogli aperse la strada.

- Mi fate il piacerepoichè andate a Sahibgardi dire aGiacomo che chiuda le mie raccolte entomologiche nel cassetto? Per venire davoile ho dimenticate sulla tavolae non vorrei che mi s'impolverassero. Miscusatenon è vero?

- Figuratevi! - rispose il duca.

E fatto un cenno del capoche arieggiava il salutodiedeuna giravolta sui tacchi. Cinque minuti dopoera sparito dall'orizzonte diKarma Vridi insieme col suo drappello di scorta.

Non era una bella cosa che facevail novello san Tommasoavoler vedere e toccare con mano. Ma in qualche modo bisognava pure che egliuscisse dal ronco. Ed era anche necessario che avesse un colloquio con lei. DiGuido non poteva più dubitare. Guido amava sua mogliepur troppo. Capite? purtroppo. Ma che ci posso far iose il pensiero del duca si presentò in quellaforma? E che ci posso far iosenon dubitando più di Guidocontinuava adubitare di lei? Tant'èquel Lionello!.. Che non ci fosse nulla di veroneanche da quella parte là? E le confidenze di quel ragazzocome spiegarle? Lastoria della gardenia poteva essere un'illusione del suo amor proprioma era dacredersi che tutte quelle vampe amorose si fossero accese per nulla?

Ma che Lionellodopo tutto? Era il caso di pensare a luiea qualche atto di civetteria femminile che lo avesse indotto in errorequandoegliil duca di Maranarammentava le parole di Guido: "eravamo in due adaiutarvi; avevo accennato il mio disegno a Luisa ed essa lo ha approvato?"Vedete un po' come quella graziosa signora disponeva di lui! Lo ammogliava conmiss Lawson. E come le era nato quel pensiero in testa? Se non si era accortadell'amore di Fernando per leitanto meglio; il fatto poteva considerarsiallora come una vergogna risparmiata. Ma che? forse una donna non si accorge diquesto cose? Altri poteva crederlonon già don Fernandoche ci aveva la suaesperienza in aiuto. Se n'era accortasicuro; e quel consiglioquel disegnoquella complicità con Guidoquel diavolo che vorreteinsommaera una feritaper l'amor proprio del ducaeraper chiamare le cose col loro nomeunavergogna di più.

A questa vergogna egli andava incontroe con un passo cosìveloceche i suoi uomini duravano fatica a seguirlo.

Che cosa voleva dir egli alla signora Luisa? A che pensava diriuscire? In veritànon lo sapeva neppur lui. Con tutta la sua esperienza!Povero duca!

 

 

XVIII

 

L'ora di mezzogiorno era passata di pocoquando il duca diMarana giunse al Sahibgar. Aveva fatta una corsa inutileil nostro duca; eraancora troppo presto per vedere la signora Luisa al suo solito postodoveingannava il tempo e aspettava l'ora del pranzoricamando o leggendoe qualchevolta ascoltando le tantaferate botaniche del suo giardiniere.

Rammentate dove fosse quel posto? Làsotto l'arcodell'atrio incoronato dai rami delle bignoniei cui fiori pendevano in grappolivermiglicullandosi dolcemente ad ogni soffio di quella poca brezza cherallegrava le giornate di Paravady. A temperare la luce del solenel quadro chele si disegnava davanti agli occhiaiutavano le masse verdeggianti dei banianilargamente distribuite nel fondoi ciuffi eleganti dei palmizi e dei calamidisseminati intorno alla maidanapiccola spianata che si stendevadavanti all'ingressoe le aiuole di fiorifoggiate a canestriche rompevanola monotonia di quella lista biancheggiante di ghiaia.

Pace! bella pace! divina pace! Come riusciva facileintenderla in quel luogo! E come era piacevole sentirla! Si andava più oltrecol pensiero; s'intendeva e si sentiva la voluttà del nirvanadiquell'annientamento dell'esseredi quella confusione dell'anima umananell'anima universaleche è il colmo della beatitudine presso i filosofiindiani. La cosa è meno intelligibile per noiche non siamo panteistie cheandiamo allegramente avviandoci a non essere più nulla. Anche questa sarà unaspecie di nirvana; ma non bellave lo assicuro io. Lasciatemi dunque tornare aquello dei filosofi indianiche forse fu loro suggeritocom'era richiamatoallo spirito di don Fernandodall'idea molto naturale dell'annientamento d'ognicuradall'obblio d'ogni molestia della vita proprianella contemplazione dellavita esteriore.

Vi ho dettosenza volerloqual fosse il pensiero del ducadi Maranamentre volgeva gli occhi in giroosservando quel piccolo tempiodesertoma così pieno della presenza del Nume. Il numelo indovinateera lasignora LuisaLu…i…sacome sillabava suo maritoquando non era ancoraniente più d'un amante.

- Forse questa donna pensa davvero così; - disse il duca trasèilluminato da quel concetto improvviso. - È il suo nirvanaquesto nidoeleganteascoso in un cantuccio dell'India. Se ella ha trovata la felicitànella paceche cosa le importerà di essere amata meno? E d'altra parte nonamerà meno anche lei? Ho sempre osservato che più si è sensibili allebellezze della naturapiù si è innamorati della vita universalesi concedemeno agli affetti umani. L'amore più vasto affoga il minore. -

Così fantasticavametà vaneggiando e metà ragionando.Salì alle sue camereper rimettersi in sestoquindi ritornò al bassoeandò a passeggio in giardino. Aveva già la sua storiail giardino. Quello erail viale in cui Lionello Edgeworth gli aveva fatte le sue confidenze; inquell'altro egli aveva posto il dito sul collo di Luisaper dar la caccia ad uninsetto impertinentema di buon gustocome sapete benissimo.

Ahipovero duca! Quell'insetto si era vendicato di luipungendolo al cuore.

Quel giorno medesimonell'ebbrezza di una dolce intimitàaveva fatto il proponimento di parlareaprir l'animo suodi schiccherare lasua brava dichiarazione. Oravedete che contrasto di casi! Veniva appunto perparlare; ma con quale intento? Per romperla.

Veramentenon c'era nulla di annodatoche si dovesserompereo sciogliere. Egli veniva a quel termineper romperla con le sue pazzesperanzeper salvarsi dal ridicolose potevao per incontrarne dell'altro.

- Vediamo; - almanaccava egli; - che cosa le dirò? Da dovecomincierò? Viase ci penso primanon parlo più di sicuro. Lasciamo fare aldestino. Non è esso che mi ha condotto in questo ginepraio? In veritàio nonmi ci raccapezzo più. Alieno dai vincoli del cuoredovevo proprio andare allaccioe senza un filo di certezza. Ma l'amore è fatto così; quando non loaccompagna questa cecità sublimeesso non è altro che un calcolo ignobile.Belle frasi; intanto io ci ho avuto il fatto mio; non mi resta che fare uninchino e dir grazie. E mezzo ammogliatoper giunta! Ahquanto a ciòsignorimieila vedremo. Ci ho da essere anch'ioa questa cerimonia; e miss Lawson…Miss Lawson è una bella e gentile ragazzae non merita che le siano offerti irifiuti delle altre. -

Così fu servitae non malela bionda figliuola di Albione.Intanto il duca di Marana tornava al suo prediletto argomento.

- Graziosa signora! Vedete quanto è generosa!.. AlmenoseGuido ha detto il vero. Perchèdopo tuttopotrebbe averla sforzata un po'luia parlare in quel modo. Non è nuovo il casotra marito e moglie. Le donnesono costrette a fingerea trovar buone le combinazioni dei mariti. Ma guaiall'amante che ci casca e si dispone ad accettarne i consigli! Il labbro siadatta a persuadere; ma lo spirito si ribellale dita si contraggono epromettono le unghiate. -

Capitargli questa idea e parergli luminosafu un punto solo.Giàlo sapetele idee balenanoe il baleno è luceo le somiglia molto.

- Eh! se fosse proprio così!… - pensò il duca di Marana.- Ma vianon bisogna fermarcisi. Se ama qualchedunonon è più probabile chequesto qualcheduno sia il vezzoso Lionello? E perchèdi grazia? La cosa nonandrebbe mica d'accordo con ciò che comunemente si osserva. Il civettare con unragazzoed anche lo accettarne apparentemente la cortemira sempre adissimulare un sentimento più vero e più profondo per altriche non è mai unragazzo. E quise togliamo il signorino Edgeworth… Ahah! - soggiunse eglicon un sorriso internoche aveva un certo senso d'amarezza- queste sono belletrovate della gaia scienzaquando volge alla corruzione. Conchiudiamo inveceche io non so nullafuor questo: che qui c'è una sfinge bella ed avara comel'anticache io vengo a strapparle il suo segretoo a farmi sbranare.

Sbranareveramenteera un po' troppo. Ma questo è ilsolito difetto dei paragoniche non tornano mai a puntino. Del restopoteteammettere che lo sbranamento accennato dal duca di Marana risguardasse solamenteil suo cuorela parte più nobileed anche la più essenziale.

Passeggiando su e giù pel giardinoera tornato in vistadell'atrioma senza aver più fortuna di prima. La sfinge non era anchediscesae il suo posto prediletto era vuoto.

Egli s'incontrò in quella vece col giardiniereche andava evenivaal solitoper le sue faccende quotidiane.

- Comeillustrissimo? Già di ritorno? - chiese Giacomoconla sua rispettosa dimestichezza.

- Sìmio caro Giacomo. Ho lasciato laggiù a surrogarmi ilsignor Laurentie sono venuto a casa…per scrivere alcune lettere. -

Quella scusacome avete indovinatoil signor duca latrovava lì per lì. Ma è delle scuse trovate a quel mododi obbligarci a fareuna cosa piuttosto che un'altraa cui si attenderebbe molto volentieri.

- Quand'è così- aveva risposto il giardiniere- nonstarò a seccarla di più. -

Ed era andato oltresenza scostarsi tuttavia dalle vicinanzedell'atrio. Dondepel duca di Maranala necessità di tornare nella suacameraa scrivere lettereo a far le viste di scriverne. La passeggiata e ilsoliloquio del giardinoebbero una continuazione non preveduta nella camera didon Fernando.

- Ma è detto che io non possa parlarle quest'oggi? - gridòegli finalmente. - Scendo di nuovoese non è ancora comparsala facciochiamare. Ho già perduto due ore di tempo utile! -

Quando discese nel vestibolonon c'era più bisogno di farchiamare la signora Luisa. La sfinge era làseduta al solito postocol suoricamo fra mani.

Ho parlato della sfingee adesso parlerò di Medusa. Labella e terribile immagine non fu veduta mai con più sgomento di quello cheprovò il duca di Maranaal vedersi di schiantoe senza aver preparato unbriciolo d'esordiodavanti alla signora Luisa.

- Che c'è? - diss'ellanotando il moto involontario delduca. - Vi faccio forse paura?

- Signora… - balbettò egli- non mi aspettavo…

- Neanch'io mi aspettavo di vedervi così presto. Ma or oraGiacomo mi ha detto che eravate tornato per fare il vostro carteggio.

- Maledetto! - pensò il duca. - Per lui ho dovuto perdereun'altra mezz'ora. -

E frattantorispondeva alla signora Luisa:

- Sicuroho scritto alcune lettere. Credo che la mail-cartpassi domani per l'appunto; non c'era dunque tempo da perdere. E adessosignora… vorrei dirvi una cosa. -

Queste ultime paroleche io riferisco come il duca le avevapensatenon gli uscirono veramente di bocca. Voleva dirleinfatti; ma lasignora Luisa si dimostrava proprio allora tanto amabile con luiche l'entrarsubito in argomento gli parve un precipitar le coseguastar forserinunziareai benefizi di quella graziosa accoglienza. - Non faccio malea incominciare leostilità? - chiese egli a sè stesso. - Non mi chiudo forse la strada? -

Perciòmutato improvvisamente il giro della frase continuòin questa forma:

- E adessosignora… sarò felicissimo di tenervicompagnia. Avete lanarefecotoneda dipanare? Ecco un guindolo di buonavolontà.

- Ah sì- rispose la signora Laurenti- gli uomini siprestano volentieri a questi ufficiper un certo spazio di tempo.

- Permettetemi di dirvi che io lo farei per cent'anni.

- Vi augurate una lunga vita; non c'è male; - osservòargutamente la signora; - lunga come quella della balia di Washington. Sapete?Quella balia miracolosa che Barnum faceva vedere per un dollaroancora diecianni fa.

- Sicuro- rispose don Fernando sul medesimo tono- quellabalia che ha avuta la fortuna di assistere a tutte le glorie del suo allievo ealle grandezze della repubblica fondata da lui. Così iosignora; assisterei atutti i trionfi della nuova regina di Golcondae agli onori che le sarebberotributati dalla memoria del suo popolo.

- Dioquanta roba! - esclamò la signora Laurenti. - Reginaa dirittura?

- Certamentee splenderànella vostra corona il piùvistoso tra i diamanti di Karma Vridiche avrò tolto domani dal loronascondiglio.

- Domani! Siete già al termine degli scavi?

- Sìla via del sotterraneo è trovata; non resta che disgomberarne un tratto dalle macerie. Ma questo lavoro sarà finito quest'oggioalla più tristadomattina.

- Sarete contento; - osservò la signora.

- Contento! oh nopur troppo; - rispose il duca sospirando.- Non cesserà forse per me il pretesto di rimanereospite importunooper lomenoindiscreto?

- Indiscreto! Importuno! che brutte parole! Vi fate davveroun cattivo concetto di noiche non ce lo siamo meritato. -

Il cuore di don Fernando si allargòvorrei poter dire chesgallettò dalla contentezzaa quelle parole della signora Laurenti. Cosìbellaresa più bella da un amabile raggrinzamento di labbraLuisa sembravacomandargli di restare. Che cosa si fa egli di diversocon una persona che sivede volentieri?

- Poi- soggiunse la signora- con la vostra partenzafareste piangere qualcheduno. Non ci avete pensato? -

L'allegrezza di don Fernando si scemò un pochinoa quellaaggiuntache mirava certamente fuori di là.

- Di chi intendete parlare? - diss'egli indovinandol'allusionee andandoci come la biscia all'incanto.

- Non commetterò un'imprudenzapoichè parlo ad un uomoserio e gentile; - rispose la signora. - Intendevo di miss Lawsondi quellabella signorinache un giornocertamente per chiacchierae senza crederne unetteabbiamo paragonata ad una…

- Non proseguitesignorave ne supplico; - gridò il ducadi Marana. - Mi vergogno di quello scherzo. Miss Lawson è davvero una leggiadrafanciulla.

- Ah! - esclamò la signora con aria di trionfo.- Ci siamo.

- Nov'ingannatenon ci siamo affatto. È bellacome avetedettoè anzi da annoverarsi tra le più belle. Ma… c'è un ma… io nonl'amo. Vi dirò sinceramente ciò che sento; mi permettete? A cuor liberoe nonseguendo altro che le sensazioni del momentoavrei potuto farle la cortenonlo nego; mi sarei anche ostinato nel giuoco; fors'anche mi sarei indispettito divederla corteggiatada un altro. Sapetesignora mia… Cioèmi spiego; voinon potete saperlecerte miserie del cuore di un uomo; ma le so ioe ve leconfesso candidamente. Ci sono due nature dentro di noila nostra particolarela più intimae quella comunela esterioreche è frutto di educazionemascolinadi convivenza con gli uomini nostri pari. E adesso m'intenderetefacilmentese io vi dirò che questa natura meno intimameno miami avrebbecondotto a corteggiare miss Lawsoned anche fatto soffrire di qualche suapreferenza per altri; ma che la cosa non era possibileper quella natura piùmiatutta mia… cheahimènon era più mia. Infattici ho guardato dentro;non c'era l'immagine sua. Posto presocome suol dirsi; e il diritto è delprimo occupante. -

La signora Luisa era stata ad udirloda prima con un sorrisobenevoloche poteva considerarsi un omaggio alla spiritosa distinzione delducaindi con un'aria pensosache lasciava indovinare lo studio dellarisposta

- Via- diss'ellacome don Fernando ebbe conchiuso-questi sono gli errori di un uomo che si è forse troppo innamorato delle suedistinzioni. Si credono molte cosedel proprio cuoreche in realtà nonsussistono. Per esempiochi può giurare che un'immaginecreduta indelebileogginon sarà cancellata domani?

- Signorae voi credete?

- Non son io che credoè l'esperienza che lo insegna atutti. È anche la ragione che lo vuole. Se fosse vero ciò che voi ditegirereste voi il mondocome fate? E non sareste invece fermo a Madridincatenato alla prima stazione della vostra vita?

- Ohma laggiù… il disprezzo mi ha guarito.

- Segno che si può guarire; segno che un'immagine si puòcancellare. Il modo è variosecondo i casie secondo il merito… delleimmagini; ma il risultato ha da essere lo stesso. E il risultato può esseremolto più facile- soggiunse maliziosamente la signora- quando l'immaginenon si è stampata per nostra volontào col nostro permessonel cuoree laritroviamo a casoguardandoci.

- Siete crudelesignora; - replicò il duca di Marana; - iomi sono servito di quella frase per modo di direper farvi intenderesenzamolti discorsicheanche rendendo giustizia a miss Lawson…

- Un'altra considerazionevi prego; - interruppe la signorache non voleva lasciarlo finire.- Siete ben certo di non ingannarvi? Da unaparte qualche idea vaga e capricciosaaccolta senza pensarci troppo etrattenuta per puntiglio; dall'altra un sentimento vero ed umano; ricusereste ilsentimentoper attenervi all'idea? M'immagino la risposta d'un filosofoostinato. Quell'idea è miadiretementre questo sentimento non mi appartiene.E perchè non vi apparterrebbese lo avete destato voi? seanziconfessateche in certi casi lo avreste eccitato voi? Del restoio non faccio tutte ledistinzioni che voi fatetra il sentire degli uomini e il sentire delle donnee vi sottoporrò una considerazione generaleche intenderete anche voi. Si èsempre un po' schiavi dell'amor che s'inspira. -

Il duca di Maranache già si vedeva preso nelle fila delsuo stesso ragionamento e si crucciava internamente di trovar tanta logica inuna bella signoraafferrò risolutamente quel capoche gli parve davvero quelbuonoper disfare tutta la maglia d'un colpo.

- È un principio pericoloso che stabilite; - diss'egli. - Seio l'applicassiper esempio… alla mia interlocutrice? -

La carta era giuocata. Don Fernando fu il primo a dolersenema non era più in tempo a ritirarla.

- Basta- soggiunse egli tra sè- quel ch'è fatto efatto. Il mio segreto mi pesava sullo stomaco.

E fissò gli occhi ardenti su leiaspettando la risposta.

La signora Laurenti era rimasta alquanto sovrapensieromanon aveva dato segno di maraviglia per quella scappata del duca. Donde saràlecito argomentare che ella si aspettasse a qualche cosa di simile.

Finalmenterispose alla domandacon molta tranquillitàeripigliando l'aria amorevolequasi sorridentedi prima.

- Se l'applicaste a me- diss'ella- io non avrei daosservare che una cosa; meglio ora che poi.

- Perchè? - domandò il duca di Maranache non intendevanulla in quel giro di parole.

- Ve lo dirò. Ma s'intende che scherziamonon è vero?

- Scherziamo pure; - rispose don Fernandoche volevaconcedere il meno possibile.

- Orbene- ripigliò la signora- io direi in tal caso alsignor duca di Marana: ci sono degli uomini alle cui domande non si rispondenulla; ce ne sono degli altria cuianche mal volentierisi risponde semprequalche cosaperchè… si amano un poco.

- Ah! - esclamò don Fernando.

- Sìe voi siete uno di quelli. Non mi credete una scioccapuntigliosanè permalosanè ipocrita. Vi amo un pocoe ve lo confesso.Siete un uomo di valore e non debbo mettervi a mazzo coi più. Giàè propriocosì; e non mi fate quegli occhiperchè mi fareste dubitare di aver dettaun'eresia. Del restonon mi sembra talenè a pensarlanè a dirla. Infinel'amare un uomo e avergli consacrata la vitanon è una buona ragione perodiare tutti gli altrio averli in conto di nulla. Ogni sentimento ha le suegradazioni; e che male ci sarà se ho per voi una grande amicizia?

- Amicizia! - ripetè il duca di Maranacrollandomalinconicamente la testa.

- Nonon mi giudicate così leggera; - soggiunse la signoraLuisa; - non l'amicizia solitache le donne di poco cuore promettono agliuomini come una consolazionein cambio d'un affetto che non sentonoo nonpossono concedere. Vi parlo di un'amicizia vera; di un'amicizia schietta e pienadi ardore; di un'amicizia che rende omaggio a ciò che valetealla vostrabontà di cuorealla vostra gentilezza d'animoe aggiungeròperchè anco lavostra vanità mascolina sia appagataai pregi esteriori del cavaliere. Va benecosì? Ma sopra tuttointendiamocisopra tutto alla nobiltà del vostrosentireperchè questa va messa in prima linea. Alla fin fine… diròsemprenella ipotesi di una vostra dichiarazione… alla fin fine voi non mi avetebuttato là il vostro omaggio alle primecon quella audacia che indica lasicurezza di sè e la poca stima degli altri; siete in quella vece rimasto lìun pezzoconfusoperplessocombattuto tra sentimenti diversi. Una donnachenon sia puntigliosanè ipocritapuò avvedersi di questa delicatezza ericonoscerla apertamente. E perchè la dichiarazione è venuta tardiquasistrappata al labbro dal casoessa non toglie nulla al vostro carattere di amicoleale. Vedete- conchiuse la signora Luisasorridendo- che non sono mica unadonna scontrosae so accettare allegramente un'ipotesi. E voisignor ducadata sempre l'ipotesiche cosa rispondereste ora? che cosa fareste?

- Signora…

- Ho capitonon volete dirmelo. Ma non importa; ve lo diròioche cosa fareste. Mi prendereste la manoche io vi cederei senza pauraperchè vi conoscoperchè leggerei nei vostri occhi tutti i nobili sentimentidel vostro cuore. E lìstringendo la mia manomi dareste ragione. -

Il duca di Marana s'inchinòprese la mano della signoraLuisala strinsema non aggiunse parola.

- Accetto anche la muta eloquenza; - ripigliò la donnagentile. - Ma non è ancora finita. Qualche cosa bisognerebbe pur dire inaggiunta.

- In aggiunta?

- Certo un gentiluomo può dar ragione ad una donna estringerle la mano. Ma si dà ragione anche per solo debito di coscienzae sistringe la mano per prender commiato. Or dunquesiccome voi non potresteandarvene con l'amarezza nel cuoree siccome l'amicizia dovrebbe durare tranoiaccompagnata per parte vostra da un pochino di galanteria cavallerescavoisoggiungerete a un dipresso così: - "Signoraio non voglio andarmeneimbronciato; voglio restarevedervi negli occhi che non siete punto mutata perme da quella di prima; voglio anche dimostrarvi la mia devozioneaccettandodalle vostre mani un'altra mano…" Avantia voi! sempre nella ipotesiedanche senza l'ipotesicontinuate.

- Signora- replicò il duca dopo un istante diraccoglimento- io non posso che ringraziarvi. Vedo quanto siete buonaevorrei farvi testimonianza che nel mio cuore non c'è ombra dell'amarezza chedite. Ma che volete? Non è dato a tutti di essere perfetti ad ogni ora. Ementre voi vi mostrate a me così diversa dalle altre donnecosì esperta atrovare il punto giusto tra l’austerità e la cortesiadebbo dirvelo? nonmostrate ugualmente di conoscere addentro il cuore dell’uomo. L’uomosignora mianon è capace di tutta la bontà che supponete in luidi tutta lagenerosità che chiedete da lui.

- Non lo accusate; - gridò la signora Luisa. - L’uomo ècapace d’ogni più nobile azionequando egli si chiama il duca di Marana.

- Sìinnalzatelo purefatene una statua di bronzoedabbia tutta la vostra stima per piedestallo; - proruppe don Fernando commosso. -Egli non farà altro che cadere da un’altezza maggiore. E sapete perchè?Perchè il vostro colosso ha i piedi di creta.

- Lo dite voi; ma io non me ne sono accorta. Econ vostralicenzanon lo credo.

- Ne volete una prova? Ho sospettato di voi. -

Quello era il giorno delle confessioni. Il duca di Maranache era andato così chiusoincontro a quella conversazionecosì pieno diarcane speranzedi disegnidi artifizi sottilie che so iocome si va allapiccola guerra col proposito di approfittare d’ogni nonnullaperfino dellesinuosità del terrenosi trovava lìsenza difesasenzavolontàcondottoa scoprirsicome farebbe un bambino.

La signora Luisa aveva avuta l'aria di cascar dalle nuvoleaquella confessione del duca.

- Sospettavate di me? In che modo? Ahcapisco; - soggiunse.

E sorriseimmaginando di che si trattasse. Benedettasignora! Non c’era caso che perdesse la sua serenità.

- Che cosa avete capitodi grazia? Io non ho ancora parlato.

- Ma sìè naturale; - rispose la signora Laurenti. - Bastail sospettoperchè io ne indovini la cagione. E vi aggiungerò sinceramenteche questa cagione dei vostri sospetti ha dato noia anche a me. Perchè infine…

- Ohnon mi dite di piùve ne prego!

- Nodebbo e voglio continuare. Sarà la vostra punizioneamico cattivo! Che cosa volevate che facessinotando ciò che vi ha messo insospetto? Una donna si accorge sempre di certe cose; questo è fuor d’ognidubbio. Non è neanche difficile accorgersiperchè gli uomini delicati oimprudentiesperti o novizi che sianoci hanno tutti un modo comune di farsiavantil’assiduità. Forseperchè tutti incominciano cosìè giusto chefiniscano altrimenti; - soggiunse ellacon un risolino malizioso. Oraunadonna che si accorgeha poco da fare; anzi non ha da far nullapoichè nondeve neanche far le viste di accorgersi.

- Neanche d’un fiore caduto a lei e avidamente raccolto daun altro! - scappò detto a don Fernando.

- Ahc’è anche la storia d’un fiore? Di questo non miero accorta- ripigliò la signora: - tanto è vero che non si può badare atutto. Ma d’ora innanzi farò buona guardia ai fiori. Torniamo all’essenziale.Non facendo le viste d’aver capitosi può sperare dentro di sè che iragazzi troppo infiammabili si cheteranno a poco a pocoocome è naturalenella loro etàsbolliranno in un punto. Senza contare che non son liberi distare dove voglionoe quanto voglionoe che certe vacanze finiscono.

- Giustissimo- osservò malinconicamente il duca- comecessano i pretesti di soggiorno pei grandi.

- Ahpei grandi… di Spagnaè un’altra cosa; - risposela signora. - Per quelli c’è una schietta parola. Ed anche questasolamenteperchè essi l’hanno chiesta.

- E se non l’avessi chiesta? Se non avessi parlato-ripigliò don Fernando- avreste aspettato pazientemente che me ne andassi.

- La pazienza non ci ha nulla a che fare. Non lo avreiaspettatonè desiderato.

- Davvero?

- Davvero. Voi siete un pochino per me come per ognigentiluomo sarebbe un amicole cui virtù superano di gran lunga i difetti. Perun difetto da nulla si dovrà forse rinunziare ad un amico prezioso? Speciepoiquando il difetto ci onora?

- Badatesignoraquesta potrebbe parer vanità.

- Chiamatela vanità a dirittura; io non me ne offendo. Sondonnae i trionfi della vanità convengono al mio sessoche non può averne dipiù alti. Ecco qua il signor duca di Marana che mi fa la corte. Che male c’èse egli non mi trova orribile? Abbiamo bisogno qualche volta di saperlo anchenoicome siamoe lo specchio non ci basta. Dunquenessun dispiacereper unomaggio così naturale e così delicato. Ma fermi lì- soggiunse la signorache abbondava in quel sensoper consolare don Fernando della sconfittaaccordandogli l'onore delle armi- fermi lìripetoperchè quel gentileamico non si era letto abbastanza chiaramente nel cuore. Giunto quafresco dicerte memorieaveva anzi parlato d’una ragazza in un certo modo…

- Vi prego! - interruppe il duca: - non parliamo di lei.

- Nolasciatemi finire; in un certo mododa far credere chegli piacesse molto. Non dico già che avesse perduta la testa; noanzi ammettoche non s’immaginasse neppur lui di esserne invaghito. Tanto è vero chepensò ad altroo credette di pensare ad altro. Ma infinela simpatia c’erae vivissima. Tanto è vero- incalzò la signora Luisa con aria di trionfoemozzando le parole al ducache voleva rispondere- tanto è veroche oggi haconfessati nobilmente i meriti della ragazza. Vien leia sua voltain questoeremo di Paravadye di chi parlacol suo giovanile entusiasmo? Del duca diMaranadei suoi pregidella sua graziadi tutti i particolari della suavisita alla residenza. Che volete? Non può nascondere il segreto del suo cuorequella cara fanciulla. E il babbo? Ohil babboè innamorato anche lui.Scommetterei non so che cosache lady Evelinasotto quella calma apparente…Ma viadon Fernandosiate buonoleggetevi nel cuoree ci troverete il nomedi miss Mauddi quella bionda e rosea fanciulladi quella ninfa elegantechestarà così beneappoggiata al vostro braccio. Non volete trovarcelo?Rammentate ancorarammentate ciò ch’io v’ho detto in principio: si èsempre un po’ schiavi dell’amor che s’inspira. -

Il duca di Marana era scossoma non si disponeva giàacontentare la sua bella interlocutrice. A levarlo d’impaccioalmeno peralloracapitò Guido Laurenti annunziato dalla festa che gli facevano sul pontei suoi canie quell’essere non meno affezionato dei caniche era GiacomoVernazza.

Il duca di Marana era scossovi ho dettoma anchecombattuto tra sentimenti diversi. Non è mai piacevole essere battutianchequando se ne esce con l’onore delle armi. E il duca di Marana si sentivabattuto. Se almeno avesse potuto rialzarsi moralmente un pochinoal cospetto diquella donna! Con tutta la sua nobiltà di sentireio credo che avrebbe fattocarte falsepur di sollevarsi da quella mediocritàin cui si sentivaaffogare.

- Orbene- gli disse Guidoaccostandosi e stringendogliamichevolmente la mano- vi ha persuaso?

- Sì; - rispose il duca.

- Bene; faremo dunque il matrimonio?

- No; - replico queglicon la stessa breviloquenza e colmedesimo tono.

- O come? E di che cosase è lecito saperlosiete dunquerimasto persuaso? -

Il duca stette alquanto perplessoguardandolo. Pareva chedicesse tra sè: parloo non parlo?

L'audacia era grandeed eglicon tutto il suo coraggioesitava a buttar là una certa fraseche gli era venuta dal cuore alle labbra.Ma lo sapete anchesi sentiva ridicolocol suo segreto messo in mostrae conla sua sconfitta innegabile; voleva rialzarsi moralmente al cospetto di quelladonnae l'occasione di rialzarsi era là. Questo pensiero la vinse.

- Persuaso della sciocchezza di certe idee che mi eranovenute in capo- diss’egli finalmente.

- Vi debbo una riparazioneLaurentie non soltanto peidubbi di questa mane. Sappiate che ero innamorato di…

Guido non gli diè tempo di finire la frase.

- Zitto; - gridò egli prontamente; - non turbate il geniodell’amiciziache non vuol sapere i segreti di nessunoanche quando glisembra di averli indovinati.

- Ah! - esclamò don Fernando. - Avevate dunque indovinato?

- Certamente. Perchè sono in una certa condizione davanti avoidebbo proprio aver perso il lume dell’intelletto? Amico Fernando-soggiunse Guido Laurenticon aria di benevolenza che dava risalto alla celia-dei mariti si è riso abbastanzain teatro e fuori; lasciate che io li difendaun pochino.

- Non dico di no: - rispose il ducainchinandosi; - a pattoche non difendiate un amico mioche non ne ha punto bisogno. Intantovoivolete lasciarmi il ridicolo della confessione non terminata?

- E il miodi grazia! Pensate anche al mio; - replicò GuidoLaurenti. - Che figura ci fo iooracon questo eccesso di generositàdaparte vostra? Date retta a meFernandoil meglio è di non parlarne più e diandarcene a pranzo. Vi darò notizia degli scaviche sono andati molto avantidacchè siete partito. Si è trovato un masso abbastanza voluminoso in fondoalla buca; dev’essere un rocchio di colonnaattraversato sull’ingresso delcorridoio. Rimosso questonon c’è più altro ostacoloperchè abbiamoveduto dalle fessure il buio del sotterraneo. -

In quel sotterraneodon Fernando avrebbe voluto ficcarcisiper nascondere la sua vergogna. Ma non lo aveva làper comodo suo; e perciòfatta di necessità virtùofferse il braccio alla signora Laurentiper andarenella sala da pranzo.

Che quello dei nostri personaggi riuscisse un pranzo allegronè io vi dirònè voi credereste così facilmente. Fra quei tre commensali c’eracome una nube. S’ha un bel dire che la stima e l’amicizia cancellano moltecose e ne fanno dimenticare molte altre. Vi sono certe posizionidrammaticheocomichedella vitale quali non vogliono altro scioglimentoche la calata delsiparioo una brava uscita dei personaggi in angustia.

Quella sera il duca di Marana mostrò di essere stancoe siritirò nelle sue stanze un’ora prima del solito. E come respiròquandofinalmente fu solo!

 

 

XIX

 

Vorrei potervi dire e dimostrare coi fatti che il mio eroedon Fernando Solisduca di Marana y Cuevaera un uomo superioreall'universaleper fortezza d’animo e per tante virtù di quella fatta; ma incoscienza non posso dirveloe in veritànon posso dimostrarvelo. Don Fernandoera un uomo come tanti altrie con tutti i difetti degli altri. C’era in luiuna certa schiettezza cavalleresca che poteva passare per originalità; ma ilgarbo e l'amenitàdi cui facea prova con le signore e con gli amicieranoqualità di paratache non lo sostenevano più quando era solo. Si ridiventabruttiquando ci si trova a tu per tu con la nostra coscienzae non ci avvienemai di volerci bene e di dircelo. Facciamo volentieri ad ingannare il prossimonostro; ma non riusciremmoanche volendoad ingannare noi stessi.

Il duca di Marana era in collerae non aveva altro scampoche di andarla a smaltire nelle rovine di Karma Vridi. Se fosse stato il dioThoro il semidio Ercoleo il cavaliere don Rodrigo di Bivarsopranominato ilCid Campeadorcome sarebbe andato volentieri col martellocon la clavao conla spada miracolosaa romperead abbatterea fracassare! Almenocon quellaforza e con quegli attrezzi fuor del comunesi sarebbe sfogato un pochino.

Si alzò per temposi vestì in frettae discese. GuidoLaurenti udì il suo passo frettoloso sulla ghiaia del vialee si affacciòalla finestra.

- Non andate con tanta furia; - gli disse; - vengo anch'io aKarma Vridi.-

Don Fernando mandò il genio dell'amicizia a tutti i diavoli;ma si trattenne ad aspettare il suo ospiteche finiva di vestirsi.

Anche la signora Luisa comparve alla finestramentre egliaspettavafacendo sulla ghiaia le volte del leone; anzidopo avergli dato ilbuon giornodiscese prontamente sotto l'atrio. Era vestita di biancoe portavain testa una cuffiettina di tulle. Dei immortali! Era bella come l'Auroracheappare sempre anche lei (scusate l'immagine ardita) con una cuffiettina divapori sul capo.

Don Fernando le borbottò un salutoche con un po' di buonavolontà poteva anche interpretarsi per un complimento.

- Buona fortuna; - gli disse la signora Luisa. - Oggiinfattivuol essere il gran giorno.

- Se entro nel sotterraneosicuramente; - rispose egliasciutto.

- Non siete mica in collera? - domandò la signora.

- No; - mormorò egli con aria impacciatae non osandoguardarla in viso.

- Così lo dite? È male. Noi vi amiamo più di ieri. -

Chi avrebbe resistito a tanta cortesiadirò meglioa tantadolcezza di parole? Io noe voi nemmenoo lettore. Il duca di Maranache erafatto della medesima pasta di cui siamo fatti io e voiprese la mano dellasignora Luisa e la baciò con molta divozione.

- Dunque- rispose ella- obbedirete?

- In che cosa?

- Ma… dovreste indovinarlo; interrogando meglio il vostrocuoree trovandoci l'immagine di una bella fanciulla biondache proprio…

- Ohsignorapermettete! - interruppe il ducarannuvolandosi. - Ho bisogno di raccogliermi. Vado a Karma Vridi. -

La signora Luisa non credette opportuno d'insistere.

- Buona fortuna a voi… e a lei; - diss'ellaaccomiatandolo.

II duca di Marana fece le viste di non avere uditoe siavviò verso il ponte.

- Oggise Dio vuolemetterò la mano su quel maledettotesoro; - borbottò egli tra i denti. - Lascio ogni cosa a Guido e al vecchioLacmanache ne facciano quel che vogliono; e poi… e poichi s'è visto s'èvisto. Questa è la volta che vado al Giappone.

Per intantoandava a Karma Vridi. L'amico Laurentiseguitodal giardinierelo raggiunse di là dal pontee s'incamminò con luisenzadirgli nulladurante il tragittoche accennasse anco lontanamente ai discorsidel giorno indietro. Quel silenzio si spiegava naturalmente con la presenza diGiacomo Vernazzachiamato a far parte della spedizioneper quel lavoro gelosoche sapete.

Guido Laurentiandando attorno per la campagnaridiventavabambino; anzi nodico maleridiventava giovane. Il bambino scorrazzavolentierigode di trovarsi all'aria liberadi cogliere i fiori e d'inseguirle farfallema senza formarsi un giusto concetto delle proprie sensazioni.Soltanto ad una certa età incomincia questo lavorìo della coscienzaquestoripiegarsi della mente in sè stessa; avviene allora che anche le gaie corse delbambino si rammentinoe la loro bellezza è tutta nel ricordonella immagineche se ne affaccia allo spirito. E l'aspetto della naturail verdel'azzurrol'aria impregnata delle fragranze della selvaavevano la virtù di ringiovanireGuido Laurenti; ogni cosa in cui s'incontrassepiantafilo d'erbainsettovagamente screziatogli era argomento di gaia curiosità e di ameni discorsi.Il duca di Marana lo lasciava fare e direrispondendogli a sbalziquando glipareva e piaceva.

Dentro di sèil signor duca pensava qualche volta chequell'uomo così calmo e sereno valeva più di lui. Quanta forza in quellatranquillità! N'avrebbe avuta altrettanta luimaritose unoanche il suoamico miglioregli avesse detto senza tanti giri di parole: sono innamorato divostra moglie? Sì e no; anzi più facilmente no. Almeno almeno per l'indolecavalleresca e per omaggio alla damaun po' di chiasso l'avrebbe fatto. E seGuido non si era commossobisognava proprio che non ne sentisse il prepotentebisogno. Donde la conclusione che la freddezza del cuore c'entrasse per la suaparte. E donde la nostra conclusioneamico lettoreche il signor duca diMarana fosse un pochino ingiusto e stravagante parecchio. Compatiamoloperchèera ammalato.

Giunsero alle rovine e trovarono i loro uomini tutti intential lavoro. Per occuparli tuttiil duca di Marana aveva trovata la necessità discoprire qualche altra parte di quel monte di ruderi. Cosìnon lavorando cheotto o dieci all'ingresso del sotterraneosi nascondeva meglio il vero intentodegli scavi.

Don Fernandoappena giunto colàvolle entrare nella buca.La cosa non era punto difficilepoichè la minutaglia dei rottami era statalevatae i gradini di pietra della scalettaquantunque ridotti a pochi avanzisporgentigli offrivano modo di calarsi fino al fondo. Ma laggiùdove ilpozzo finiva e il fondo metteva in un buio androneprincipio del sotterraneoproprio laggiù era l'impedimento maggiorecioè quel rocchio di colonnachestava attraversatoquasi incastrato a forzatra il piano e l'orlo dellavôlta. Maquell'ostacolocome si trovava là dentro? Evidentemente nelcrollare del tetto piramidale di Karma Vridi la colonna si era spezzata come lealtre sue compagne della navata di mezzo e col peso del suo tronco avevasfondato il lastrone che chiudeva la bocca del sotterraneo. In questa guisa sispiegava che il tronco precipitando nel vuoto fosse andato a batter laggiù eche dietro ad esso fossero caduti i rottami della gran vôlta facendovi unacolmata di macerie fino all'orlo del pozzo.

Piantato di traverso com'era e poco maneggevole come pocointaccabile ai colpi di piccone in quello spazio ristretto il tronco dellacolonna non poteva levarsi di là per dar adito al sotterraneo. Guido consigliòdi rompere un tratto della parete quanta bastasse pel passaggio di un uomo. Erail meglio che potesse farsi e don Fernando approvò pienamente l'idea. Un'ora diassiduo lavoro bastò per aprire la via.

Il duca di Marana aveva assistito con ansia febbrile aquell'opera di distruzione. In attesa del risultatoaveva mandato a prenderenel suo fortilizio le fiaccole di legno resinosogià preparate per quellaesplorazione sotterranea. E a mala pena si avvide di poter passarediede unafiaccola a Giacomoed entròtenendo nel pugno la sua.

Potete immaginarvi come fosse agitatopenetrando per laprima volta in quel sotterraneochiuso da forse due secoli. Era un viaggio inpaese sconosciutoil suoe un tesoro lo aspettava laggiù nelle tenebre. Nonavrebb'egli trovato un drago a custodirlo e a contrastargliene il possesso?

Si prova sempre un certo sgomento ad entrare nel buio. Èavanzo dei terrori lasciati in noi dalle favole e dalle leggende dell'infanzia?È presentimento dell'ignotoche ci aspetta sull'ultimo confine dellavecchiaia? Forsec'è un poco dell'uno e dell'altro.

Il duca di Maranavinto quel primo senso di terroreinvolontarioentrò risoluto nella via tenebrosareggendo a braccio steso lasua fiaccolaper vedere almeno dove ponesse il piede.

E quiavete già indovinato che cosa incominciasse a fare.Contava mentalmente i passi che lo avvicinavano al punto indicato dalla leggendadi Haruti. La via sotterranea correva diritta e lunga davanti a lui; e più donFernando s'inoltrava più la leggenda si riscontrava giusta.

Egli doveva contare fino a cento cinquantadue passipergiungere alla nicchia del tesoro. Perchè cento cinquantadue e non centosessantaod altro numero tondo? Forse perchè una nicchiao stanza che fossesi trovava ab antico in quel puntoe il gran sacerdote di Karma Vridi non avevacreduto opportuno di aprirne un'altra in luogo più vicinoo più lontanodelsotterraneo.

Del restoquella indagine non meritava di fermare la suaattenzione. L'essenziale era di trovare la nicchiaqualunque fosse la ragioneper cui era stata fatta in quel puntoanzichè in un altro. Don Fernandonoverò i cento cinquantadue passie come fu giunto a quel terminediede unaguardata alle mura. Da qual parte poteva essere il nascondiglio? Da rittao damancina? Lacmana non lo aveva dettoe i due amici si erano scordati didomandargliene.

Mentre il duca stava guardando con aria perplessa da unaparte e dall'altraGuido Laurentiche doveva aver fatto lo stesso computomentalegli disse:

- Dovrebb'esser qui. - E gli accennava frattanto la partedestraa pie' della quale si vedevano alcune schegge di pietrache potevanoessere avanzi dei materiali adoperati a rinchiudere la nicchia.

- Certoè un indizio; - rispose il duca di Marana. - Maprima di fermarci a rompere il murovediamo se il sotterraneo prosegue ancoraper molto. -

Arrivato alla metadon Fernando aveva paura di undisingannoe voleva procacciarsi qualche minuto d'indugio.

I tre esploratori andarono ancora oltre un centinaio dipassi. Laggiù erano le colonne d'Ercole: il passaggio era chiuso da un monte diterriccio. Ci si doveva forse vedere l'effetto di uno scoscendimento del terrenosoprastantepoichè la tradizione recava essere stato il passaggio murato findai tempi di Kafuril maomettano vittorioso che aveva smantellata la fortezzadi Pandiasenza conoscere il segreto di quella via sotterraneache metteva idifensori in comunicazione col munder di Karma Vridi; e là non si vedevatraccia di una chiusura fatta con materiali di fabbricanè era da supporsi chequel terriccio vi fosse portato dalla parte del tempio.

Fatto quell'esame che non li conduceva a nullai treesploratori tornarono indietrofino al punto dove si erano fermati daprincipio.

- Vogliamo incominciare? - disse il duca.

- Come volete; - rispose Guido; - mase non volete darsospetto agli indianisarà meglio dopo la colazionequando li avrete mandatitutti a lavorare da un'altra parte.

Don Fernando si arrese al consiglio di Guidosebbene amalincuore. Da principio voleva indugiare; poigli avean preso le furie.

- C'è un sotterraneo lungo trecento passio giù di lì; -disse il duca al suo fidato Berarcome fu uscito all'aperto- ma non c'ènulla che franchi la spesa di aprir meglio il passaggio. Perciòleverai gliuomini di torno alla colonnache può stare dov'èe li manderai a lavorare dilàinsieme con gli altri. Le sculturese riusciremo a trovarnemi premonopiù del sotterraneo. -

Fatta colazione in frettaritornò coi due compagni in quelluogo che gli premeva così poco. Noverò da capo i passiper timore di nonaver contato giusto la prima volta. Ma il conto tornava a puntino; ai centocinquantadue passitrovò le schegge di pietra già osservate da Guido.

- A noidunquelavoriamo! - diss'egli.

Giacomo Vernazza fu il primo a dare un poderoso colpo dipiccone sul muro. Ma la parete non diede suono grave in quel puntonè in altripunti vicini.

L'indizio delle schegge di pietra non valeva nullao dovevaessere inteso con discrezione.

- Non è naturale che le abbiano lasciate proprio sotto laparete rifatta; - osservò: Guido Laurenti. - Vediamo piuttosto di rimpetto. -

E andò a battere col suo piccone a sinistra.

- Sentite? - gridò eglimentre il muro rimbombava cupamentesotto i suoi colpi. - È qui certamente. -

Il suono si era ripercosso dagli orecchi nei cuori. Perveritànon ci s'avvicina impunemente alla scoperta di un tesoro; speciepoiquando il tesoro ascende ad un croreossia a cento laks di rupieche è come a dire a venticinque milioni di franchi. Vi ho già dettose benrammentoche il lak equivale a centomila rupiee la rupia vale due liree mezzo; donde… tirate la somma.

- Diamoci dentro! - gridò il Giacomoavvicinandosi col suopiccone. - Se il nascondiglio è quiil morto non è stato toccato.

- Da bravoGiacomo! - disse il duca. - C'è qui la ricchezzafutura del popolo di Paravady.

- Siete dunque risoluto? - chiese Guido Laurenti.

- Certo; voi e Lacmana studierete il modo migliore per farfruttare questa piccola somma.

- Un carico graveper noi! - esclamò Guido. - Ma voi…

- Io non c'entro; lascio fare a voi altri. - E tutte quellemagnifiche ideedi fabbrichedi opifici…

- Ubbie! Mi manca il tempo. Farete voie sarà meglio. -

Ambeduegiunti a quel puntodiedero in uno scoppio di risa.Pureuno dei due non ne aveva gran voglia!

- Vendiamo la pelle dell'orso! - notò don Fernando.

- Meglio ancora; - replicò Guido; - facciamo i contidell'Arabonelle Mille e una notte.

- Ma non per utile nostro.

- Questo è verodopo tuttoe ci salva dal ridicolo. -

Fatte queste parolesi erano rimessi al lavoro. La paretenon era di molto spessore; maessendo fatta di pietresu cui la calce avevamaggior presaella offriva una discreta resistenza ai colpi ond'era tempestata.Finalmentetrovato il modo di andar sotto ad una falda di pietrasi fece levacon la punta d'un picconee quella falda saltò fuoripermettendo di lavorarenel suo alveo di calce e si ingrandire la buca. Picchia e ripicchiain capo acinque minuti un piccolo pertugio fu fatto.

- Mi sa mill'anni- disse il duca- di vedere che diavolèse una nicchiao una camera. -

Due o tre colpi bene assestati di Giacomo Vernazza fecerostaccare un pezzo di parete. Da quel momento l'impresa diventò facilissimaepoco stante si ottenne uno squarcio così largoda passarci dentro la testa.

Il duca di Marana vi passò prima di tutto il bracciocon lasua fiaccola accesa. Il nascondiglio era assai più d'una nicchia e molto menod'una camera; poteva paragonarsi agli in pace del Sant'Uffizio. DonFernando spinse gli occhi dentroe subito balzò indietro atterrito.

- Che è stato? - chiese Guido Laurenti.

- Orribile! Orribile! Vedete voi; - rispose il duca.

Guido Laurenti introdusse la fiaccolae guardò a sua voltanel vano e vide contro il muro uno scheletronella postura dell'uomo seduto econ le ginocchia verso la parete. Il costato si teneva ritto; il teschio era unmiracolo d'equilibrio; ma le ossa delle bracciaerano cadute sul pavimento.

Di sicurol'uomo era stato sepolto vivo là dentro. Chiunqueegli fosseinnocente o colpevolequale atroce supplizio! Veder chiuderedavanti a se il muro che doveva segregarlo dai viventipiombare nella oscuritàeternasentirsi morto prima di morireudir finalmente il crollo del tempio chediventava un mucchio di rovine sulla sua testatogliendo a lui ogni più lievee lontana speranza di essere cercato da alcuno quale tremenda agonia! Unpensiero si affacciò alla mente del duca di Marana. Chi aveva chiuso quell'uomola dentro? Se si trattava di un compagno la cui fedeltà non fosse troppo sicurapei sacerdoti di Karma Vridiperchè non farlo morire altrimenti? Perchèseppellirlo così crudelmente accanto al tesoro di Gundwana? Ma prima di tuttoera quello il nascondiglio del tesoro? I centocinquantadue passi contatidall'ingresso fin làconforme alla leggenda di Harutidicevano di sì. Ma larottura della parete non era anche condotta a tal punto da permettere un esamedecisivo.

Si lavoròper conseguenzaad allargare la buca. Il Giacomotornò a menar colpi disperatiGuido lo aiutò dal canto suoe don Fernando sicollocò in mezzoper tirar via i rottami. L'ingresso dello stambugio fuaperto; entrarono allorae videro nel fondo un piccolo forziere. Sovr'esso eraappunto seduto lo scheletroche bisognava adunque rimuovereper mettere lemani sul tesoro. Ma quell'avanzo d'uomo risparmiò ai suoi visitatori laprofanazione e l'incomodo. Toccato appenasi sfasciò; il teschio andò abattere sul pavimentoprima che Guido avesse potuto osservare la sua dentaturaper arguirne approssimativamente l'età del personaggio.

Poste rispettosamente le ossa da un latoi due amiciaiutati dal Giacomotrassero il forziere dallo stambugio. Era una cassa dilegna forteguarnita di spranghe e lamine di ferroe con qualche saggiod'intagli.

- Ci siamoFernando; che ve ne pare? - disse Guido Laurentisorridendo all'amico.

- Mi pare che non pesi troppo; - rispose il duca di Maranache appunto allora aiutava Giacomo Vernazza a sollevare la cassa da terra.

- E come dovrebbe pesare? Sono diamantidopo tuttoe non cene vogliono mica moltidi quei grossiper fare i vostri venticinque milioni dilire. Mi meraviglio invece che sia così grande. Ma forse è quella medesima incui il principe Gundwana serbava tutto il suo tesorole collanei diademiibraccialetti e tutto il restoche non ha creduto opportuno di nascondere aKarma Vridi. -

Mancavano le chiavi per aprire la cassa. Ma in quel momentonon si badava a certe piccolezzee in due colpi di piccone mandarono in aria ilcoperchio.

- Ci siamo davvero; - disse il duca di Marana a GuidoLaurenti.

- Sicuroci siamoe bisognerà chiudere gli occhiper nonrestare abbagliati. -

Guido parlava per celia; ma in verità non c'era bisogno diquella precauzione. La cassa era vuota.

I due amici si guardarono in viso; ricacciarono gli occhiscrutatori nel forziereindi tornarono a guardarsi. Frattanto il Giacomorovesciava quel legno inutile e lo tasteggiava col picconeper vedere se a casonon ci fosse un doppio fondo. Ma ohimènon c'era niente di simile; solonelrovesciare la cassane era balzato fuori un piccolo arnesenon avvertito daprimacioè un astuccio di pellelungo e piattodi cui Guido Laurentiriconobbe subito l'importanza molto paleograficaforseed anche filologicamapunto adamantina. Infattiera in quell'astuccio una foglia di palmasu cui sileggevano alcune linee di scritto.

- Ah! - esclamo Guido: - non sarà stata tutta faticainutilela nostra. Chi sa? forse in questo manoscritto ci si dirà dove sianascosto il tesoro.

E recato lo scritto sotto la luce della fiaccolasi provò adecifrarlo.

- Ecco- proseguì- sono caratteri devanagarici. La linguaè indisecondo l'uso di queste provincie. Ahi! diavolodiavolo! -mormoròmentre andava innanzi nella lettura. - Che cosa diràLacmana?

- Che cosa dite voipiuttostoche leggete e non partecipatele vostre scoperte a nessuno? - gridò il duca di Marana.

- Ecco qua- disse Guido- ecco qua. Leggo a sensobadatequando saremo alla luce del giornoci si potrà tornar su e tradurre conmaggior precisione.

- Andiamo alla sostanzaspicciatevi. Questo è un far moriredi curiosità il povero prossimo.

- Orsùcontentiamo l'impaziente; - ripigliò GuidoLaurenti. - Mase permettetenon quipraesente cadaveree con questaluce fumosa. -

I nostri esploratori andarono verso l'ingresso delsotterraneoa prendere la luce del giorno da quel pozzo benedettoil cuisgombero era costato tante inutili fatiche. E laggiùil filologo Laurentiaiutandosi con le sue cognizioni di paleografia indianadecifrò i caratteridevanagarici della sua foglia di palma.

Ed ecco ciò che egli lessecon gran dispiacere del duca diMaranache avrebbe preferiti i diamanti:

"Mohi EddinAureng Zebornamento del trono e vincitoredei mondi; sia lode a Dio che la esalta; sovra tutti i suoi nemici.

"A teBerarmalvagio consigliere del ribelle Gundwanaa voiperfidi sacerdoti idolatri di Karma Vridia chiunqueoggi ascoso etremante della mia colleraardisse tornare in cerca del tesoro nascosto;

"IoAureng Zebfiglio di Scià Gehannepote di SalimGebanghiril glorioso conquistatore dell'universoho disseppellito il tesoroche la vostra perfidia mi nascondevae chiudoa custodia di questo foglioilvostro alunno Naderche ha osato chiedermi un premio per iscoprire ilnascondiglio. Abbia egli in premio la vita eternae vi faccia fede di ciò chetoccherà a voiquando cadrete nelle mie mani.

"Le speranze dell'empio e i suoi tristi consigli sidileguano. Dio solo è grandee Aureng ZebAlan Ghirornamento del trono econquistatore dei mondiè il prediletto di Dio."

Il ducadi Marana rabbrividì per Berarquantunque ilpovero ambhasta del principe di Golcondacosì fieramente minacciato dalpossente monarcafosse morto da quasi due secoli.

Con questo colpo di scena andava in fumo ogni cosa; nonsolamente le speranze dell'empioma anche: quelle di un galantuomocheintendeva di volgere a profitto dei poveri indiani di Paravady un tesoro checertamente era il frutto dei sudori di tanti loro antenati. E che cosa avrebbedetto Lacmana? Il tesorocon gelosa cura sottratto all'ingordigia del granMogolera caduto in balia del nemico di Visnù. Il Titano aveva vinto il leoneil Mahadeva.

Com'era andata la faccenda? Il manoscritto di Aureng Zebgiustamente interpretatolo lasciava capire. Berar era fuggito di là dai montidi Sattaraprima che il vincitore giungesse davanti al munder di KarmaVridi. Harutiil giovine braminodel pari. Nè l'unonè l'altro potevanosapere di quell'episodioper cui il gran Mogol era venuto a conoscere ilnascondiglio. Neanche potevano sospettare che un traditore ci fosse statopoichè questo era stato sepolto vivo nel sotterraneoe il murder di KarmaVridi era stato distrutto. S'intendeva facilmentedopo quella letturache adAureng Zeb non mettesse contro di propalare la scopertapoichè sperava dicogliere al laccio i primi colpevolisecome era naturale di crederefosserotornati più tardi sul luogoper rapire il tesoro nascosto da essie certonell'intento di andarlo a riprendere.

Dalla cronaca di Harutii nostri esploratori sapevano come eperchè i padroni del segreto non avessero potuto approfittarne; dal foglio diAureng Zeb dovevano sapere come e perchèingannati dalla distruzione deltempioquei fuggiaschi morissero nell'ignoranza della veritàdopo aver fidatoad una cronaca scritta e ad una tradizione orale un inutile segreto.

Il duca di Marana rimase assai maledopo quella scopertache guastava tutti i suoi generosi disegni. Pensava al tempo perdutoalle ansiesprecate nella ricerca; pensava altresì che quello non era il solo de' suoidisinganni e che veramente l'India rispondeva assai male alla cortesia che eglile aveva usataandando a visitarla una seconda volta. Ma giàtornare in unpaese che si è veduto e corso per lungo e per largoèper gli uomini come ilduca di Maranaun vero error di grammatica. Che cosa era andato a fare laggiùquel benedetto uomo? A mantenere una promessa. Ottimamentequando le promessehanno ad argomento qualche cosa di serio. Ma certe promesse si fanno perchiacchiera e senza obbligo di mantenerlein quello stesso modo che si diconocerte bugiesenza mestieri di arrossire o di pentirseneperchè esse non fannomale a nessuno.

Vedendolo così malinconicoGuido Laurenti si provò aconsolarlo.

- Non siate ingiusto; - gli disse; - anche questa scopertapaleograficaanzidirò megliodiplomaticafrancava la spesa del lavoro chesi è fatto. Abbiamo chiarito un punto di storia; siamo in possesso d'un curiosoepisodio della terra di conquista e d'esterminiodi quel caro matto che èstato l'imperatore Aureng Zeb. Sapete che uomo balzano egli fosse? Vegliavascrupolosamente all'amministrazione della giustiziaonorava la religione diAllà e voleva l'osservanza dei buoni costumi; era semplice nel vestire e parconel vivere; non dormiva che due ore su ventiquattro e passava gran parte dellanotte a leggere il Corano; tutte cose che non faremmo nè io nè voie che nonfaceva sicuramente il suo medicoil francese Bernierche ne ha levate a cielola liberalità e la temperanza. Ma era un fanaticoun ferocee lo seppero ipoveri principi indigeniche cacciò di seggio e mandò a morte senzamisericordia; lo seppe la religione di Bramache egli perseguitòaccanitamente. Melik Salehil suo precettoreil Seneca di questo Neroneindianonella storia che ha scritta della gioventù del suo caro discepolononpuò nascondere che l'ornamento del trono macchiò di delitti atroci iprimi anni del suo regno. Con queste contraddizionitirò innanzi la bellezzadi ottantotto anni; il che prova che una coscienza tranquilla è già un belrincalzo per vivere lungamente.

- Voi ridete; - disse il duca di Marana. - Intantoche cosaci resta? Un pezzo di carta.

- Un pezzo di cartasìma qual carta! - replicò GuidoLaurenti. - Caro mioun autografo di Aureng Zeb non si trova mica tutti igiorni in Europanè da tutti gli appalti di sale e tabacchi! -

Quelle di Guido Laurenti non erano ragioni da consolare ilduca di Marana; ma bisognava poter contentarsenein mancanza di meglio.

 

 

XX

 

Quel giornoverso le tre del pomeriggioil mahuntLacmana stava rinchiuso nella sua cellameditando le sublimi preghiere delRigvedail primo dei sacri volumiche Brama stessoil dio padreha ricavatidal fuocodall'aria e dal soleper la debita osservanza dei sacrifici. Poveroavanzo di una religione moribondail vecchio Lacmana era la malinconicasimpatia di Guido Laurentila cui indole sentiva tanto del poetain mezzo allecure del naturalista e del filologo.

Avete osservato come tutte le vecchie istituzioni torninouggiosefino a tanto son vive e pugnano con le nuove idee per ragion didominioma diventano care e venerabiliquando sono irremissibilmente cadute?Forse è la maestà dei ricordi che parla allo spirito delle nuove generazioni;forse alcunchè di giovanile e di graziosoche si riscontra in quelle formeestintea cui ci si accosta senza sospettopoichè la loro parte men nobilenon può far più male a nessuno. Questo avvenne del paganesimo tra noiquandodiventò una forma archeologica. Lo ammiriamo nella bellezza delle suemanifestazioni artistichelo studiamo e lo amiamo nella profondità de' suoimiti. Quasi quasi sarebbe da credere che lo spirito dei presenti volesse rifareil tentativo di Giulianomille cinquecento anni dopo la sua mala riuscita.

E la religione braminica faceva un senso consimile nellamente di Guido. Nobilissima per la purezza delle sue massimeveneranda per lasua antichitàapparsasi può direcon l'alba della storiacresciuta astraordinaria grandezza in un periodo di non interrotte fortunevenuta ad unafioritura maravigliosa di lettere ed artiin quel medesimo tempo che ilpoliteismo italico aveva il suo secol d'oro con la potenza d'Augustoeranaturale che destasse l'ammirazione di Guido Laurentie che il nostro poetailnostro pensatorenutrisse un affetto compassionevole per quel vecchio braminoche la rappresentava a' suoi occhi.

Dirò forse un'eresia; ma credo che anche il vecchio Lacmanaamasse di più il suo tempio di Paravady e venerasse con più fervore il suoMahadevadopo che si era imbattuto in quel figlio dell'Occidenteche amava evenerava gli argomenti del suo medesimo culto. Infineeresia o novogliodirvela come la sento; non avviene un pochino la stessa cosa a chi possiede unadonnache la stima e l'ama di piùper la stima che vede farneo megliopergli occhi teneri che vede farle dagli altri? E la donnache lo sa… Ma qui miavvedo che il paragone non corre piùtra la donna e la religione dei Veda;perciòlascio in tronco il periodo.

Quel giornoadunqueil manhunt Lacmana stavapregando il suo dioper sè e pei poveri indiani posti sotto la giurisdizionedel tempio di Paravady. Egli vedeva nell'amicizia del sahib Laurentienella impresa archeologica del sahib Maranaun indizio di singolarebenevolenza del Mahadevadi cui era evidente il favore per la popolazione diquel piccolo villaggio. Dio si compiace negli umili. È questo un concetto chetroverete in tutte le religionie basterebbe forse a dimostrare la eccellenzadi tutte.

Ahse il Mahadeva si fosse degnato di far scoprire iltesoro! Era ben suoe poteva giovare alla prosperità del suo popolo. Il grangiorno era imminente. Guido Laurenti e il duca di Marana gli avevano annunziatala scoperta del sotterraneo. E il suo cuore affrettava coi voti la scoperta delnascondiglio indicato nella leggenda di Haruti.

Peròimmaginate se non gli parve d'essere esaudito a volonel suo desiderioquando un alunno del munder venne ad annunziargli cheil sahib Marana desiderava di vederlo.

- Sia il benvenuto; - gridòalzandosi dalla sua scranna permuovergli incontro.

Don Fernando era solo. Giunto insieme con Guido dalle rovinedi Karma Vridise ne era spiccatoin vista del munder di Paravady. EGuido lo aveva lasciato andar solo a informare il vecchio Lacmana dell'esito ditante faticose ricercheintendendo benissimo che il suo amico avesse bisogno dirimanere un po' solo. Una sventura domanda i conforti dell'amicizia; il malumoree la stizza vogliono la solitudinein cui trovano ad un tempo la compiacenza elo sfogo.

Il duca di Marana non aveva ancora trovato lo sfogo; ma eratuttavia nel periodo della compiacenza. Almenosi poteva argomentarlo dalla suaaria rannuvolata.

- Orbene? - gli chiese Lacmana. - E il sotterraneo?

- Lo abbiamo percorso stamane.

- E.. il nascondiglio?

- Trovato.

- Ah! - esclamò il vecchiomettendo un sospiro.

- Ma vuoto; - soggiunse il duca- cioèsenza niente diciò che eravamo andati a cercare. -

Lacmana era rimasto di sasso.

- Ma come? - diss'eglidopo un istante di pausa. - Chi puòessere penetrato là dentro?

- Ohnon c'è penetrato nessuno. La parete era chiusa; ma iltesoro… il tesoro non c'era più da due secoli. Eccovi qua tutto ciò cheabbiamo rinvenuto nel forziere di Gundwana. -

Così dicendoil duca di Marana porse al vecchio mahuntl'astuccio di pelle in cui era custodito il prezioso autografo di Aureng Zeb.

Lacmana lo aperse ne trasse fuori la foglia di palma chesapete e lesse con voce tremante quella pagina ferocemente canzonatoria; indilevò gli occhi smarriti a guardare il duca come per chiedergli la spiegazionedel fattose pure fosse stato possibile di averne unadugent'anni dopo gliavvenimenti a cui si riferiva l'autografo.

Il duca di Marana gli raccontò allora tutti i particolaridella scoperta gli espose le congetture di Guidoavvalorato dalla presenzadello scheletro.

- Dev'essere così; - conchiuse Lacmanacrollandomalinconicamente la testa. - Il malvagio ha trionfato.

- Triste cosanon è vero? - disse il Marana. - E quando sipensa che quelle ricchezze dovevano servire alla prosperità dei fedeli diParavady!

- Il Mahadeva ha voluto così; rispettiamo i suoi decreti; -ripigliò Lacmana inchinandosi.

Il duca di Marana era così pieno di stizzaper tutte leragioni a voi noteche avrebbe preso a dirlanon solo con un braminodell'Indiama anche con un teologo d'Europa.

- Rispettiamo pure; - diss'egli; - ma non sarà permessoall'uomo di lagnarsi un pochino? Tutto va alla rovescia; il cielo non riconoscepiù le buone intenzioni. -

Il vecchio mahunt gli rivolse un'occhiata tra severa emalinconica.

- Conoscete la parabola del pescatore? - chies'egli poscia alduca.

- Noin verità; non sono un indianista della forza del mioamico Laurenti.

- Sentitelaadunque; - ripigliò gravemente Lacmana. - Ildio Crisnatornando un giorno da una spedizione lontanarientrava a Madura incompagnia dei suoi discepoli. Gli abitanti della cittàrecatisi incontro aluichiesero di udire la santa parola. E Crisnasalito su d'un poggioparlòin questo modo alle turbe:

"Sulle rive del Gange viveva un povero pescatore. Durgaera il suo nome. Allo spuntar dell'albaegli si avvicinava all'acqua per farvila sue abluzionietenendo tra mani un ramicello dell'erba divina del cusarecitava divotamante l'inno della Savitri; indipurificato lo spirito come ilcorpoandava di buon animo al suo lavoro quotidianopel sostentamento dellasua numerosa famiglia.

"Iddio gli aveva concesso dieci figlisei maschi equattro femmineche formavano la sua contentezzapoichè essi erano credenti ebuoni al pari di lui. Il più giovane de' suoi figli poteva già aiutarlo acondurre la sua barcae le sue figliuolechiuse nell'interno della casaintrecciavano la lana delle capreper farne vesti a tutta la famiglia.

"Malgrado un'assidua faticala famiglia era povera.Ingelositi delle sue virtùgli altri pescatori si erano collegati contro dilui e lo perseguitavano ogni giorno con parole ed atti malvagi. Ora essiscompigliavano le sue retio tiravano la sua barca in sulla renaperchè eglidovesse perdere un'intiera giornata a rimetterla in acqua; oraimbattendosi inluiquando egli andava a vendere il suo pesce in cittàgli strappavano leceste di mano e le gettavano a terraperchè nessuno volesse più di quelpesceavvoltolato nella polvere.

"Soventi volte il povero Durga ritornava malinconico alsuo abituropensando che un giorno o l'altro egli non avrebbe potuto piùsovvenire ai bisogni della sua famigliuola. Cionondimenoegli aveva cura diportar sempre i frutti migliori della sua pesca in dono ai santi eremitiedaccoglieva e sfamava tutti gl'infelici che andavano a lui. Della qual cosa loschernivano i suoi nemicimandando a lui tutti i mendicantiche trovavano pervia.

"- Andate da Durga- dicevano- quello è un riccotravestitoche pesca per suo sollazzo. -

"E così beffeggiavano la sua povertàche era operaloro.

"Ma ben presto i tempi volsero cattivi per tuttie unacarestia spaventevole desolò la contradaessendo andato a male il raccolto delfrumento e del riso. I nemici di Durganon potendo più avere i graninecessarii per la pasta da adescare il pescediventarono poverissimi al pari dilui e non pensarono più a tormentarlo.

"Una sera che il pover uomo ritornava della spiaggiasenza aver potuto prendere un pescee mentre egli pensava con dolore che nullagli restava più in casa per isfamare la famigliagli venne veduto unfanciullino cheseduto al piede d'un tamariscopiangevachiamando sua madre.

"Durga gli chiese donde fosse e chi lo avesseabbandonato colà. Il fanciullino rispose che sua madre lo aveva lasciato inquel luogoper andare a cercargli un po' di cibo.

"Tocco di compassione per quel povero innocenteDurgalo prese tra le braccia e so lo portò in casa. Sua moglieche era caritatevolecome luigli disse che aveva fatto bene a non lasciarlo morire di fame e dipaura laggiù.

"Ma in casa di Durga non c'era più risonè pesceaffumicato; la tristezza regnava in quel misero abituro.

"La luna saliva placidamente per la vôlta azzurra;tutta la famiglia s'inginocchiòper l'invocazione della sera.

"Tutto ad un trattoil fanciullino si pose a cantare:

"- Il frutto della còtaca purifica l'acqua; ma lacarità purifica l'anima. Prendi le tue retio Durga; la tua barca galleggi sulfiume; i pesci attendono.

"- Ecco la tredicesima notte della luna; l'ombradell'elefante cade da oriente; gli spiriti degli antichi domandano mieleburroe riso bollito. Prendi le tue retio Durga; la tua barca galleggia sul fiume; ipesci attendono.

"- Tu darai un banchetto ai poverie l'amrita scorreràcosì abbondante come le acque del fiume sacro; tu offrirai agli antichi lacarne d'un capretto rossignoperchè i tempi delle prove sono al termine loro.Prendi le tue retio Durga; tredici volte le getterai. La tua barca galleggisul fiume; i pesci attendono. -

"Durgameravigliatopensò che fosse quello un avvisodel cielo; prese le sue reti e discesecol più robusto de' suoi figliallerive del Gange.

"II fanciullino li seguìascese nella barca con essie dato di piglio ad un remosi pose a dirigerla.

"Tredici volte le reti s'immersero nell'acquatredicivolte la barcacolma fino all'orlodovette tornare alla rivaper deporre ilfrutto della pesca. Dopo l'ultima gettatail fanciullino disparve.

"Ebbro di gioia il pescatore si affrettò a portare a'suoi figli il sostentamento necessario; quindipensando che c'erano altribisognosi da soccorrerecorse dai pescatori suoi vicinidimenticando il maleche gli avevano fattoper chiamarli a parte della propria fortuna.

"- Accorsero tuttinon osando credere a tantagenerosità. E Durga distribuì loro immediatamente la maggior parte della suapesca miracolosa.

"Per tutto il tempo che durò la carestiaDurgacontinuònon solamente a nutrire i suoi vecchi nemicima anche ad accoglieretutti i poverelli che correvano a lui. Il pescatore non aveva da far altro cheimmergere le sue reti nel Gangeperchè il pesce vi si gettasse in gran copia.

"Passata la carestiala mano del Signore continuò aproteggerloed egli diventò così ricco in processo di tempoda poterinnalzare del suo danaro un tempio a Brahmasontuoso e magnifico per guisachei pellegrini vi accorrevano da tutte le parti del mondoper vederlo e pregarviil Signore.

"Non disperateabitanti di Madura. La povertà non èun delittonè una punizione; essa è una prova. Iddio dà quel che vuoleequando vuole. Felici coloro che sanno rinunziare a tutti i beni della terrapensando che sopra alla gioia e al dolore è un sentimento più sublime: quellodell'uomo che affissa lo sguardo al cieloeaspettando di nascere in Dionondesidera la mortenon desidera la vitama attende la sua oracome unmietitore attende la sua mercede." -

Così parlò il vecchio Lacmanariferendo le parole deisacri volumi. E don Fernandoche non poteva astenersi dal notare certesomiglianze tra dottrine e dottrinevide altresì come fossero purigl'insegnamenti di Crisna.

E gli chiese altre massimeche Lacmanasentendosi invitatoal suo giuocogli gettò a piene mani. Questead esempio:

"L'uomo che non sa comandare ai sensinon è capace diadempiere il suo ufficio nel mondo.

"È da rinunziare alle ricchezze e ai piaceriquando lavoce della coscienza non approva il motto con cui si conseguono.

"I mali che noi facciamo al nostro simile ci seguirannocome l'ombra seguita il corpo.

"Come la terra nutre coloro che la calpestanolacerandone il senocosì noi dobbiamo rendere bene per male.

"L'uomo virtuoso è come il banianola cui ombrabenefica spande intorno la frescura e la vita.

"L'uomo onesto dee cadere sotto i colpi dei tristicomeil tronco del sandaloche cade profumando la scure."

Quelle massime della filosofia più antica del mondo erano unbalsamo per lo spirito infermo del Duca di Marana. Il qualed'altra parteandava facendo dentro di sè un curioso paragone.

- Se quell'uomoche sperava di essere utile col suo segretoad un popolo di devoti credentisi rassegna a vedere perduto un tesoro e asaperlo caduto in balia dei nemici di Mahadevae attinge nobili consolazioninella sua stessa dottrinaperchè non sarei un pochino filosofo anch'io? Unmiccino di nobiltànon guasta micache diamine!-

L'uomoper solitonon se ne avvedeperchè non ci pensa;ma è questa nobiltà di sentireinnalzata a punto d'onoreche gli fa compiereun certo numero di buone azioni nel corso della vita.

Il duca di Marana non aveva lì per lì nessuna buona azioneda compiere; aveva solamente da padroneggiare sè stesso. E per intanto quelpuntiglio di nobiltà valse a calmargli le bizze.

Congedatosi dal filosofo di Paravadydon Fernando feceritorno al Sahibgarnon lieto ma calmoe non arrossì punto nell'atto diripresentarsi alla signora Laurenti.

Quella sera la donna gentile gli disse:

- Noto una cosa abbastanza singolare. Mi sembrate moltotranquillodopo la canzonatura di Aureng Zeb.

- Oh signora! - gridò eglicon aria tra faceto emalinconica. - Se non vi rammaricate voi pel diamante perdutoperchè milagnerei io di non aver trovato il tesoro? Del restoche farci? - soggiunsemettendo fuori un lungo sospiro. - Non basta desiderare i tesoribisognameritarli. Ed io ho avute ben altre canzonatureche questa dell'imperatoreAureng Zeb. C'è un destino che mi perseguita. Vedretesignora miache saròcondannato a non imbroccarne più una. Seper esempiodomanio doman l'altrovoi e Guido andaste…

- Dove?

- A Secanderabada chiedere per me la mano di miss Lawsonsono sicuro che vi risponderebbero: dolentissimima la mano di nostra figlia èimpegnata da ieri.

- Ahbene! - esclamò la signora Luisaraggiante dicontentezza. - Volete dunque provare?

- Non già per mia elezione; solamente per convincervi.

- Di che cosa?

- Di ciò che vi ho dettointorno alla mia cattiva stellaal destino che mi perseguita.

- Ecco una contraddizione bella e buona; - osservò lasignora; - cioènomi correggo; non bellanè buona.

- O dove la vedetedi grazia?

- Dove la vedo? Nelle vostre parole. Se un no dei signoriLawson ha da essere una prova della vostra sfortunae certo che un sìbasterebbe alla vostra felicità. E alloraperchè dirmi che non ne farestenulla per vostra semplice elezione? Don Fernandoamico miofate senno; -soggiunse la signora Luisaassumendo un'aria di materno rimprovero; - che cosasono queste bambinerie? Non le vogliosapete? Infineparliamoci chiaro; èamiciziala nostrao non è? Vi ho forse offesoier l'altro? Ho solamenteferita la vostra dignità -

- Nocerto; - rispose il duca; - avete anzi fatto ilcontrario. Siete un angelo. E appunto perchè lo sieteson tristepoichèsento il dolore di allontanarmi di qui… dove vivono gli angeli.

- Ammetto il plurale; - ripigliò la signorache tornavasempre al suo tema favorito; - e appunto perchè ci sono degli angelipoteterimanere. Quella gentile fanciulla…

- Ahsignora! - interruppe don Fernando. - quella gentilefanciulla non merita che le si offra… un rifiuto.

- Anche questo è un errore. Voi non siete il rifiuto dinessuno. Cionondimenoquesta vostra delicatezza mi piace. E siccome lasignorina vi andava a genioe solamente una nuvoletta passeggierauncapriccioaveva leggermente offuscato quell'affetto nascente…

- Oh! - disse il duca. - Capriccio! Nuvoletta passeggiera?Protesto contro queste denominazioni arbitrariemolto arbitrarie.

- Siano pure arbitrarie; vi proveranno che io non rinunzioall'arbitrio. Voglio cosìdon Fernando; altrimentibadatemi fareste pena.Mio Diosìlo capisco e lo ammetto; valgo qualche cosamettiamo pure unomaggio. Siete contento? Ma siccome siamo e vogliamo apparire sincerivi diròche se io avessi accettato l'omaggiomi avreste stimata meno. Rispondetemi voicon questa medesima sinceritànon sarebbe stato così? -

Il duca di Marana fece un atto diniego e di preghierama nonrispose parola. Era un dir chiaro che la signora Luisa aveva ragione. E lasignora Luisa non incalzò per avere una paroladove il silenzio bastava.

- Eccola invece laggiù- ripigliò la signora- laggiù aSecanderabadla donna che amerete e stimerete ad un tempo. È bellaè buonaè degna di voi; meglio ancorase ci può essere qualche cosa di megliodell'esser degnaè innamorata di voi. S'intende- aggiunse ellanotando unatto di modestia del duca- come può essere innamorata una fanciullache amiper la prima volta in sua vita. Orasapete voi che cosa avverrebbese visaltasse il ticchio di andarvene?

- Non ne morrà certamente; - disse il ducastringendosinelle spalle.

- Nodite benissimonon ne morrà. Si consolerà inquindici giornifors'anche in meno di quindici giorni. Un primo amore non èmolto profondo; ma esso è la norma di tutti quelli che verranno dopo. La bellaninfa dell'Hussein Sagar perderà le sue care illusioni giovanili e il suocarattere ne soffrirà. Le avete usato più cortesia che non porti il costume;vi siete lasciato andare fino a guardarla nel bianco degli occhie questo ègraveassai grave. Ci sono degli sguardi che valgono più di cento discorsi.Insommala signorina vi piacevae glielo avete lasciato capire. Se andreteviaella penserà che i signori uomini sono volubilimolto volubilitroppovolubili. E da una opinione simileformata in così giovane etàimmaginatevoidon Fernandoche cosa ne possa nascere.

- Volete direcon questoche io farei un servizio al miosessotogliendo a miss Lawson di formarsi una idea così cattiva degli uomini?

- Certamente. Vi è lecito di prendere la cosa anche perquesto versoche ha pure la sua importanza; - disse la signora Laurenti. - Mapensateci megliove ne pregoe siate più schietto. Che vergogna ci ha daessere per voigentil cavalierea confessarmi che l'amate un pochino? -

Il duca di Marina stette alquanto sovra pensiero; quindirisposefacendo in due parole una gran concessione:

- L'amerò. -

La signora Laurenti fece un atto d'impazienza.

- Ohvi assicuro - ripigliò prontamente il duca- chel'amerò di tutto cuore. Non ci vorrà molta faticaperchèvoi l'avete dettoessa mi va a genio. Non volevo vincoli; ma lo accettar questo sarà anche unmodo di obbedirvi. Avendola da voimi sarà cara; l'amerò poscia per lei.

- Incominciate da questo; - replicò la signora; - se nononvado. Ma che uomo siete voi?

- Il duca di Marana vide il lampo di quegli occhi sdegnatienon aspettò il tuono.

- L'amerò… l'amo- diss'egli sollecito- l'adorononvoglio che lei. Va bene così? È contenta Vostra Mercede? -

La donna gentile sorrisea quella raffica di protesteamorose.

- Per farmi andare a Secanderabad- diss'ella con moltagravità- non ci voleva di meno. -

 

 

XXI

 

Due mesi dopo quel dialogo tra la signora Laurenti e il ducadi Marana…

Capiscosìcapiscoil benigno lettore va in collera. Checos'è questa fretta? Perchè gli si sottraggono cosìcon un colpo di manodue mesi di storia? È un furto bello e buono; anziper servirci d'una frasedella signora Luisanon bellonè buono.

Lettori dell'anima miaperdonate e lasciatemi dire la miaragione. Perchè non consentirete voi al modesto narratore di far un po' a modosuo? Egli sa il perchè di questo salto a piè parima non può dirvelo cosìapertamenteperchè questo sarebbe come scoprire il suo gioco. Del restotuttii narratori fanno il comodo loro: raccontanotaccionosopprimonolascianoindovinaree questa lor maniera capricciosa è uno tra i segreti dell'arte. Nelcaso suoegli intende benissimo che questa di due mesi è una sottrazione allavostra curiosità; ma si fa lecito di soggiungere che il pretendere unarestituzione di quei due mesi sarebbe una tiranniadella qualedopo tuttovoisareste i primi a pentirvi.

Facciamo un passo per uno e vediamo di trovare un modusvivendi. Avrete la storia dei due mesi; ma io ve la distenderòanzimegliove la restringerò in pochi periodi. E per cominciareecco qua.

Sir Giorgio Lawson e lady Evelina avevano accolta con moltasoddisfazione la domanda del duca di Maranaportata loro in piena forma daisignori Laurenti. Sir Giorgio era felicissimo e lo lasciava scorgere. Miss Maudprima interessata nella faccendanon lo lasciava scorgerema era più felicedi suo padre.

Volete che mi trattenga a raccontarvi i fidati colloqui sottola verandahdella residenza britannicao le passeggiate romantiche alume di luna sulle rive dell'Hussein Sagar? In veritànon ci furono colloquinè passeggiate. Don Fernandoappena accettata la sua domanda e ricevuta la suavisita di pretendenteera andato a Bombay per centomila coserellepiù o menonecessarie al suo matrimonio. Voi lo sapete benissimoprender moglie non èmica come sorbire un uovo frescoche tutta la fatica sta nel trovarne uno chesia veramente fresco. Dal canto suomiss Lawson doveva pensare al suo corredodi nozze; e la sartae tutta la caterva delle pronube industrie che hanno manoin un corredo di nozzedomandavano la sua attenzionecome quella di sua madre.

Dunqueniente colloqui fidatiniente passeggiateromantiche. C'era una febbrile operositàa Secanderabadma sotto l'apparenzad'una quiete maggiore.

Figuratevimancava perfino Lionello Edgeworth. La ragioneera evidente; un giovanotto non può stareneanche come cuginosotto ilmedesimo tetto di una promessa sposa. Lionelloa dir veronon avrebbe saputoche farsenee sarebbe andato volentieri in qualche luogo del vicinatomagarial Sahibgar. Ma sìproprio laggiù aveva fatte tante sciocchezzeche unordine da Calcutta lo richiamò in servizioun mese prima che spirasse la sualicenza. Non si seppe da chi gli venisse quel tiroabilmente dissimulato dacerte necessità amministrative. Ma quitra me e voisi può dire che il ducadi Marana non era affatto estraneo a questo provvedimento della amministrazionecentrale dell'India. Don Fernando cedeva il camporilegava tra le ciambelle nonriuscite quel suo amore di Paravady; ma non voleva ragazzi a prendere il suopostoanche ammettendoese pure voleteanche essendo certoche tutti iLionelli del mondo ci avrebbero fatta una figura come la sua. Quel biondino gliera un bruscolo negli occhi; bisognava che si levasse quel bruscolo.

Dicevamo dunque che due mesi dopo quel dialogo tra la signoraLuisa e il duca di Maranaun altro dialogo si faceva…

Ma noper darvi la misura giustabisognerà soggiungerequalche altra cosuccia. Il matrimonio era stato celebrato. Miss Maud Lawsondiventava di schianto S.E. la duchessa di Marana y Cueva. L'inglese diventavaspagnuolae il suo nome di Maud si allungava in Maddalenaanzi in Magdalenaper far onore a un capriccio del duca.

Guido e Luisa erano stati presenti alla cerimonia nuziale. Egli sposidal canto loroerano stati a far visita al Sahibgar. Poicomepotete immaginarviandavano a far il loro viaggio in Europadovendo la giovaneduchessa visitare i suoi feudi di Spagna. Avevano promesso di ritornare; intantoavrebbero scritto ai loro amici da tutte le stazioni; da Bombayda AdendaCape Townda San Vincenzoda Cadice. Quanto a ciòcredo che mantenessero laparola data; non così quella di ritornare in Indiaperchè sei mesi dopo (equianticipo a dirittura gli eventi) anche il pretesto del ritorno mancava. SirGiorgio Lawsonresidente britannico a Secanderabadera richiamato in patriaal Foreign Officeper passare poscia in qualità di ministroplenipotenziario a Madrid; nella quale occasione assistè al battesimo di unduchino. Sicurodi un duchino. Se nascono dei principi belli e fattiperchènon nascerebbero dei duchi?

E adessotorniamo indietro. Due mesi dopo il colloquio delduca di Marana e della signora Laurentii due felici abitatori del Sahibgar sitrovavano soli nel boschetto delle magnolie. Avevano veduti partire poc'anzi idue sposiche non dovevano veder piùmalgrado le loro promesse. Si è sempremestiquando parte un amicoanche se questo amico vi è stato cagione diqualche piccolo rammarico. Ed erano mestii due abitatori del Sahibgaredauguravano propizi i genii della partenza agli amici.

Era una quieta mestiziala lorouna mestizia poeticacomequando lo spirito ritorna sul passatosenza dolersi del presente. Pensavano alpiccolo dramma psicologico che si era svolto intorno a loroe di cui eranostati la involontaria cagioneessiche vivevano così lieti in una beatitudinesenza confinenon desiderando e non vedendo di più. Eppurecome in un campodi biade la traccia del ventocosì nelle anime loro era rimasta l'orma dellepassioni e dei dolori a cui non avevano partecipato. E pensavanotacendoedauguravano lieto il futuro a coloro che non avrebbero più riveduti.

- Saranno felici; - mormorò Luisacome se continuasse undiscorso già avviato; - Maud è bella e amorosa; egli nobile e schietto.

- Per altro- disse Guidocrollando malinconicamente latesta- gli rimarrà qualche cosa nell'animache egli non vorrà direo nonpotrà. C'è semprenegli intimi penetrali dello spiritoil luogo reconditoil sacrarioin cui si ha tema di entraredonde vaporano le arcane fragranze esgorgano i santi pensieri. Là dentro egli terrà chiusa un'immagine; senzavolerlofors'anco senza saperlo; e di quella immaginedi quel cultoinvolontarioinconsapevoleio sono geloso. -

La donna gentile intrecciò le sue belle mani intorno alcollo di Guido.

- Ed io… - gli bisbigliò- sono migliore di te.

- Come? - diss'eglisorridendo.

- Perchè io… non sono gelosa.

- Senza fatica; - notò placidamente Guido. - E di chidovresti esserlo?

- Infattinon lo sono; - rispose la donna gentileeludendola dimanda. - Dovrei forse esserlo di ciò che si potesse pensare e sentireconoscendo l'amico del mio cuore? Potrei esserloindovinando che un'altra donnaha pensato e sentito qualche cosa che somigli a ciò che ne penso e ne sento io?Alla lontanaintendiamocimolto alla lontana; - soggiunse Luisa con una graziaadorabile. - Altri può avere amata la tua nobiltà di pensiero; io amoio sonotutta compresa della tua bontàmio signoredella tua delicatezza di sentire.Sapeteangelo mio- mormorò la signoracon un filo di voce che non sisarebbe udito un passo più in là- quella vostra delicatezza che parevafreddezzaindifferenzae dava ansa alla gente! Quasi che voi aveste dovutoinfaccia a tuttigittarmi le braccia al collocome orafissare come ora ivostri occhi ne' miei! Li vedosaili vedo anche nell'ombrai tuoi occhiazzurri profondimio freddo e indifferente sultano…

- Freddo come il mare- disse Guido- come il marechecela nel profondo le sue calde correnti. -

E così dicendostrinse contro le sue labbra la bruna testadi Luisa.

- Come è dolce la vita! Come è santa questa pace! -diss'ella. - Ohdimentichiamo! Le fragranze della tua India sono penetranti esoavicome sono molesti gli echi della terra donde siamo fuggiti.

- Virtù dei contrasti; - osservò Guido. - Laggiù lemolestie e laggiù il lavoro febbrile. A quel centro dobbiamo intendere con leopere nostreperchè là si formano e scorrono i succhi vitali della civiltàdel progresso umano. Belle parolenon è vero? Almeno- soggiunse egli- pareche suonino bene. Macomunque siadue anime amanti possono anche appartarsicercare la loro felicità nella solitudine. E la gran solitudinela sola vera eprofonda solitudineè qui. Ascosiignoratiin questa pace notturna cosìpiena di luci fiammeggiantiche custodiscono tutte il loro alto segretovediamo passare il gran fiume della vitanon fidandogli altro che i fioricadenti dalla ghirlanda della nostra giovinezzanon domandandogli altro che diobliarcie di coprire col suo metro monotono il suono dei nostri baci; epelmomentodel mio.

- Bel poetama cattivo; - diss'ella. - Il mio non c'eraperchè non volevo interrompere… il corso del fiume.-

Rimasero un lungo tratto in silenzio.

- Dio- mormorò Luisaalzando gli occhi alla vôltaazzurrada cui Indra contempla i mortali con le sue pupille di fiamma- Diopoichè quest'uomo vive di meserbate la mia bellezzaperchè egli mi amisempre così.

- A che pensa la mia regina? - disse Guidochinando lafronte sulla testa di lei.

- Non lo indovini? Chiedo a Dio qualche cosagli chiedol'eternità di quest'ora.

- Eternità! - disse Guido. - E perchè no? Che cos'è infinel'eternità? Intensitàsi dovrebbe dire. Non siamo immortali del tuttoeparte di noi rimane alla terra. Ma ciò che è spiritoessenza celestesisprigiona da noiardesi confondevive. Non cerchiamo più oltre. Rammentatemia dolce reginai bei versi del cantico Yavana Nourvadyche vi holetti un giornocome li avevo tradotti dalla raccolta degli inni braminici?"Le mie orecchie non odono più i rumori della terra; i miei occhi nuotanonelle tenebre; che m'importa del giorno e della vitadei fiori e dei fruttidel sole che splende in altodel rosignuolo che canta nei boschidel fiume chescorredella natura che ci si stende dintorno? Amoe muoio d'amore. AscoltamiNourvadymia dolce compagnaamica mia; riposa il tuo capo tra le mie braccia einebbriami dell'amor tuo. Non udivoe tu hai dischiuse le mie orecchie; nonvedevoe tu hai aperti i miei occhi; il mio cuore tacevae tu l'hai fattoparlare. Amor miosempre con tefino a tanto che il rosignuolo canterà neiboschisino a tanto che il Gange volgerà al mare i suoi fiotti d'argentofinoa tanto che Surya illuminerà de' suoi raggi il creatofino a tanto che Bramaregnerànella sua eccelsa dimora."

Così parlò Guido Laurenti. Il rosignuolo cantavala lunasplendevale fragranze del bosco involgevano i due amanti felici. Felici?Sicuramente. Che cosa potevano chieder di più? dimenticatidimenticareera ilcolmo della felicità sulla terra il nirvana in due beatitudine nonconcepita dai sapienti dell'India che pure hanno concepite tante cose sublimi maintesa da tutti coloro che hanno vissuto e sofferto e che vivendo volentieriperchè la vita è bella chi sappia intenderne la bellezze arcane non chiedonosorrisi agli uomini nè inni alla famanè tesori a Golconda.

 

FINE.